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Ci fosse ancora Alex Langer…

 

Si gioca così.

È facile.

Basta fare finta che non ci sia mai stato un lunedì di vent’anni fa, che non sia mai diventato famoso, suo malgrado, un albicocco di Pian de’ Giullari. Che certi pesi di cui non sappiamo si siano come per miracolo dissolti, evaporando nel caldo di quell’inizio di luglio, un attimo prima.

Alex Langer avrebbe oggi 69 anni.

Sarebbe ancora una figura importante per il nostro paese.

Sarebbe stato fatto anche il suo nome nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica. Scettici avremmo commentato: “sì, magari…”. Infatti non lo avrebbero eletto.

Avrebbe un account su Twitter, risponderebbe a tutti e non si lamenterebbe per qualche troll. Più che per scriverci, lo userebbe per dare spazio agli altri e alle notizie dal mondo. E per promuovere le giuste cause.

Andrebbe poco in tv, dalla Gruber, forse da Floris, da Lerner ci fosse ancora Lerner.

Forse avrebbe con sé un iPad. Manderebbe milioni di mail, ma avrebbe conservato il vizio antico di scrivere una lettera.

Sarebbe a Lampedusa ogni 3 giorni, ma sarebbe di casa anche ad Erbil, tra i bambini siriani in fuga. Sarebbe tornato in Bosnia, va da sé.

Gioirebbe per i ponti in costruzione tra Washington e L’Avana.

Avrebbe simpatia per il Presidente Usa, nonostante quello stare sulla scena, sul pulpito (figaggine, la chiamano con termine tecnico), sarebbe la cosa più distante dal suo fare eternamente goffo, impacciato.

Amerebbe questo Pontefice, senza dubbio, e ne sarebbe ricambiato.

Si batterebbe per i diritti in pericolo, e per il raggiungimento di quelli che mancano. Camminerebbe sulla strada di un gay pride, incontrerebbe quotidianamente giovani e studenti. Non sarebbe “renziano”, ma nulla lo legherebbe alla sinistra radical-spocchiosa. Avrebbe in tasca la tessera dei Verdi, che probabilmente con lui non si sarebbero estinti. Sarebbe andato in Grecia spesso e da molto tempo, non ad urne aperte e a frittata fatta.

Avrebbe occhiali meno improbabili e lo sguardo dolcissimo.

(Continuate pure, il gioco è di tutti…)

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Ragazze davvero pronte alla vita

 

Non era male, l’idea di esser “pronti alla vita”. Ci si poteva quasi credere. Poi basta mezzo pomeriggio di strade milanesi in fiamme con il più prevedibile dibattito che ne potesse sorgere (infiltrazioni, manganelli, Alfano, figlidipapà, Genova, la Diaz, Bolzaneto, i cappucci, i servizidordine, Fedez, i tatuaggidiFedez, gli errori di grammatica di Fedez, arrestiamolitutti, arrestiamoFedez, il manifestante intervistato a TGcom24 che voleva fare “bordello”, la mamma di Baltimora, la mamma di Fedez, la mamma di quello che voleva fare bordello ma qualcuno ci pensa a quella povera mamma?, gli hashtag di Severgnini, le ragioni della protesta, la tipa in posa davanti alla macchina bruciata, quelli che “erano solo 500”, …) e tutto si ridimensiona, a cominciare proprio dai i sogni.

Non siam per niente pronti. Alla vita, s’intende.

Non è detto che non lo sia qualcun altro, però.

Come ad esempio le Skate Girls of Kabul fotografate da Jessica Fulford-Dobson, che con i loro colori sono riuscite a strapparmi dal nero dei cappucci e dal grigio delle parole, le nostre parole, in questo strambo primomaggio.

Nessun riassunto, ché si capisce tutto al volo. Quei visi sono più che sufficienti.

La prontezza alla vita, insomma, spiegata bene bene.

Per quando magari decidiamo di riprovarci.

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Meglio esserci, a Parigi

 

Piuttosto apprezzato e condiviso, a margine della marcia parigina di oggi, il lavoro certosino di chi ha spulciato nelle carriere dei leader mondiali presenti mettendo in evidenza pratiche censorie abituali, oltraggi assortiti ai diritti umani più elementari e porcate di ogni natura.

