Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Ciao Darko

dsc00035

E così – dopo Umberto Eco e Leonard Cohen, David Bowie, Ettore Scola e Dario Fo – questo 2016 si è portato via anche Darko.

Darko era un cane, un cane gigante. Di razze non capisco un fico secco e non ho voglia di cercare su Google una precisione che ora non mi serve a nulla. Anche perché per me Darko era un orso. Casa sua distava pochi passi dalla mia piccola scuola e il luogo dove ogni giorno parcheggio la macchina era per lui un corridoio di passaggio frequente, tant’è che lo incontravo spesso, mentre rimettevo uno sopra l’altro i quaderni corretti che si erano sparpagliati nel bagagliaio a causa delle curve. Lui passava e andava di fretta, con quell’andatura ciondolante per via di certe vecchie ferite alla zampa. Aveva l’aria tipica dei cani quando sembra abbiano chiarissima in mente la meta del percorso.  Un’aria invidiabile, a pensarci bene, ché a noi tocca in sorte molte meno volte di quelle che vorremmo.

Darko era il cane (l’orso) di una mia alunna, nel frattempo licenziata, diplomata e laureata. L’ho conosciuto mentre l’accompagnava standole al fianco, mai al guinzaglio, e chissà se ne aveva mai visto uno, di guinzaglio. L’ho accarezzato mentre lei lo stropicciava di abbracci e si faceva leccare la faccia, da selvaggio a selvaggia. Qualche volta l’ho avuto ospite nella mia biblioteca di montagna, dove si accucciava fedele attendendo che della padrona finissero le scelte librarie, o più spesso le chiacchiere. Mai un lamento, mai un guaito. Mai un bau (mica fanno bau, gli orsi). Era l’animale più grande del paese e faceva meno paura del più piccolo dei gatti.

Certe mattine l’orso Darko era il primo essere vivente con cui mi relazionavo. Perché un “ciao Darko”, mentre lui passava spedito a fianco della mia Peugeot, poco dopo le sette, io lo dicevo sul serio, ad alta voce, e aveva senso come oggi scriverlo qui.

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

#ConsigliRichiesti

Come molti già sanno, una decina d’anni fa ho inventato con i miei alunni la biblioteca comunale del paesino in cui insegno e con loro mi occupo della sua apertura settimanale il venerdì pomeriggio. Io sono sempre lo stesso, gli alunni sono ovviamente cambiati nel tempo.

Quella della biblioteca era ed è soltanto una scusa. Io volevo farmi bello agli occhi del mondo e i ragazzi avevano bisogno di un luogo riscaldato dove suonare le loro chitarre, sgranocchiare i loro biscotti, raggiungere i loro profili su Facebook lontani dagli sguardi delle madri.

Quando periodicamente le istituzioni elargiscono un contributo economico per l’acquisto di nuovi libri andiamo in difficoltà. Gli spazi sugli scaffali sono quelli che sono e quei parallelepipedi di carta sono degli straordinari ricettacoli di polvere, ma soprattutto non abbiamo la più pallida idea di cosa scrivere in quel maledetto foglio excel che ci ordinano di compilare.

Per questo vi sto chiedendo aiuto.

Mi indicate – qui sul blog, su Facebook nei commenti, su Twitter chi vorrà – alcuni titoli che potremmo infilare in quel file affinché noi si eviti la figura degli zoticoni e la copertura “culturale” ai nostri venerdì pomeriggio possa reggere? Roba buona, eh, roba di qualità, e tenete presente che storie come quella di quei due che si volevan sposare dalle parti di Como (no, non c’entra George Clooney, altri due…), sì, insomma, quella ce l’abbiamo già.

Un titolo, due, massimo tre a testa, non mandatemi l’elenco delle vostre letture dalla scuola elementare in poi. So che leggete un sacco, voi altri, ma il contributo ammonta più o meno a quella che è una pensione minima in Italia. Siete liberi di girare questo appello a chiunque pensate possa regalare un consiglio originale.

Grazie mille, siete degli amici della mia biblioteca di montagna e sui libri che mi indicherete comparirà la dicitura “consigliato da…”. Promesso. (In fondo, lo fate per quello, no?).

