Res cogitans, Tutte queste cose passare

Aylan che non si chiamava Aylan

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L’avevo letto in un articolo di Adriano Sofri. Quel bambino si chiamava Alan, non Aylan. 24 ore e lo riscrivono correttamente, avevo pensato. Che ci vuole? Son cose che succedono, la concitazione, i fischi che fan presto a diventare fiaschi.

Sono passati i giorni. Sono passati tanti giorni. Alan è rimasto Aylan. Ci è entrato in testa. È entrato nei nostri discorsi, è stato disegnato dai bambini nelle scuole, è stato proiettato durante i comizi e durante i talkshow. Con il nostro nome, però. Perché non ci siamo corretti? Perché i media non hanno detto scusate, abbiamo controllato meglio, sembrava si chiamasse così, e invece si chiamava cosà?

Il sospetto è che suonasse meglio Aylan. Pronunciato Aylàn: vuoi mettere l’esotismo? Alan prima di tutto non sembra il nome di un bambino, e poi di Alan ce ne sono un sacco anche dalle nostre parti. Aylan era perfetto. Semplice, diretto, efficace. E in fondo noi quella storia dovevamo venderla.

Oggi, dopo sei mesi, un padre chiede che suo figlio che non c’è più venga ricordato con il suo vero nome. Prova a ridircelo, di stare più attenti.

Certo, poi il problema è che di corpicini affogati continua ad essere pieno il Mediterraneo, si chiamino come vogliono.

Però non è difficile, e forse siamo ancora in tempo: tasto destro, un clic su rinomina, invio.

 

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