Ben fatto. Operazione meritoria ed “ipocrisia” è davvero la parola giusta da usare.

Detto questo, però, non sarebbe il caso di aggiungere che è comunque meglio che quei capi di stato siano sfilati in quelle piazze ferite, abbiano calcato quei boulevard parigini?

In fondo quel gesto di “esserci” non li inchioda un pochetto, non fa loro firmare una sorta di contratto capestro, non li impegna pubblicamente al rispetto dei valori posti implicitamente alla base della manifestazione? Un po’, s’intende. Undici, non millemila. Comunque meglio di zero.

La volta che il mio alunno più disgraziato fa i compiti, ha proprio senso che io gli ricordi soltanto tutte le vecchie inadempienze scolastiche?

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Il mondo salvato (?) dai ragazzini

Abbiamo rischiato di avere un Ministro degli Esteri trentenne.

Peccato, avrei corso volentieri il rischio.

E pure donna, il cerchio del rischio era infuocato.

Nel pomeriggio dei lunghi manganelli ho immaginato un capo delle forze dell’ordine – unificate, con un occhio alla spending – con le medesime caratteristiche: fresco di laurea, con lo smalto sulle unghie.

Anche Paolo Gentiloni dovrà occuparsi di unghie smaltate, quelle che gridano vendetta dentro i dossier dall’Iran.

Nei giorni scorsi girava per Twitter, rimbalzando da un inviato speciale canadese a un politologo statunitense, da un’osservatorio sull’Asia ad un filosofo australiano, una carta tematica sull’età media della popolazione in Africa.

Solo la Tunisia si colloca appena sopra i 30 anni, comunque 14 meno dell’Italia.

In Niger, per dire, la media è 15. In Burkina Faso 17.

Siamo davanti ad un mondo ragazzino, un affare complicato per ministri al massimo trentenni.

Manca una foto, a corredo di questa disamina geopolitica (inutile, in quanto proveniente da un vecchio di quasi quarant’anni).

Eccola, è di oggi, massimo di ieri. Ritrae un giovane burchinabè dentro il suo paese in rivolta.

Chissà se l’ha vista anche il nuovo titolare della Farnesina…

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Il piccolo fiume incontra il Grande Fiume

 

Il piccolo fiume si forma a poco a poco, da tanti piccoli affluenti silenziosi.

Eccolo radunarsi nei pressi del lungo ponte e delle quattro strade che vi convergono, due di qua, due di là.

Il piccolo fiume è fatto di persone, alcune scese da macchine in transito, altre accorse dopo aver abbandonato il piatto della cena in corso, nelle case vicine.

Ad attirare il piccolo fiume è il boato del Grande Fiume, impetuoso come non accadeva da anni, prepotente nel suo folle correre verso il mare. Ad accelerare il cammino di quei piedi sono le sirene di soccorsi prestati non lontano da quel luogo, in un punto da cui provengono anche luci lampeggianti.

La processione si sparge lungo il ponte e sulle sponde, raramente così vicine al flusso dell’acqua. Capto le poche parole che sfuggono al fragore di quell’onda sporca e spietata con i timidi arbusti cresciuti a riva: “…ti ricordi la piena del ’78, o era il ’79?”, “E quella volta, sarà stato l’85?”. Discorsi di vecchi, quasi felici di ricordare, e di quel potere di confronto concesso loro dagli anni. Intanto, papà stringono forte – con le destre – manine sinistre di bambine attonite e senza domande. Una donna forse prega, e forse è straniera. Ragazzi scesi dagli scooter ridono forte di qualcosa.

La scena si ripete uguale a se stessa. Acqua che rincorre altra acqua. Il film durerà a lungo, e il cielo è gonfio di nuova pioggia.

Il piccolo fiume si dissolverà molto prima del Grande Fiume. 

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Le storie di Scuolamagia, Soletta

Cartolina di Forni Avoltri

 

Marcello, Cristiano e Thomas hanno raccontato con un video il loro paese, che è poi quello in cui ha sede Scuolamagia e in cui mi reco ogni giorno a bordo della mia aula, pardon… della mia auto. L’hanno realizzato a scuola e nel corso dei loro pomeriggi, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Ad unire tra loro le varie scene hanno voluto che fossero le biciclette.

