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6 ragioni abbastanza originali per votare Sì il 4 dicembre

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Domenica 4 dicembre voterò convintamente “sì”.

Nel corso di questa estenuante campagna elettorale non ho mai cambiato idea, ma ho cercato di mettere in crisi il più possibile la mia posizione. Ho letto i libri di Zagrebelsky, di Onida e di Pertici: tutti e tre paladini del No. Mentana, Gruber, Floris, Semprini, Berlinguer, Vespa: ho dato. Quando ho cominciato ad addormentarmi nonostante gli ospiti dei dibattiti stessero litigando furiosamente, ho capito che ne sapevo abbastanza.

Credo che le differenti posizioni emerse in questi mesi siano tutte più o meno rispettabili: c’è chi ritiene salvifica la riforma costituzionale e chi la reputa una sciagura; tra gli equidistanti c’è chi ritiene brutta la Carta vigente e pessima quella che potrebbe nascere, ma c’è anche chi giudica ininfluenti per i destini dell’Italia entrambe le versioni, la vecchia e la nuova, perché i problemi starebbero altrove.

Quelle che seguono sono pertanto alcune considerazioni a margine, che tentano fondamentalmente di non ripetere troppo il già detto. Si tratta di pensieri che non fanno finta si tratti soltanto di faccende costituzionali, ma hanno ben chiaro come oggetto del contendere – tutto politico – siano pure l’alba del 5 dicembre e gli anni che ci aspettano.

Pensiero numero uno: la metafora della foresta

Ogni fautore del No ha sventolato i suoi spauracchi. Onida e Zagrebelsky non temono affatto gli stessi effetti nefasti derivanti dalla nuova Costituzione. Entrambi non sembrano dare tutto questo peso all’immunità parlamentare dei Senatori additata invece dal manettaro Travaglio. Alcuni invitano a considerare i rischi del combinato disposto, altri ne fanno una questione di forma (il nuovo testo sarebbe scritto in fretta e male). C’è chi vede derive autoritarie e chi premette con forza che derive autoritarie all’orizzonte non ce ne sono.

Se mi dicono che una buia foresta nordica è pericolosa, io mi spavento e arresto i miei passi. Qualcuno mi dice che è un ambiente gelido. Qualcun altro accenna a belve feroci pronte a sbranarmi. Un terzo consigliere non sa nulla di bestie e mi mette in guardia da certe bacche velenose. Arriva un tizio che mi sconsiglia di avventurarmi perché è in arrivo una tempesta, ma in compenso non ha notizia di frutti mortiferi. Insomma, continuo a considerare quel luogo un inferno oppure provo a proseguire con le precauzioni del caso contro gelo, animali, bacche, gocce di pioggia e altre cose che capitano normalmente nelle foreste?

Pensiero numero due: Maria Elena Boschi

Ormai ne ho fatto una ragione di approfondimento quotidiano, di studio, di analisi. Una piccola ossessione. Io devo capire perché la Ministra delle Riforme sarebbe inadeguata a ricoprire quel ruolo. Inadeguata, anche se quelli più tosti preferiscono “unfit”. Da subito, hanno cominciato a dirlo. Niente a che vedere con questa legge di riforma che ha preso il nome della giovane esponente del Pd: fior di Costituzionalisti  criticano aspramente la nuova Costituzione, ma molti loro colleghi altrettanto titolati la promuovono a pieni voti. Uno dei ritornelli più cantati in questa campagna elettorale è stato l’evergreen “entrare nel merito”. E io, nel merito fino al collo, non ho trovato uno straccetto di prova per l’inadeguatezza presunta della Ministra. Uno strafalcione, un qui pro quo, un capire fischi per fiaschi: nulla, zero pezze d’appoggio per la tesi “Boschi-unfit”, ma il paese sembra unanime: quella donna siede sulla poltrona sbagliata. In un paese (anche) di femministe agguerrite, la Boschi può diventare “la fatina delle riforme” senza che si levi una voce critica. Zero, inadeguata e priva di esperienza, punto. In un paese che in quel ruolo ha visto operare un dentista che se vede un’africana pensa subito (e solo) alle banane.

