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Il mondo salvato (?) dai ragazzini

Abbiamo rischiato di avere un Ministro degli Esteri trentenne.

Peccato, avrei corso volentieri il rischio.

E pure donna, il cerchio del rischio era infuocato.

Nel pomeriggio dei lunghi manganelli ho immaginato un capo delle forze dell’ordine – unificate, con un occhio alla spending – con le medesime caratteristiche: fresco di laurea, con lo smalto sulle unghie.

Anche Paolo Gentiloni dovrà occuparsi di unghie smaltate, quelle che gridano vendetta dentro i dossier dall’Iran.

Nei giorni scorsi girava per Twitter, rimbalzando da un inviato speciale canadese a un politologo statunitense, da un’osservatorio sull’Asia ad un filosofo australiano, una carta tematica sull’età media della popolazione in Africa.

Solo la Tunisia si colloca appena sopra i 30 anni, comunque 14 meno dell’Italia.

In Niger, per dire, la media è 15. In Burkina Faso 17.

Siamo davanti ad un mondo ragazzino, un affare complicato per ministri al massimo trentenni.

Manca una foto, a corredo di questa disamina geopolitica (inutile, in quanto proveniente da un vecchio di quasi quarant’anni).

Eccola, è di oggi, massimo di ieri. Ritrae un giovane burchinabè dentro il suo paese in rivolta.

Chissà se l’ha vista anche il nuovo titolare della Farnesina…

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Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Il tuffo di Brittany

Brittany ha un appuntamento con la morte. È fissato per sabato. No, non si tratta di un tragico destino pronto a pioverle addosso, a sua insaputa. La data l’ha scelta lei, agenda alla mano, come si fa con la revisione dell’auto o la messa in piega dal parrucchiere.

Il cancro che ha nel cappello è troppo forte e cattivo, non si tratta di un portafortuna e Brittany è lì tranquilla mentre il mondo sta girando pieno di fretta.

Si è trasferita da San Francisco fino nell’Oregon, dove morire, in un caso come il suo, si può. Per me – ceo della Ignoranti Corporation – l’Oregon significa due cose soltanto: la storia di Brittany e lo scrittore Chuck Palahniuk, che a occhio ne saprebbe trarre un travolgente racconto.

In Italia in molti hanno scritto della scelta di Brittany, in maniera preziosa alcune donne (Chiara Lalli, Daria Bignardi e oggi Emanuela Audisio…) e chissà se è soltanto un caso.

Però dubito se ne parli granchè, nei tinelli italiani in questa fine ottobre di gettoni e manganelli. Peccato, perché ci riguarda un bel po’. Metti che un giorno s’arrivi anche noi sulla soglia di quel diritto…

Scrive oggi l’inviata di “Repubblica”:

«Sarebbe bello non giudicare Brittany, non dividersi, non polemizzare. Quanti di noi alle prese con un tuffo difficile da una scogliera, dicono all’amico: guardami. Perché se tu mi vedi io avrò meno paura. E oggi ci si può far tenere la mano anche online».

Assistere al tuffo di Brittany si può. Basta andare su questo sito e spedirle una sorta di “cartolina”. E pazienza per la retorica e la guerra sporca tra le associazioni pro e quelle contro.

Sulla scogliera si sente soltanto un gran rumore di onde e di vento.

Aggiornamento: Brittany sembra abbia deciso di rimandare il suo appuntamento. Un gesto di libertà che si somma a quello di cui ho parlato nel post.

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Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

E improvvisamente produrre il nuovo disco di Giua

Era la primavera del 2007 e stavo guardando svogliatamente un Tg3 del pomeriggio. L’ultimo servizio, in quota cultura, mostrava una cantautrice coi capelli rossi appollaiata sopra uno sgabello. Cantava e suonava, a margine di qualche festival tenuto chissàdove. Dopo meno di dieci minuti una mail di conferma confermava con fermezza l’avvenuto acquisto di un CD.

Ne sono passate di canzoni sotto i ponti delle chitarre, ma quelle di Giua continuo a cantarle a squarciagola. Perché sono oggetti preziosi, perfetti, prismi con tante facce, facce che riflettono sempre qualcosa di nuovo.

Poi Giua ho avuto la fortuna di conoscerla davvero. L’ho ascoltata ai piedi di vari palchi, ma anche nel corso di esibizioni postprandiali improvvise come urgenze, in osservanza al pervasivo demone della musica.

Un giorno la mia alunna Ilaria ha orecchiato una sua canzone nella mia macchina, durante un breve e casuale tragitto. Conseguenze: amore a prima vista e un messaggio spedito dalla Carnia alla Liguria, complice Facebook.

Un anno e mezzo dopo, Ilaria si “laureava” in terza media con una tesi sulla sua cantautrice preferita, eseguendone un brano dal vivo preparato via Skype, discettando di scuola genovese e di quante cose ci siano in Via del Campo.

Per tutto questo penso a Giua come ad una persona molto, molto generosa.

Oggi, però, è la cantautrice a chiedere a tutti un gesto di generosità e di fiducia, dopo aver lanciato un finanziamento collettivo per la realizzazione del suo terzo album.

Andando qui, tutto è spiegato con chiarezza.

Si tratta si una sorta di patto da stringere, con l’arte e con la bellezza.

Stringiamolo.

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