Le ricadute sul Pil del comune in cui vivono saranno inevitabili e incalcolabili (incremento dei flussi turistici, commesse industriali…), ma i 3 giovani cineasti hanno agito in maniera del tutto disinteressata, concentrati cioè sulle consegne del profdisint e su null’altro.

Buona visione.

 

Domani tocca al secondo video prodotto dalla 3ª C, quello delle ragazze. Stay tuned.

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68/57

 

“…il mio amore per i pennarelli è secondo solo

all’amore che nutro per me stesso.

Pennarello è bello e, se sai usarlo, se lo ami,

sa darti soddisfazioni,

diventa te, diventa tuo istmo,

ne ricordo uno, enorme, bleu

dopo tre anni cominciò ad avere la lingua

secca,

e presi a usarlo per le sfumature ghiaccio delle

mie nuvole, era un buon pennarello, e mi

dispiacque

quando morì, morì per aver perso il tappo…”

 

(Andrea Pazienza)

 

L’impresa è titanica, ma la 3ª di Scuolamagia sa che quando il gioco di fa duro, i duri cominciano a colorare. Si tratta di realizzare un planisfero. Il più grande mai realizzato, a mano, in una scuola media della Repubblica. E se non ci credete speditemi il post di un’altra pazza prof. o di un altro pazzo prof. che commissiona alla sua classe 6300 cm² di terre emerse e oceani da tingere a pennarello.

E qui veniamo all’amore per quegli oggetti, per i quali anch’io da sempre sbando e sbavo.

Non dovete pensare a quei cilindri con la punta grossa, quei sigari cubani di marca scadente (nonostante scomodi un grande pittore, architetto e tracciatore di circonferenze perfette) che vanno per la maggiore nelle scuole. Con quelli si colora in fretta, alla grossa, ma il primo sole basso dell’inverno, come una lancia, trafiggerebbe nazioni e acque, stingendole irrimediabilmente. Pensate a dei pennarelli teutonici, brillanti e slanciati, tenaci e costosi in maniera quasi proibitiva. Pennarelli inquadrati come in un esercito. Rosso chiaro 68/48 a rapporto. “Signorsì signore!”

Per un’ora alla settimana, quindi, eccoci sgobbare in un’operazione che sembra una Vandea didattica, un progetto di retroguardia. Ma come: oggi c’è Google Earth e questi tracciano fiordi norvegesi con le matite e li colorano a crucche tinte??? Nessuna contraddizione, in realtà: c’è un tempo per la vertigine tecnologica di planare col mouse sull’area industriale di Taranto e c’è un tempo per fare il callo sulle dita colorando di verde pisello il Madagascar. Una cosa non esclude l’altra.

Dopo un mese di lavoro, abbiamo imparato a distinguere il carattere di ogni pennarello. Infatti, solo in apparenza quei soldatini sono tutti uguali. Il rosso e l’arancione sono docili, si lasciano stendere con facilità. Il giallo ama il bianco del foglio e girerebbe volentieri al largo dal grigio della matita e da tutti i suoi colleghi. Il verde corre veloce ma non c’è verso, le linee che tracci non s’impastano, continueranno a sembrare astine ravvicinate (l’effetto ad alcuni piace, ad altri meno). Il viola stacca su tutto, è un pennarello arrogante. Il più difficile da dominare, infine, è senza dubbio un azzurro, quello che ha superato il provino per diventare oceano, ruolo ambitissimo. Non c’è verso di farlo star buono: un giorno si comporta come un cagnolino al guinzaglio, il giorno dopo inonderebbe le coste dell’Argentina e se lo guardi bene ti sembra pure più scuro della lezione prima. Capriccioso e anarchico, ma più spesso siamo soliti pensare “stronzo”.   

Si chiama 68/57, e tra un po’ ce lo sogneremo anche di notte. Sogneremo che ci rincorre, che ci dipinge fino a farci diventare dei Puffi.

Dovete capirci: in tutto son 6300 cm², e il 70% della superficie terrestre – si sa, non è una convenzione – si offre alla vista umana con quel colore, e sarà il caso di farsene una ragione…

Ciononostante, “pennarello è bello e, se sai usarlo, se lo ami,

sa darti soddisfazioni…”.

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