Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

…ed è l’odore dei Limonov

E alla fine nella Pozzanghera è finito anche Limonov, il libro alla moda, il libro che spacca, il libro politicamente scorretto. Letto d’un fiato, e ora il fiato sa di limone, anche se quel “nome d’arte” in russo ha poco a che fare con gli agrumi e più con le armi. Granata, non granita.

Una lettura da cui credo di aver imparato un sacco di cose utili per capire certi snodi del presente e per immergermi in fatti più o meno remoti del secolo scorso. Ma il fascino di Limonov quello no, quello non l’ho captato, respirato, subodorato. Non avrò nulla di eroico e dannunziano, prevarrà in me un fondo di banalità e di buonismo, ma quando leggendo e sottolineando non pensavo che il protagonista fosse un fascista era perché stavo pensando che fosse un idiota, e quando non pensavo che fosse un idiota era perché riflettevo sul fatto che fosse disumano, e quando non pensavo che fosse disumano era perché lo consideravo maschilista, e quando non pensavo che fosse maschilista era perché pensavo che fosse – più semplicemente – una merda.

Standard
Piccola posta, Soletta, Stream of consciousness

Venute al mondo

 

 Penso a dove sono finite, ventiquattrore dopo.

Copie di giornale, allegato al quotidiano del sabato.

Quelle lasciate sui sedili di un Frecciarossa o di uno sgangherato treno locale.

Quelle appoggiate sul termosifone del bagno, a fianco del water, sfogliate fino a pagina 10, ché magari era un falso allarme.

Quelle cestinate all’istante: roba da donne, solo pubblicità, vestiti e creme antirughe.

Quelle lette avidamente, sì, ma soltanto l’oroscopo, in una delle ultime pagine.

Quelle che qualunque fine facciano, sono 50 centesimi caricati sul prezzo già alto del giornale.

Quelle inzuppate di pioggia, abbandonate nel cestino dei rifiuti a quattro passi dall’edicola.

Quelle già stivate nel bidone giallo dei bravi cittadini, carta con carta, insieme ai depliant pubblicitari e al cartone delle merendine.

 

Per tutte le altre, forse c’è ancora una speranza.

Che qualcuno le trovi, le prenda in mano e vada, e corra a pag. 60.

Per leggere storie vere di donne, nella Sarajevo assediata. Storie di vent’anni fa, anche se sembra ieri.

Storie così:

 

In un altro ufficio postale, a Marindvor, in cui la gente entrava solo per trovare riparo, una donnetta anziana parlava a un telefono, parlava e piangeva, si rivolgeva a una figlia, le raccontava delle cose confuse, poi ricominciava a piangere. Durò a lungo, nessuno le badava. Quando finì, si rassettò il soprabito sdrucito e uscì, vidi che il telefono, restato sulla sua mensola, non aveva fili.

 

A raccoglierle – ma tra i propri ricordi: sono storie di prima mano – è stato Adriano Sofri.

Se la vostra copia è rimasta davvero sul sedile del treno, non disperate. Copio il pezzo nei commenti del blog.

Ma la prossima volta state più attenti. 

Standard
Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Mucche alla riscossa

C’è un qualunquismo ingenuo e quotidiano da cui nessuno può dichiararsi immune. Alzi la mano chi non abbia almeno una volta nella vita voluto cancellare una Comunità Montana, preferibilmente una di quelle a 39 metri d’altitudine sul livello del – e a due passi dal – mare.

Finisce poi che si perda il senso delle parole, però. Perché “comunità” è un termine stupendo, e “montana” è un aggettivo prezioso.

Sarebbe piaciuta un sacco ad Alex Langer, la storia raccontata oggi su “Repubblica” da Carlo Petrini.

Protagoniste sono 3 comunità montane, due in Italia e una in Bosnia. Le due italiane offrono in regalo rispettivamente un uomo di gran cuore e 48 vacche. Quella bosniaca riceve commossa gli animali e l’uomo, Gianni Rigoni Stern, figlio di Mario. Accogliendo quest’ultimo come un indispensabile “libretto delle istruzioni”. Perché a Sucéska, comunità montana della Bosnia Erzegovina, dal 1995 gli uomini che accudivano il bestiame e guidavano l’agricoltura non ci sono più, spazzati via dal più grande crimine commesso in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Gli anziani, le donne e i bambini che sono rimasti a vivere in quella terra di per sé difficile avevano bisogno di ricominciare, di ripartire. E da soli facevano fatica.

L’idea di aiutarli, e di farlo anche così, è venuta ad un’attrice di teatro, Roberta Biagiarelli, che da tutta questa storia ha tratto anche un film. Che io voglio assolutamente vedere e adesso metto a soqquadro Google finchè non scopro come procurarmelo.

Standard