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Chiedi chi erano i Beatles

Nella mia biblioteca di montagna c’è un grosso quaderno cartonato: il “quaderno delle presenze”. Chi entra fa la sua firma sotto la data, se si dimentica la fa qualcun altro al posto suo. Com’è abbastanza ovvio, quella carta è presto diventata una specie di muro dove viene affisso ciò che passa per la testa ai giovani avventori, quasi tutti alunni o ex alunni di Scuolamagia. Disegni, scarabocchi, impronte della mano, versi di canzoni, sfottò, marchi commerciali, cazzi e tvb. Il 5 ottobre, quando mi sono avvicinato, Giorgio stava disegnando il logo dei Beatles. Adesso bisogna dire che Giorgio ha 19 anni, che non sono pochissimi ma non sono nemmeno tanti. Il suo festeggiare i cinquant’anni di Love me do in quel modo così intimo e sentito mi ha fatto pensare che forse quell’anniversario andava celebrato anche con gli alunni ufficiali, quelli di ogni mattina a scuola. Così, rischiando un po’ di retoria fabiofazista, ho chiesto loro – scusate il bisticcio – di “chiedere chi erano i Beatles”. L’hanno fatto, e i risultati sono stati a dir poco sorprendenti. Lo scoop l’ha fatto Marimù, scovando un signore del paese che può andar fiero di aver partecipato ad un concerto dei Fab4 allo Stern Club di Amburgo, nei primissimi anni ’60. Una nonna ha invece soltanto sfiorato la partecipazione ad una data romana della band: quel giorno del 1965 dovette accudire i bambini della coppia per cui lavorava. Dai quaderni sono usciti aneddoti e storie: il concerto sul tetto, la nomina a baronetti, l’arrivo di quella cinese che ha rovinato tutto… no, forse era una giapponese. I papà han tirato fuori i CD, i nonni han rispolverato i vinili, manco a dirlo MAI prestati a nessuno. Sono emerse mamme che hanno subito il fascino di Lennon, con quell’irresistibile faccia da “cane bastonato”, e mamme “tendenza McCartney”, che poi sarebbe la mia.

Soprattutto, però, ogni alunno ha portato a scuola il titolo di una canzone, opportunamente segnalata dal “consulente” domestico. Con YouTube abbiamo quindi ascoltato insieme Yesterday e Help, Let it be e Here comes the sun. E poi altre, e poi ancora. Una volta ho sentito De Gregori dire: “Cos’è una canzone popolare? È una canzone che abbiamo scritto tutti quanti assieme”. Non solo, verrebbe da aggiungere dopo quest’esperienza coi ragazzi: è anche una canzone che conoscevi già, a tua insaputa.

E la canzone preferita del Prof.? Non poteva mancare, ma è spuntata prima dalle pagine di un quaderno, direttamente dal cuore di una mamma che la suonava con la chitarra, trovandola pure lei irrimediabilmente perfetta.

Standard
Fiori di Biblioteca, Imago, Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

La Marilyn di Noemì

Quando Noemi è entrata a Scuolamagia, io non l’ho soltanto accettata, con i suoi pregi e i suoi difetti; io l’ho pure acceNtata. Nei panni di Noemì ha trascorso 3 intensi anni della sua vita prima di andarsene, con decisione unilaterale che non non ho mai digerito del tutto, a compiere studi liceali.

Qualche settimana fa, in biblioteca, stava cercando su Google immagini di Marilyn Monroe. Le servivano per uno dei suoi disegni, e alla fine la decisione è stata collettiva: sua, mia, degli altri ospiti della biblioteca. Quella lì, con la collana di perle. Poi abbiamo cliccato su “stampa” e ci siamo detti bye bye baby.

Nei venerdì successivi ogni volta che l’ho incontrata le ho chiesto notizie della sua Norma Jeane Baker, manco fosse un paziente in sala operatoria. «Devo finirla», rispondeva. Oppure: «ci siamo quasi…». Confesso che dopo l’ultimo bollettino, piuttosto sul vago, ho deciso che non avrei insistito oltre. Nella vita ho cominciato mille disegni che non sono riuscito a terminare, ho iniziato racconti che si sono persi dopo un paio di facciate, ho pieni i cassetti di prime strofe di canzoni prive di ritornello. Mi sono sentito inopportuno e indiscreto. La Marilyn Monroe di Noemì aveva tutto il diritto di giacere appallottolata nel cestino della carta, sotto la scrivania.

Parole in questo post ce ne son troppe. Com’è finita questa storia l’avete già capito.

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Fiori di biblioteca (5)

C’era una volta, in onda su questo blog, una rubrica che si chiamava “Fiori di biblioteca”. Si trattava di piccoli quadretti, istantanee, il racconto di gesti e parole minimi incrociati nei miei venerdì pomeriggio nel paese di Scuolamagia. Erano Fiori proprio perché fragili e spontanei, fatti legati a persone carissime ma viste poco e poco spesso, il tempo di una breve chiacchierata, il tempo di farsi consigliare un libro, il tempo di fare capolino con la testa dalla porta d’ingresso per un ciao al volo. Poi ho smesso. Poi la biblioteca ha addirittura cambiato sede. I fiori non hanno smesso di spuntare, anzi. Ho solo smesso di coglierli e portarli qui nella Pozzanghera, li ho soltanto guardati. Ho pensato spesso, però, immobile davanti alla poesia di uno di quegl’attimi, “…questo sarebbe stato un fiore”.

