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Il cassetto dei calzini spaiati

Per giorni ho camminato masticando incipit. Ho scritto righe sui fogli di carta più assurdi, dalla circolare del Preside al biglietto del cinema. Tante frasi sono partite ma non sono mai arrivate alla destinazione di un punto.
Pensavo di doverci essere, in punta di penna, dentro un dibattito che forse mi ero solo sognato e in realtà non c’è mai stato.
Tutto è iniziato con quello schianto di ragazzi un sabato sera, triste faccenda di corpi bruciati prima dell’alba. La solita storia della meglio gioventù che diventa gioventù bruciata. Ci ho messo le facce dei miei ex alunni, dentro quelle lamiere accartocciate e disciolte. Una alla volta, perché quelli erano coetanei loro, compagni di scuola loro. Perché quelli potevano essere Loro.
E quindi ho cominciato a scrivere righe che non andavano da nessuna parte. Sono stato a tratti iper-razionale e politicamente scorretto, chiamando stupidità quello che molti hanno subito definito destino. Ma non funzionava, i conti alla fine non tornavano. Il buon vecchio Gadda mi avrebbe bacchettato ricordandomi che la realtà è ben altro garbuglio, un vero e proprio gnommero di cause e concause.
Ho adottato uno sguardo sociologico, allora, di una sociologia d’accatto, spulciando sui profili di Facebook dei giovani carnici – persino di una delle vittime, e l’ho pagata cara, in termini di vergogna – e annotando come tanto presto si possa passare dall’elogio della birra, del “distruggersi”, del sobbarcarsi di metaforiche “scimmie” fino alla bassa, bassissima retorica dei “ora sei una stellina che brilla e ci guarda dal cielo”. Salvo ricominciare, troppo presto, cazzo quanto presto, con le adesioni a gruppi come “PERCHE’ ALCOLISTI ANONIMI? IO CONOSCO IL NOME DI TUTTI I MIEI AMICI :-)”.
Ma mi sono fermato subito, ché non si può inchiodare un essere umano ad un clic di mouse. Il profilo di un social network mica è un curriculum vitae…
Volevo scrivere che se dei diciassettenni si stringono ancora attorno ad una canzone come IN MORTE DI S.F. – è successo, anche nei paesini di montagna dove le strade non corrono né lunghe né diritte – significa forse che il “loro” tempo non ha prodotto una canzone all’uopo. E come si fa a vivere senza una canzone a fianco di ogni emozione che s’incontra. Io son cresciuto così, c’era una canzone per tutto. Le canzoni erano una grande fornitissima farmacia per l’anima.
Mi accodo quindi a quel silenzio che mi prefiggevo di squarciare. Sono stato presuntuoso. Ho cercato di mettere ordine in un cassetto pieno di calzini spaiati. Il cassetto delle ragazze e dei ragazzi che ho visto crescere e di cui in quei giorni ho captato da lontano la sofferenza. Non ci sono riuscito. Ho soltanto appallottolato fogli.

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