Se in Italia esistesse oggi una sinistra, non avrebbe dubbi e si schiererebbe con forza dalla parte di Alice Sebesta, la giovane donna tedesca protagonista del tragico gesto nel carcere di Rebibbia.
Se esistesse una parte politica che ha a cuore gli svantaggiati, i dimenticati, chi meglio di quella persona sola e disperata potrebbe essere il centro del suo agire, l’oggetto delle sue attenzioni.
Non sarebbe una bestemmia: quale ultimo è più ultimo di quella madre malata e disperata? Chi ha più bisogno di cura, di attenzione e forse, un giorno, di una nuova chance?
Se in Italia esistesse oggi una sinistra, direbbe forte che nessun bambino deve entrare in un carcere, a sei mesi così come a 15 anni. Se in Italia esistesse oggi una sinistra, non tratterebbe la vita di un bambino ed un astratto afflato legalitario come fossero la stessa moneta.
Contrariamente a quanto accade con i delitti che riempiono cronache e palinsesti, dove c’è sempre un byte libero per uno Ziomichele da mandare a memoria, Alice che ha bisogno di noi, oggi come non mai, nemmeno troviamo il coraggio di nominarla. “La madre”, e ce la siamo cavata.
Scrive oggi Adriano Sofri:
“Tutto questo e molto altro si pensa e si discute, finché si sta dentro il cerchio, il recinto stretto e irto del famoso consorzio civile e della sua scorza annerita. Ma ad uscirne per un momento, ad avere ancora un consunto ricordo dell’essere umani, della tragedia che è la vita, allora non c’è da discutere o da distinguere: c’è solo da gridare all’infamia e alla pazzia, c’è solo da sentire quale colpa deliberata, stagionata, incistata sta addosso a una società simile, che prende distrattamente in un giorno qualsiasi di agosto quella madre e quei bambini e li butta via, coloro che lo fanno per mestiere e coloro in nome dei quali viene fatto”.
Altro da dire, proprio non c’è.