Posso immaginare un coro di voci pronte a smentirmi: c’è la frase sui Partigiani (che poi basta guardare il video…), c’è la Banca Etruria… Nulla che abbia qualcosa a che vedere con le competenze in materia di riforme, quelle che fin da subito han fatto dire ad una (ahimè) maggioranza di italiani che Maria Elena Boschi non era all’altezza.

Ecco, l’improbabile vittoria del Sì avrebbe di buono la sconfitta di un pregiudizio come quello.

Pensiero numero tre: la scuola

L’anno scolastico 2006-2007 si aprì con un annuncio dell’allora Ministro Fioroni (esponente della Margherita, oggi Pd), ai tempi del secondo governo Prodi. “Sarà un ministero-ponte, e io sarò un ministro-ponte”. Come a dire: “mi han messo qui e so che sarà per poco. Sappiate che non intendo rompervi le scatole”. Non accadde nulla e durò quel battito di ciglia, e nessuno nel mondo della scuola ha un ricordo cattivo di quell’esperienza. Nessuno ha nemmeno un ricordo qualsiasi, però. In buona sostanza, fu il contrario del renzismo furibondo e sgraziato applicato alla scuola. Dal 2014 più di centomila assunzioni, una gran bella botta al precariato storico (quella auspicata da tutti), un’iniezione di denari come non accadeva da decenni. Parole d’ordine roboanti, confusione ma anche idee e non solo idee confuse. Bandi sull’innovazione e bandi sull’inclusione. Una comunicazione sbagliata, un po’ di supponenza, chi lo può negare, ma soprattutto soldi, soldi, soldi. Piovuti sopra la scuola italiana che li chiedeva senza risposte da tanto, troppo tempo.

Vincerà il no e tornerà un ministro-ponte. Sarà comunque meglio di un Ministro dell’Istruzione grillino (ve lo immaginate?), che arriverà comunque a breve. Sarà quello dopo.

Pensiero numero quattro: la laicità

Il Governo di cui ci stiamo per liberare è il più laico della storia repubblicana. Vi viene da ridere, vero? Forse è perché non ci avete mai pensato. Il merito va equamente diviso con il Papato meno ingombrante e intrusivo per la vita civile della nazione, lo so. Ma tant’è. Le unioni civili sono lì a testimoniare questa verità: il “cattolico adulto” Prodi, con i suoi governi molto rimpianti, è riuscito solamente a dare un sacco di nomi – pure brutti – ad un diritto sacrosanto. La sinistra che più sinistra non si può ha definito la Cirinnà una legge che discrimina. Ottimo, intanto mille coppie di omosessuali si sono potute unire civilmente e la lingua italiana, libera dal capestro di commi e codicilli, ha fatto il resto: viva gli sposi!

Pensiero numero cinque: i migranti

Poche le critiche all’operato dell’esecutivo in materia di accoglienza. Il problema è enorme: imprevedibili e inquietanti sono i suoi sviluppi. Le istituzioni centrali, tuttavia, hanno gestito l’emergenza e in alcuni casi si sono distinte per slanci umanitari non certo scontati (…lo stesso non si può dire di moltissimi comuni). Abbiamo soccorso i vivi e anche recuperato i cadaveri dei morti. Di tanti morti. Era scontato? No, non lo era. Vent’anni fa, in epoca pre-crisi (i recuperi in mare aperto costano), il primo governo Prodi lasciò sul fondo del Mediterraneo i fantasmi di Portopalo, nonostante l’accorato appello di tutti i nostri premi Nobel.

Immaginate, quando ai comandi ci sarà un governo leghista o quando sul recupero di una nave di disperati si pronuncerà il web.