Ieri pomeriggio, nonostante il gelo che si spiava dalle grandi finestre, la mia biblioteca era una primavera. C’era A. con il cane enorme, una specie di orso bruno, e la cosa speciale era che lui a modo suo abbracciava lei, giuro, davvero, prima che lei abbracciasse lui. C’era M. pensierosa, troppo pensierosa, e veniva da strapparglieli via con le unghie, quei pensieri. C’era l’altra M., che coccolava avidamente il nuovo soprannome che le ho appioppato e raramente ho saputo fare meglio, in quella nobile arte. C’era… 

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Il venerdì delle ragazze

04

Venerdì la mia biblioteca di montagna ha festeggiato 8 anni di vita, ma era il 25 marzo e l’anniversario che avevo in testa, nonostante il brindisi col the alla pesca e la fetta di torta al limone, era un altro. È bello sempre, il clima nella mia biblioteca di montagna. Venerdì lo era quasi troppo, quasi da vergognarsene. C’erano ragazze che pensavano a che regalo fare per il compleanno di altre ragazze, c’erano ragazze su Facebook, c’eran ragazze che dovevano andare via prima della chiusura, rammaricandosene, salvo ricomparire, dopo pochi minuti, sulla chat di Facebook. C’erano ragazze un po’ più grandi con il cagnolino appresso, c’erano ragazze che ridevano su YouTube insieme a Paola Cortellesi che registra lo spot di Magica Trippi. C’erano ragazze dappertutto, e chissà dov’erano i maschi, venerdì 25 marzo. Forse al campetto, ora che la neve pare essersi sciolta anche lì. Ce n’era una, di ragazza, che esigeva non uno ma 7 pennarelli per disegnare un arcobaleno. Forse era destino che fossero tutte così ragazze. Un anno fa è morta Marta Lunghi, ventiduenne bibliotecaria volontaria. Per le ragazze ed i ragazzi del suo paese. Perché potessero leggere, ma anche perché potessero disegnare arcobaleni e ridere di gusto. Fu atroce, quella morte italiana. Inscatolando uova, il suo lavoro precario, in nero, per 5 euro all’ora. Se ne ricordò il Presidente Napolitano, di Marta. Lo fece il Primo Maggio del 2010 e io la conobbi così, dalle parole del massimo rappresentante delle Istituzioni. Dovrebbe essere anche questo, la politica, e per favore smettetela di ridere…  

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Piccola posta, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

In ricordo di Marta Lunghi, bibliotecaria

MARTA

Piccola postilla al Primo Maggio, i miei 25 lettori perdonino il ritardo. Volevo ricordarmi di Marta Lunghi, conosciuta mercoledì scorso cinque centimetri sotto la faccia accigliata di Augias, nella pagina delle lettere di “Repubblica”. Un lettore chiedeva che non venisse dimenticata. Quel lettore aveva ed ha perfettamente ragione. Marta viveva in provincia di Pavia, in un paese di mille abitanti o poco più, vicino ad un fiume che si chiama Arbogna, affluente di un altro fiume che si chiama Agogna. E chissà cosa agognava Marta, morta a 22 anni mentre stava inscatolando uova per 5 euro all’ora. Rigorosamente in nero. È rimasta impigliata in un nastro trasportatore, lei che sognava di fare l’interprete e di girare il mondo con le lingue che aveva studiato. Anche lei a modo suo un piccolo e fragile guscio d’uovo, l’unico infrantosi dentro questa storia dove il mondo è un rumorosissimo nastro che ci trasporta dove solo lui sa.

Marta Lunghi ed io avevamo anche una piccola cosa in comune. Anche lei aveva a cuore le sorti di una piccola biblioteca di provincia, quella del suo paese. Grazie a lei quel luogo rimaneva aperto, e ben due volte alla settimana. Grazie a lei era un luogo accogliente. Scopro navigando qua e là che sulle pareti della biblioteca c’erano i suoi disegni. Affreschi di bimba, freschi e colorati, firmati con un numero – Marta ’87 – che fa gridare. Millenovecentottantasette, ieri l’altro.
Il Presidente Napolitano, nel suo discorso per il Primo Maggio, si è ricordato di Marta, parlando della necessità di una “ribellione morale”.
Già. Da dove si comincia?
Oggi dagli occhi di Marta che non c’è più, che fan brillare di luce l’acqua della Pozzanghera.

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Ti conosco mascherina

Come una nave rompighiaccio, attraverso un gruppone di bambinetti in maschera. Hanno dai 6 ai 10 anni. C’è il poliziotto che mi mostra la paletta e si spaventa quando estraggo per davvero la carta d’identità. C’è uno Zorro che secondo me – anno domini 2010 – non sa più nemmeno da cosa è mascherato e a cosa servano quei due fastidiosissimi baffetti. C’è una bimba senza alcun costume, con i jeans e un cardigan rosso. Ride mentre spiego ai suoi amici che in realtà è vestita da dentista. Sì perché il mio dentista – l’altro giorno, sotto il camice bianco – era vestito così. Ci sono fatine, scontate e immancabili, e cowboys inutili alla carnevalesca causa. Poi, un po’ defilata, scorgo la bambina con il nome da mille e una notte, quella di un vecchio post. Indossa un vestito bianco, non proprio biancochepiùbiancononsipuò. Una specie di tunica, da cui spuntano le scarpe da ginnastica. Al collo una sorta di fazzoletto leggero e trasparente. «E tu, da cosa sei vestita?».

