Res cogitans, Stream of consciousness

L’Amaca di Michele Serra, sospesa tra il passato e il futuro

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Le mani dei soccorritori, la marcia notturna sugli sci.

Come tutti, anche Michele Serra porta addosso i segni di una storia che ci ha condotti dinanzi all’essenza di tutto: “c’è un ritorno all’osso”, scrive, “alla materia bruta di cui sono fatte vita e morte, e la tecnologia torna ad essere un accessorio”.

Eccoci, di nuovo lì, al solito posto. Dopo poche righe, nell’Amaca in prima pagina, spunta una ragazza di quell’Abruzzo innevato: si lamenta per l’assenza di campo. Il telefonino non prende. Si capisce che per Serra, il contrario di quell’eroismo d’altri tempi sono i tempi odierni fatti di connessioni e di clic, di condivisioni e cinguettii digitali.

Eppure, è sullo schermo di un cellulare che ieri pomeriggio ho visto la faccia di quel vigile incredulo davanti al bambino che stava aiutando a riemergere da quel gelido abisso; l’immagine, quel viso barbuto, più vicina alla felicità che mi sia capitato di vedere da molto tempo a questa parte.

Gli sci, le mani, le pale e le ruspe (quelle buone, mica quelle metaforiche degli sciacalli coi doposci). Ma anche gli smartphone e Facebook. Tutto sta insieme a tutto, quello che c’è sempre stato con quello che è appena arrivato e dobbiamo ancora imparare a digerire. Siamo anche lì dentro, Michele Serra, ci possiamo riconoscere anche nei gesti nuovi. Siamo nei gesti stupidi così come nei gesti eroici. Il vigile del fuoco che si cala nella pancia delle valanghe domani mattina getterà alle ortiche venti minuti solo per scegliere il filtro giusto per una foto su Instagram, e la ragazza che non trovava campo potrà andare a trovare il bambino superstite all’ospedale di Pescara.

L’Amaca online verrà letta e meditata, se ci sarà campo verrà condivisa e arriverà più lontano.

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