C’era una volta una ragazza che aveva un sogno. Si trattava di un sogno fragile e prezioso, da pronunciare quasi come un sussurro. “Voglio raccontare la Cina”, diceva.
Da quel paese avevano cominciato ad arrivare, in effetti, un sacco di notizie. Sarà stato il botto di quel boom economico, saranno stati gli articoli e i libri di quel Rampini che ci dava dentro con l’informazione, ma raccontare no, raccontare era un’altra cosa. La ragazza intanto aveva preso casa in affitto a Pechino ed era certa che la cosa giusta da fare, prima di mettere mano al suo sogno, fosse osservare e capire, farsi formica tra quei milioni di formiche, farsi bicicletta tra tutte quelle biciclette. No, i cinesi non erano soltanto soldi nelle mani e sputi per terra, e quella società – al netto delle spinose questioni aperte – non andava rinchiusa nel luogo comune della dittatura. L’aria era frizzante, nella capitale si respirava un’energia estranea al vecchio continente. La ragazza che voleva raccontare non ha smesso per un attimo di guardare, di impicciarsi con gli occhi di quelle faccende che stavano cambiando il mondo e prima ancora, la vita di centinaia di migliaia di esseri umani.
È salita sui grattacieli, la ragazza, ma prima ha passeggiato tra gli ultimi hutong. Della Cina ha visto tutto: i circuiti automobilistici e gli impianti sportivi dell’Olimpiade, le rare chiese cristiane e gli ospedali psichiatrici, le dighe chilometriche e gli hangar giganteschi dove milioni di babbinatale imparano ad arrampicarsi come l’uomo ragno sulle facciate delle case d’Occidente. Con tutto si è spostata dentro quel “continente”: aerei e treni, autobus, metropolitane e barche, fino agli immancabili taxi. All’occorrenza, quando certe piogge estive esagerano e allagano le vie di Pechino, ha detto sì al traino umano di un risciò.
La ragazza ha incontrato cinesi di ogni sorta, gettando nella mischia del dialogo quotidiano il suo cinese d’università. Strana faccenda anche quella della lingua: trovi lo scrittore di grido che ti rivolge sentiti complimenti per la tua pronuncia e dopo un paio d’ore la vecchietta che ti vende 2 pesche dal carretto ti abbruttisce come se stessi parlando in coreano. Un capitolo a parte, i bambini. Li ha fotografati spesso, la ragazza. Di nascosto, acquattandosi a margine di un gioco o di una fragola succhiata piano come un piccolo rosso tesoro. Scopro in questo istante che Flickr non è morto come pensavo, e allora andate a verificare se non dicono qualcosa di bello anche a voi, i bambini immortalati dalla ragazza.
Un giorno la ragazza è entrata in un ospedale di Pechino. C’era già stata qualche giorno prima con una troupe della Rai, per raccontare la storia di Li Yue, rimasta sepolta tra le macerie del terremoto in Sichuan, e rivelatasi stella, ballerina senza una gamba, nel corso della cerimonia d’apertura delle Paralimpiadi 2008. La ragazza cercava Li Yue per consegnarle un regalo da parte di sua sorella bambina, prima tra gli italiani a ricevere quel racconto.
La vita in Cina della ragazza è durata sei lunghi anni, nel corso dei quali ha assaggiato ogni aspetto di quel mondo. Raccontare, tuttavia, non è mai stato semplice. Dopo i Giochi l’interesse per quel paese è vagamente scemato, la crisi dei giornali si è giorno per giorno acuita e l’idea di qualcuno che documenta il presente appoggiandoci sopra le suole è parsa a molti direttori eccessivamente costosa. Per vedersi concessa una pagina, servivano storie pazzesche, e la ragazza non si è fatta mancare neanche quelle. Basti pensare alla volta che si è infilata in un’assurda città ai confini con la Mongolia, celebre per i ritrovamenti paleontologici (celebrati da riproduzioni gigantesche di dinosauri in giro per le strade) e per la vivacissima vita dei suoi bordelli. Scambiata per una prostituta russa, ha raccontato la vita dei papponi e, soprattutto, delle vittime del traffico, in uno degli ultimi numeri del glorioso “Diario”.
Tornata in Italia, la ragazza ha fatto altro. Radio e Tv, soprattutto. Il sogno è rimasto lì, sottotraccia. Ogni tanto ha forse pensato di averlo perso, o che si fosse giocoforza prosciugato, estinto. Non è accaduto, invece.
Da oggi la ragazza ci riprova. Unite le forze con uno dei più attenti osservatori di quel mondo (dopo averlo anche lui lungamente percorso), si è inventata un Risciò parlante. Nel suo podcast la ragazza vi racconterà il presente del paese probabilmente già oggi più influente, ma lo farà alla luce di quegli anni di studio matto e disperato.
Lo farà come a qualcuno – a pochi – riesce di dare corpo ai propri sogni.