«Io sono vestita da serva…»

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

I ragazzi che fanno “Oh”

 

Si sono fatti attendere e non poco, i libri ordinati dalla mia biblioteca di montagna anche grazie ai preziosi consigli dei lettori di questo blog. Poi però si sono materializzati dentro due scatoloni cubici pesanti e ammaccati, ieri, scortati dalla flemma indisponente di un corriere espresso. Oggi ho deciso di cominciare la giornata scolastica così, tra l’italiano la letteratura il teatro e il cazzeggio, con i due cubi sulla cattedra, un paio di forbici in mano e la regola ferrea di non dire nulla se non attraverso la vocale “O”, declinata secondo le sensazioni di ognuno.

«Oooooh…»

«Oh-oh…»

«O-ooooh…»

«Oh!!!»

E via disc“O”rrendo.

Le facce erano tutte consentite, il gesticolare liberissimo.

Erano le 8:05 e ho aperto la prima scatola premettendo: “non è detto che con voi funzioni”.

Mi sbagliavo, ha funzionato anche con loro. I libri hanno attaccato in massa gli umani con i loro colori e le loro forme. Con l’odore. Ecco subito due occhi dietro le foglie, soli come due numeri primi; ecco la Mazzantini, Veronesi, Concita De Gregorio. Ecco Yasmina Khadra. E Daria Bignardi, Harry Potter e Goliarda Sapienza. Ecco il piccolo esercito di DVD: Alina Marazzi che vuole anche le rose, Marco Paolini, Nazirock, la Shoah di Einaudi.

I libri per i più piccini cambiano la tonalità alle “O”, che si fanno più tenere. Richard Scarry ricorda qualcosa a tutti, indipendentemente dall’età. C’è anche quel libro, poi, in cui i disegni descrivono le evoluzioni domestiche di un grande elefante, con la piccola complicazione del testo in cui dalla prima all’ultima pagina si parla convintamente di un gatto. C’è l’albo con all’interno il CD di Samarcanda e la carta patinata a raccontare di quella grande festa nella capitale, perché la guerra era finita.

La cattedra si è presto riempita, coperta di coloratissimo disordine: Cirri e Solibello con sopra la biografia della cantante Elisa e quella del cantante Morgan. Il libro del grande fotografo che copre il fumetto che racconta la strage di Bologna.

Dani, che i libri dice di odiarli, ha addirittura iniziato a leggere uno Strade Blu con in copertina il suo idolo Marco Van Basten, Samu e Ricky hanno violato la regola della vocale unica leggendo ad alta voce Chuck Norris’s e Obama’s facts. Abbiamo quindi scoperto che il nuovo presidente Usa qualora ti scopra a letto con sua moglie non esita e ti rimbocca le coperte.   

Francy non si è innamorata a prima vista di nessun libro, ma mi ha aiutato a riporli tutti ordinatamente nelle due scatole, con cure materne.

 

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Fiori di biblioteca (4)

 

La bambina con il nome da mille e una notte entra in biblioteca e sono subito sorrisi. Ha la faccia sporca, è un dolcissimo angelo con la faccia sporca. I sorrisi sono per i libri, per le persone, per me. C’è un sorriso per tutti. I libri presi in prestito a dicembre li ha letti tutti e quattro, le vacanze sono state abbastanza lunghe ed è ora di sceglierne altri, almeno altri due. Prende in mano il primo ed è già bellissimo.

 

La mamma con la faccia triste non ha un nome da mille e una notte. Non me lo ricordo bene, il suo nome; è aspro, però, un nome che suona di sassi, di sassi spigolosi. Anche lei ha letto i suoi libri, tomi pesanti, cose di religione, biografie di viaggiatori. Il suo viso e la sua voce rovinano i sorrisi della figlia, dice che il libro aveva già la copertina un po’ strappata, non è lei la responsabile di quel danno, è stato sicuramente qualcun altro. Mai avrei notato lo strappo, eventualmente avrei pensato che succede, a tutti, succede.

 

La bambina con il nome da mille e una notte sceglie due romanzetti minuscoli, un libro di favole e un libro di fate. Mi chiede se può compilare lei il registro dei prestiti, l’ha fatto anche l’altra volta, dice. Io l’altra volta non c’ero, ma immagino il sì della mia collega Barbara, uno di quei sì che sono come gli abbracci. Impugna la penna e scrive prima la data, un nove tondo e un gennaio con una “n” sola. Poi scrive i numeri d’inventario, basterebbero, ma vuole aggiungere i titoli. Trattiene il respiro prima di ogni parola, vuole che tutti vedano quanto è brava, lei che ha un nome da mille e una notte e un’origine meticcia.