Pensiero numero sei: la lista

Mi sono allontanato dalla carta costituzionale da modificare o non modificare. Ci torno per l’ultima considerazione. Gira in rete quel meme, quella foto che campeggia sulla bacheca di un italiano su due. Ci son due colonne, il gioco è semplice: da una parte i Costituenti del ’46, dall’altra la banda di Matteo Renzi. Calamandrei contro Boschi, Croce contro Del Rio, Di Vittorio contro Scalfarotto, La Pira contro il Ministro Martina. Sfida impari, no? Volete mettere? Qualcuno ha risposto alla provocazione invitando ad immaginare una nuova colonna inserita a sinistra, dove iscrivere i nomi di Mazzini, Garibaldi, Cavour, ecc. Ci sarà sempre qualcuno di più grande e autorevole, qualcuno che sarà per forza venuto prima. Io provo invece ad immaginare una colonna inserita a destra, con i nomi tutti nuovi da inserire a partire da lunedì 5 dicembre 2016. Sono sicuro che molti di voi la stileranno in un lampo, con ottimismo. Io c’ho provato, mi sono intristito e ho cominciato a scrivere questo post.

 

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Il mondo salvato da Bebe Vio

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Piccola noterella divergente.

Bebe Vio alla Casa Bianca, una notizia di cui si è parlato molto. Come? Così:

  • un 96% di italiani fieri e toccati, quasi commossi;
  • un 2% (fisiologico) di idioti;
  • un 2% di speculatori (“è un gesto strumentale, la campionessa vale, ma nella fattispecie serve solo a raccattare in vista del referendum”).

Poteva andare peggio.

La notizia a mio parere era un’altra. Se Renzi avesse cercato la storia di uno sportivo paralimpico emancipatosi da un passato di dolore, voltato clamorosamente in gioia di vivere come fosse un calzino, avrebbe potuto pescare nel mazzo dei tanti atleti esemplari del Team Italia reduce da Rio. Nessuno avrebbe avuto nulla in contrario se al tavolo di Obama si fosse seduto a banchettare Alex Zanardi. Quella casella – chiedo scusa per la semplificazione – sarebbe stata comunque degnamente riempita.

Bebe Vio, invece, è soprattutto una ragazza. Una ragazza che, se uno non sapesse già diplomata e sul punto di intraprendere una carriera lavorativa, male non starebbe dentro la definizione di ragazzina. Sarà l’aria sbarazzina, sarà per quel sorriso che – en garde – è come una stoccata vincente. Una giovane italiana sul punto di chiudere il cartone dell’adolescenza, prima di dimettersi da quello sporco lavoro fatto di scelte ed errori, sbalzi d’umore e sbalzi d’amore, pianti e brufoli, eroi di cartone, interrogazioni di diritto, selfie e ricerche disperate di identità smarrite. Una tipologia di persona di cui tutti conosciamo l’esistenza, ma che tutti lasciamo spesso lì parcheggiata, in attesa di compiersi, né carne né pesce.

Metti una sera a cena da Obama e invece, per una volta, no.

Premi Oscar, donne che portano sulle spalle responsabilità enormi e hanno meriti universalmente riconosciuti, leader di potenze mondiali e una ragazzina che ricorda a tutti come la vita sia sostanzialmente una figata.

Un punto di vista indispensabile, direttamente da un pianeta misconosciuto.

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Ci fosse ancora Alex Langer…

 

Si gioca così.

È facile.

Basta fare finta che non ci sia mai stato un lunedì di vent’anni fa, che non sia mai diventato famoso, suo malgrado, un albicocco di Pian de’ Giullari. Che certi pesi di cui non sappiamo si siano come per miracolo dissolti, evaporando nel caldo di quell’inizio di luglio, un attimo prima.

Alex Langer avrebbe oggi 69 anni.

Sarebbe ancora una figura importante per il nostro paese.

Sarebbe stato fatto anche il suo nome nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica. Scettici avremmo commentato: “sì, magari…”. Infatti non lo avrebbero eletto.

Avrebbe un account su Twitter, risponderebbe a tutti e non si lamenterebbe per qualche troll. Più che per scriverci, lo userebbe per dare spazio agli altri e alle notizie dal mondo. E per promuovere le giuste cause.

Andrebbe poco in tv, dalla Gruber, forse da Floris, da Lerner ci fosse ancora Lerner.

Forse avrebbe con sé un iPad. Manderebbe milioni di mail, ma avrebbe conservato il vizio antico di scrivere una lettera.

Sarebbe a Lampedusa ogni 3 giorni, ma sarebbe di casa anche ad Erbil, tra i bambini siriani in fuga. Sarebbe tornato in Bosnia, va da sé.

