E alla fine nella Pozzanghera è finito anche Limonov, il libro alla moda, il libro che spacca, il libro politicamente scorretto. Letto d’un fiato, e ora il fiato sa di limone, anche se quel “nome d’arte” in russo ha poco a che fare con gli agrumi e più con le armi. Granata, non granita.
Una lettura da cui credo di aver imparato un sacco di cose utili per capire certi snodi del presente e per immergermi in fatti più o meno remoti del secolo scorso. Ma il fascino di Limonov quello no, quello non l’ho captato, respirato, subodorato. Non avrò nulla di eroico e dannunziano, prevarrà in me un fondo di banalità e di buonismo, ma quando leggendo e sottolineando non pensavo che il protagonista fosse un fascista era perché stavo pensando che fosse un idiota, e quando non pensavo che fosse un idiota era perché riflettevo sul fatto che fosse disumano, e quando non pensavo che fosse disumano era perché lo consideravo maschilista, e quando non pensavo che fosse maschilista era perché pensavo che fosse – più semplicemente – una merda.