 

La mamma con la faccia triste guarda gli scaffali e ascolta – si vede – la socialità sfrenata della sua bambina. Mi chiede da dove vengo nel suo italiano sicuro soltanto un po’ colorato dalla pronuncia di chi viene da lontano. Sa che non sono del paese. Dico il nome della mia città. “Com’è?” chiede, e ripete il nome della mia città. Io sto per dire una banalità, sto per dire “bella”, sto per dire qualcosa di inutile. Poi mi accorgo che è una domanda affamata, e che io non ho mai pensato ad un luogo in quei termini, come ad una foresta dove cacciare, come ad un pozzo dove trovare l’acqua. Dovunque io sia vissuto ho sempre trovato casa e accoglienza, senza sforzo, invece la mamma con la faccia triste è fin troppo evidente che ha attraversato un destino arduo e ingeneroso. È giovane ma deve aver lottato molto. All’improvviso ricordo le parole del giorno in cui l’ho conosciuta, qualche mese fa, sempre con i libri e Bibliotecamagia a fare da sfondo: “conosci qualcuno che cerca una donna delle pulizie?”. Niente acqua nel mio pozzo, non conoscevo e non conosco nessuno con quell’esigenza.

 

La bambina con il nome da mille e una notte si accorge che il foglio del registro su cui ha appena finito di scrivere è l’ultimo. E adesso? Adesso ne cominciamo un altro, le dico indicandole i vecchi registri, rigorosamente confezionati in casa. Mi spingo oltre, le chiedo se vuole disegnare la copertina, già altri ragazzi e bambini l’hanno fatto, in passato. Si illumina – se possibile – di più. “Però io non ho un foglio così, non ho un foglio bianco”. Un foglio A4, intende. Apro il cassetto della stampante e metto una decina di fogli in uno dei libri che la bimba sta per portare a casa, in quello più grande.

 

Il pomeriggio continua, ciao, risuona il nome da mille e una notte, la mamma è sempre triste e questo è soltanto un giorno di genaio.

 

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Appello!

Bibliotecamagia è la succursale di Scuolamagia. Apre il venerdì pomeriggio dalle 16 alle 18. Dalle 14.30 alle 16 è aperta lo stesso ma in 6 o 7 strimpelliamo re minori e fa#- e allora chi legge è pregato di fare piano per non disturbare. L’età media dei visitatori è 12,78, il vecchietto che alzava la media ha già letto tutti i libri 2 volte e forse ci tradisce con un’altra biblioteca. Sui tavoli i libri più gettonati e magari le ultime acquisizioni sono spesso coperti di briciole e questo problema mi ripropongo di risolverlo, ma è difficile senza che venga leso il diritto di merenda.

Siamo alle solite. Siamo alla solita democrazia partecipativa. Le istituzioni stanno per sganciare la grana. Del vil denaro può essere redento trasformandosi in libri librini e libercoli, volumi e tomi, cidì e divudì. Torniamo dunque allo spirito delle primarie e della prima volta, siate voi a suggerire.

Si scrive nei commenti: autore, titolo, editore.

La tabella di excel per la libreria ancora per stavolta la compilo io.

Conto su di voi.

E grazie.

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Le parole che contano

Con l’aria da adulto spocchioso ho detto a Scarpette Gialle che mi sarebbe spiaciuto abbandonasse il suo blog, nato quando era una mia alunna, per convertirsi a uno di quei social network che imperversano tra i suoi coetanei, pagine di pura e semplice autopromozione, ammiccamenti e idee zero. Gliel’ho detto, con l’evidente intento di provocare la sua mente vivacissima. Ma ho sbagliato, ho sbagliato forte. Ho sbagliato tutto. Sì, perché Scarpette Gialle era entrata a Bibliotecamagia proprio con lo scopo di scrivere una pagina sul suo vecchio e caro blog, perdurando in casa sua vecchi problemi di connessione alla rete. Voleva ricordare un ragazzo morto due giorni fa dalle sue parti, un aspirante dj travolto dal folle gioco della velocità a bordo di un auto dalla grandezza spropositata. Era triste, la quattordicenne. Ed erano tristi i suoi amici e le sue amiche che sono entrati per restituire un libro, o a portarmi un saluto. Erano colpiti e sperduti, come davanti alle cose che nessuno ti può spiegare, nemmeno i grandi, i grandi meno di chiunque altro. Adesso non resterebbe che indirizzarvi con un link allo struggente scritto della ragazza, se soltanto il computer della biblioteca non l’avesse ingurgitato spegnendosi all’improvviso e inspiegabilmente. Crudelmente. Quelle parole c’erano, però, io le ho viste, e questo è quello che conta.

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Il tema

Il messaggio arriva che è mattina prestissimo, ad un’ora che certi occhi non credi nemmeno possano esistere, aperti. E invece le parole sul display sono chiare: “Buongiorno! Mi aiuta a fare un tema sulla fortuna? Vengo in biblioteca oggi pomeriggio…”. Pazienza non vederla da mesi, pazienza non sapere di che colore avrà i capelli in questo momento storico: G è G e un tema è un tema.