Gioirebbe per i ponti in costruzione tra Washington e L’Avana.

Avrebbe simpatia per il Presidente Usa, nonostante quello stare sulla scena, sul pulpito (figaggine, la chiamano con termine tecnico), sarebbe la cosa più distante dal suo fare eternamente goffo, impacciato.

Amerebbe questo Pontefice, senza dubbio, e ne sarebbe ricambiato.

Si batterebbe per i diritti in pericolo, e per il raggiungimento di quelli che mancano. Camminerebbe sulla strada di un gay pride, incontrerebbe quotidianamente giovani e studenti. Non sarebbe “renziano”, ma nulla lo legherebbe alla sinistra radical-spocchiosa. Avrebbe in tasca la tessera dei Verdi, che probabilmente con lui non si sarebbero estinti. Sarebbe andato in Grecia spesso e da molto tempo, non ad urne aperte e a frittata fatta.

Avrebbe occhiali meno improbabili e lo sguardo dolcissimo.

(Continuate pure, il gioco è di tutti…)

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Enrico e Matteo come Tina e Dominique

 

Voglio dimenticarmi per qualche istante di essere quel fine politologo che sono. Voglio mettere tra parentesi il mio lucido sguardo sulla situazione economica, le mie idee sul futuro del paese, financo il mio bagaglio pesantissimo di studi sulle dottrine politiche e sulle forme di governo.

Voglio ragionare con il candore di un bambino.

Voglio alzare il ditino e suggerire a Renzi & Letta, a Letta & Renzi, di trarre ispirazione da un fatto accaduto oggi alle Olimpiadi di Sochi.

E se la risolvessero così anche loro?

Facile, no?

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Baby box. Quello che metterei nella scatola di un bimbo italiano

Äitiyspakkaus. Letta da qui la parola ha il suono aggressivo di una minaccia. In realtà si tratta soltanto di una scatola, quella che lo stato finlandese , per tramite del suo ente di previdenza sociale, fa recapitare a tutte le donne in dolce attesa.

Äitiyspakkaus ospita trapuntine e cuffiette, forbicine per le unghie e bavaglini, giochi, libri ed altro ancora. Svuotata del suo contenuto si trasforma in una culla, spartana ma accogliente. Dal 1938 i finlandesi ci dormono e ci fanno allegramente pupù. Anche oggi, nell’epoca delle scelte funzionali e della personalizzazione di ogni oggetto, solo un’esigua minoranza rinuncia alla babybox e richiede il corrispettivo in denaro: 140 euro. A testimonianza del fatto che il cadeau dello stato, etico e ostetrico, conserva la sua forte carica simbolica.

Quando va bene una mamma italiana riceve un molto meno poetico “bonus bebè”, comunque meglio di un pugno sul naso; quando va benissimo non le è toccato di firmare una lettera di dimissioni in bianco.

Enrica, la blogger finita nella pozzanghera qualche post fa, si è divertita a stilare il suo elenco di cosucce da infilare nella scatola in versione Made in Italy, ad uso dei vari Matteorenzi (oh, babbo, piglia la s’atola del sinda’o), Beppegrillo (un pacco vuoto, all’interno soltanto l’eco di un vaffanculoooo…), ecc…, invitando i visitatori del suo diario a fare altrettanto.

Dopo lunghe riflessioni ho ammucchiato per ora questi accessori destinati ad un neonato italiano da attrezzare in vista della felicità, venuto al mondo oggi, 17 dicembre 2013.

  

Le Favole di Andrea Pazienza, per imparare prima possibile che al Gran Maestro dei Grigi bisogna fare Perepè.

 

Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante.

 

Tutte le bandiere del mondo, in una sorta di mazzo di carte, tranne quella Italiana.

 

Una matita 2B, giusto compromesso tra precisione e tenerezza.

 

Una chiave a brugola n° 5 (la bici per ogni nuovo nato condurrebbe la nazione al default, ma fornire lo strumento che manca ogni qual volta si tratta di alzare una sella o un manubrio mi pare un trionfo della realpolitik).