Ma la fortuna? Che fortuna sarà? Oh, non sarà mica quella di Machiavelli e il suo fiume da arginare colla virtù? Sarò in grado? È da tanto che non maneggio certi classici e G ormai frequenta la 3ª.

Ci si mette lì che sono le quattro, premetto subito che io non compongo e non scrivo. Non sarebbe corretto, sarebbe controproducente. Io lavoro di maieutica socratica, offro al massimo qualche spunto, aiuto a mettere ordine. La traccia stilata dal collega (sono gelosissimo: il giudizio che sto per formulare non ha alcun fondamento razionale) è una cosetta flaccida: due proverbi incastonati dentro tre righe insipide.

Non lo so cosa scriverà alla fine G. Pensa pensa abbiamo accennato pure a Machiavelli, anche se non era richiesto. Chissà se citerà Paperon de’ Paperoni e la sua Numero Uno: lo spero, un po’ di cultura pop non stonerebbe dentro le sillabe ciccione della calligrafia di G. Dirà “malasorte” o oserà dire “sfiga”, bandendo il politically correct?

Il messaggio arriva che è sera e certi occhi non ci credi che possano essere stanchi. Le parole sul display dicono “Grazie” e valgono una fortuna.

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Piccola posta, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Ti ricordi quei giorni…?

Il 21 marzo di 5 anni fa era un giorno di sole, segno tangibile di una primavera puntuale. La mattina ero entrato in classe coi i giornali sotto il braccio per una di quelle lezioni un po’ improvvisate che possono andare benissimo o malissimo, in cui un cucciolo può uscirsene con parole illuminanti oppure perdersi nella banalità di qualche immagine pubblicitaria. “Repubblica”, “Corriere” e “Manifesto” offrivano le stesse fotografie, gli stessi cieli accesi di bombe. Non facevano troppo effetto, ricordo, e più di qualcuno aveva in fondo già visto Lilli Gruber raccontare l’inferno con i fuochi alle sue spalle. Facendomi strada tra qualche ironia ho tessuto quindi l’elogio della rete satellitare Gay.tv, coraggiosa nello scegliere l’antiretorica di uno schermo nero: oggi non si balla, oggi qui è chiuso, pensateci: là fuori c’è una guerra.

Ma quel venerdì è stato soprattutto un venerdì pomeriggio. Si inaugurava la biblioteca, quella che sarebbe diventata bibliotecamagia. Per mesi avevo portato i ragazzi ad affondare nella polvere. Come direbbe Veltroni, ero forse riuscito a far venire loro, i miei marinai, il desiderio del mare. Bisognava crederci in quel sogno, bisognava immaginare quegli spazi come la propria casa, come il posto dove poter sempre trovare un rifugio. C’era stata l’euforia delle lezioni picaresche, il passamano dei libri da spostare, gli scaffali da allestire, una piccola burocrazia classificatoria tutta fatta in casa e tutta da inventare. C’erano stati lo scetticismo e lo scoramento, i “tanto non ci verrà mai nessuno” erano all’ordine del giorno. Poi era arrivato quel venerdì pomeriggio e le piccole stanze della biblioteca si erano riempite di ospiti. I volantini con il disegno di Andrea Pazienza avevano svolto appieno la loro funzione. Ricordo uno slogan, naturalmente ignaro del futuro: “…non sai la capitale della Birmania??? Vieni a scoprirla nella biblioteca di…”.

Da allora sono stati tanti i pomeriggi trascorsi in quel luogo speciale. Pomeriggi a raccogliere fiori.

Il registro delle firme – con i suoi nomi, i suoi soprannomi, i suoi disegni, le sue parolacce – testimonia di una fedeltà crescente a quelle pareti e a quelle sedie.

Il 21 marzo 2003 – giorno lungo come tre giorni – ho assistito, a sera, al concerto di Francesco Guccini trovando stanche e ripetitive le sue parole, “uguali a tante che già mi cantò”.

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Soletta, Tutte queste cose passare

Il punto

C’è un altro anno che finisce. C’è un nuovo articolo sulla biblioteca da scrivere. Sembra quasi di rispondere a una domanda: come sta la biblioteca? Bene, grazie. Non ci si può lamentare. Certo, sì, qualche malanno di stagione: un po’ di disordine, qualche libro non restituito. Ma davvero: bene grazie. Le stanze sono belle piene di ragazzi, i ragazzi di Forni Avoltri. Da quelli dell’88 (W L’88!), che una volta arrivavano in bici e oggi parcheggiano un’automobile, a quelli del ‘96 (W IL 96!), che hanno appena cominciato a frequentare la Secondaria di primo grado. E in mezzo tutti gli altri: W 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, e ho quasi finito la vernice. Arrivano e parlano, raccontano, si raccontano, navigano su Internet, vanno su YouTube, organizzano il Fantacalcio (comprano Quagliarella, vendono Camoranesi…), suonano la chitarra, scherzano, scrivono e disegnano sul quaderno delle presenze, quando non sono tristi – raramente, ma capita di esserlo – ridono, ridono tanto, prendono accordi in vista di nuovi incontri. Leggere non leggeranno tantissimo, ma ci sono, e lì dentro sono i colori. Tutti i colori. A leggere ci pensano gli assidui, quegli adulti curiosi che fanno finta ci sia silenzio per immergersi nella contemplazione degli scaffali, e cercano e scavano e riemergono soddisfatti con la pubblicazione sui Cosacchi o con il dizionario delle erbette balsamiche. Poi ci sono i bimbi che spalancano gli occhioni impauriti e non sanno che libro scegliere. Quelli si tratta di aiutarli, di prenderli per mano.

Bene, quindi, dicevamo. E poi ci sono gli armadi nuovi, montati dai ragazzi, anche se lo spazio non è mai abbastanza. Presto arriveranno pure un bel po’ di libri nuovi nuovissimi,  per non dire di quelli donati, che di arrivare non hanno mai smesso.

Insomma, bene, e intanto sono già passati 5 anni. Se non dalla riapertura ufficiale della biblioteca – per quell’anniversario occorre aspettare il 21 marzo 2008 – almeno dall’idea di Barbara e dal lavoro progettato e svolto con 11 alunni di quella che allora si chiamava Scuola Media.

Rischio di ripetermi, ma la biblioteca gode davvero di buona salute. Le manca una cosa, però, a dirla tutta. Una cosa che non costa niente ma può valere tantissimo. Le manca un nome, un nome che non sia generico. Capaci tutte, le biblioteche, di esser “civiche”, di esser “comunali”. Ci vuole un nome, ci vuole un’intitolazione. Ci vuole una bella targa. Sì, una targa chiara. Sobria. Una targa di legno. E il nome? Quale nome? Ci penso ogni venerdì, a qual è il nome giusto da onorare con il battesimo della biblioteca di Forni Avoltri. Mi fermo davanti alla porta d’ingresso, un istante prima di inserire la chiave nella toppa, e recito un nome e un cognome. “Biblioteca comunale Sandro Pertini, …Eugenio Montale, …Lorenzo Milani”. Poi penso che quelli sono nomi illustri, ma adatti ad una biblioteca “normale”. So anche che non occorre andare lontano per incontrare personalità di prestigio che hanno dato lustro alla Val Degano e al comune di Forni Avoltri, personalità che meritano di essere celebrate e ricordate. Però sono anche convinto che serva il coraggio di guardare più lontano, che si tratti di “sconfinare”. Il nobile gesto di preservare la propria identità non viene contraddetto – anzi, viene amplificato – nell’aprirsi alle culture degli altri.

Dipendesse soltanto da me (mi guardo bene da tale arroganza), intitolerei la biblioteca di Forni Avoltri ad Anpalagan Ganeshu. Chi è Anpalagan Ganeshu? Chi era, Anpalagan Ganeshu. Era un ragazzo di 17 anni nel 1996 (W IL 79!), quando ha lasciato lo Sri Lanka alla volta dell’Europa. Alle spalle, nel suo paese, la vita difficile di chi appartiene all’etnia tamil, minoranza ferocemente aggredita, ma nel cuore il sogno grande di raggiungere l’Inghilterra e una laurea in ingegneria informatica. Era uno studente modello, Anpalagan, morto e dimenticato in fondo al mare nostrum, a poche miglia dalle coste siciliane. Solo uno tra i tanti, uno tra le centinaia di migranti che ogni anno spariscono inghiottiti dal Mediterraneo. Uno per ricordarli tutti. Certo, i fenomeni migratori sono faccende complicate che affondano le radici nel passato e si innestano con forza nelle visioni del futuro. Qui si tratta solo di ricordare ciò che è stato e riconoscere ciò che quotidianamente continua ad accadere. E farlo a Forni Avoltri – agli antipodi del mare, a tasso di immigrazione zero – forse sarebbe ancora più importante. Lancio questa semplice proposta all’Amministrazione Comunale e a tutti gli abitanti, frequentatori della biblioteca o meno. Ignoro cosa comporti, in termini di burocrazia, l’intitolazione di un luogo pubblico. Dipendesse anche questo da me, sarebbero sufficienti un chiodo, un pezzo di cartone e un robusto pennarello. Questa è la mia proposta, mi piacerebbe foste d’accordo con me. Ma non sarei dispiaciuto qualora ne giungessero di altre.

Come sta la biblioteca? Bene, grazie. Dentro si fan tante cose, e il tempo ti passa come niente, ha affermato un giorno Nicola. Lo scrittore Gian Luca Favetto, a ottobre nostro graditissimo ospite, si è permesso di contraddirlo dandogli ragione: “Mi piacerebbe che lì dentro, per te, il pomeriggio non passasse come niente, ma passasse come se fosse tutto, pienissimo e indimenticabile”.      