 

Un planisfero “down under”, quello con l’Australia al posto del Mediterraneo, lo stivale a testa in giù e le Falkland al posto dell’Alaska. Un’individualità egocentrica si sviluppa anche a partire dalla geografia.

 

L’uovo di legno per rammendare le calze. (Confesso, l’ha citato una volta Adriano Sofri in una lista neanche troppo differente da questa e ho sempre sognato di poterlo scrivere anch’io…).

 

Una scatola di pennarelli di qualità.

 

Un plettro morbido (idem come per la brugola… una chitarra a cranio farebbe sforare il budget).

 

Una chiavetta USB, un pezzo di antiquariato non stona.

 

Una puntata di Giatrus e una di Astroboy.

 

Una confezione di Lego (generalista, però, non “costruisci il Burj Khalifa di Dubai”…).

 

Un poster di Rémy écoutant la mer di Boubat.

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Come WU MINGhia parli?

C’è un parlamentare grillino in ferie che sale in cima a una montagna e pensa bene di filmarsi per comunicare con tutto il movimento e tracciare una sorta di bilancio. Sembra un invasato, sarà l’altura, sarà lo scranno che occupa da qualche mese. Parla dei cittadini ancora da conquistare e il suo ragionare è a dir poco tortuoso: “Siate accoglienti con le persone che pensano di pensarla in maniera diversa da noi e invece no”.

 

Sfoglio “Repubblica”, stamattina, e la parola passa al collettivo dei collettivi, interpellato sul significato del concetto di “sinistra”. Un altro soggetto che ama rivolgersi al popolo, alla società e ai suoi movimenti. Sentite qua:

 

«Sinistra è una parola, è una visione del mondo. Non è fatta per un soggetto immaginario, cambia secondo la posizione da cui la dici. Come parola disincarnata è solo un’imperfetta metafora spaziale, bidimensionale, dunque inadeguata perché il mondo è pluridimensionale, e poi ha un sottotesto “parlamentare” che pesa perfino quando la usi in modo extraparlamentare…».

 

Chiaro no?

(Poi dice che uno vota Matteo Renzi…)

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La prospettiva di Ivan

Che bisogna guardare il mondo da prospettive sempre nuove, da ottiche diverse, me l’ha insegnato, tra gli altri, Ivan Scalfarotto.

Anche scrivendo parole come queste.

Quindi, mentre dalle stelle – tutte e cinque – piovono cattivi auspici che si espandono – a macchia di giaguaro – sul futuro del paese, cambio prospettiva e gioisco per un nuovo onorevole come ce ne vorrebbero mille.

[eco fuoricampo: vaffanculoooooooo!!!]

Cinquecento, vabbè.

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Trento e Trieste all’Italia: ADESSO!

Ora di storia, in aula informatica. Lavoriamo sulla primaguerramondiale, in gergo PGM. Si tratta di fare un po’ il punto, ripassare, consolidare. Da un testo che ho preparato e sparato a tutti sul monitor in corpo 32 ho tolto una serie di parole e concetti chiave: a loro il compito di rintracciarli e inserirli nel posto giusto. Volano rapidi sulle cause del conflitto e sulle alleanze prebelliche, compilando a dovere; procedono lanciati su Sarajevo e sull’escalation militare. Arrivano al paragrafetto sull’Italia spaccata tra neutralisti e interventisti. Bisogna risalire con la memoria a quei tizi fissati con il completamento dell’Unità d’Italia attraverso la riconquista di Trento e della Venezia Giulia. Ma come si chiamavano quelli? Bohhh… Con la “enne”, butta lì qualcuno che forse si confonde coi nazionalisti… No, con la “i”, dice qualcun altro. Da bravo prof. non nego il mio sostegno e mimo l’atto di trapanarmi un molare… Ridono, ma non serve. Allora aiuto di più: “ERANO GLI IRR…, GLI IRR…, GLI IRRE……”

 

E Marimù, raggiante, con le braccia al cielo:

 

“…gli irRENZIANI!*”.

 

* : ovviamente non considero questa uscita della mia alunna uno strafalcione e sono più propenso a considerarla un colpo di genio.

 

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