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia

Il Circolo del Popolo della Lettura

Salgo sul predellino della mia Peugeot e rivolgo agli eLETTORI un appello dalle forti tonalità populiste.

Un paio d’anni fa, di fronte ad un cospicuo contributo del Comune per l’acquisto di libri, Barbara ed io abbiamo mobilitato il popolo degli aficionados di Bibliotecamagia affinché suggerissero titoli e autori. Per qualche venerdì sono circolati cataloghi assortiti e apposite tabelle da compilare. Le richieste sono state tutte in linea di massima esaudite, comprese quelle del marmocchietto di 3 anni che davanti alle fotografie dei vari volumi acquistabili ha puntato il dito su “queto” piuttosto che su “queto”. I soldi, 630 euro, questa volta non sono tantissimi, ma il problema vero è il tempo. Infatti sono venuto a conoscenza di questa possibilità soltanto oggi e devo compilare l’apposita richiesta entro e non oltre giovedì mattina.

Mi aiutate?

Non pensate ch’io sia a corto di idee. Datemi un paio d’ore e di libri ne ordino per 180.000 euro.

Ma se lo facciamo insieme è più bello. E democratico, mi piace credere.

Se siete possessori di una tesserina gialla, se avete a cuore le sorti di Bibliotecamagia, se siete soltanto frequentatori della Pozzanghera, cliccate su “commenti” e scrivete un paio di Titoli che vi hanno cambiato la vita. Meglio se non rimanete anonimi, in un modo o nell’altro palesatevi.

È una pozzanghera ma oggi sembra quasi un gazebo.

Grazie!

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Fiori di biblioteca (3)

Per chi ancora non lo sapesse, gestisco una biblioteca di montagna e lo dico con fierezza da parvenu. È la mia casa al mare, la mia villa con piscina, il mio SUV. Me ne vanterei al bar, se solo andassi al bar. Ma gestire Bibliotecamagia per me è come gestire un bar di successo. Nella pozzanghera ho già parlato dei miei venerdì pomeriggio in questo luogo speciale, ne era nata una sorta di rubrichina (tipo qui, tipo qui) che riprende oggi e poi si vedrà.

 

Ale entra ed esce quasi subito. Il tempo per dirmi che va un po’ meglio. Che non ha versato altre lacrime e gli occhi non le fanno più male. Il problema è grosso ed è ancora lì, ma lunedì si ricomincia a lottare. Chiede poi se mi rendo conto che le mie scarpe nuove le producono bambini asiatici sfruttati e sottopagati.

 

Niky arriva per primo con la chitarra. Io mi sto già accordando. Suoniamo un pezzo latineggiante composto dal sottoscritto e ci trasferiamo su YouTube dove il nostro grande maestro ci fa sospirare. Tra un diobon (lui) e un madonna (io) decidiamo cristianamente che per venerdì prossimo lavoreremo su 2 pezzi classici.

 

Corrado dice di essere stato punito con una nota per aver detto in classe, alle superiori, “Boia chi molla”. Meritatissima. Però mi parla anche di una ricerca su Che Guevara da consegnare a breve e allora mi perdo e non capisco. Così gli parlo dei Fatti di Reggio e degli anni ’70, ma mollo subito anche se non son boia.

 

Grè arriva alla fine. Appoggia la bicicletta, mi si siede di fronte e sorride limpida. Mi dicono sia passata spesso in biblioteca d’estate, chiedeva di me e poi spariva. Io la pensavo durante i miei mal di testa che sono come i suoi, e accadono ancora, porcavacca, ma lei sembra davvero più forte e lucida, combattiva. La scuola per operatrice dei servizi sociali intanto va avanti: c’è già stato un tirocinio coi poppanti, presto verrà quello coi vecchietti e per ultimo ci sarà quello coi disabili. Sempre più difficile, sembra volermi dire colla faccia seria. Chiede poi se mi rendo conto che le mie scarpe nuove sono davvero bellissime.

 

Barbara la biblioteca l’ha inventata. Di mestiere fa la mamma, ma ormai da una vita per me è una collega. Professoressa honoris causa. Io e lei abbiamo le chiavi, quando io non posso può lei e viceversa. Quando ci siamo entrambi lei si sobbarca tutto il lavoro sporco (catalogazione, prestito, sistemazione dei libri) per permettere a me di strimpellare con Niky, chiacchierare con Ale, con Corrado, con Grè. Troppa grazia, grazie.

Standard
Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Soletta

Naudo

Niki ed io, nel corso della consueta session del venerdì pomeriggio in biblioteca, prima e dopo aver interpretato Una poesia anche per te di Elisa (e io cantavo, cantavo, cantavo e quel meraviglioso compagno di plettro mi sopportava, mi sopportava, mi sopportava…), abbiamo scoperto che Naudo esiste e ora non siamo più gli stessi. O meglio, siamo tristi perché siamo ancora gli stessi e non siamo – né io né lui – …Naudo.

1, 2, 3, 4, 5

Standard