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Lezione su Ekaterina Gordeeva

 

Sapevo di entrare in classe con una specie di asso nella manica. La storia di Ekaterina Gordeeva, infatti, funziona sempre. Ci sono tutti gli ingredienti della migliore letteratura e la scrittura di Emanuela Audisio – parole che “fanno vedere” – pensa al resto.

Ci siamo seduti, era la quarta ora, e ho cominciato a leggere. Ho letto io, sì, perché c’erano quei nomi russi complicati che in prima battuta avrebbero costituito un piccolo intralcio. Poi hanno riletto i ragazzi, e le loro voci hanno scandito bene “Serghiei” quando le letterine dicevano “Sergei”.

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Per chi non avesse voglia o tempo di leggere il racconto: Ekaterina e Sergei sono due star del pattinaggio artistico russo, plurimedagliati a Calgary e Lillehammer, 1988 e 1994. Pattinano in coppia da quando erano ragazzini. Ekaterina da quando era una bambina, a dirla tutta. La squadra russa li costringe ad una rigida simbiosi. Poco male, per una volta: i due sono fatti l’uno per l’altra e nascosti sotto i fogli di un giornale si danno un bacio sul pullman che li trasporta da un palazzetto del ghiaccio all’altro, da una vittoria ad un trionfo. Se ne daranno tanti altri e tra le due olimpiadi faranno una bambina che pare la somma delle loro bellezze e delle loro grazie.

Una favola che si interrompe bruscamente e proprio sul ghiaccio, con Sergei Grincov che si accascia colpito da infarto. Per Ekaterina, che come sempre sta volando al suo fianco, una pugnalata un colpo di fucile un’onda che porta via. Uno schiaffo da cui non ci si riprende. Non la si trova un’altra ala con cui volare. Proprio non si può. Il pattinaggio di coppia è quella fiducia lì, è quell’affidarsi costruito nel tempo, così perfetto forse anche grazie a quei baci coperti di carta di giornale.

Porto in classe questa storia anche perché c’è dentro lo sport che non ti aspetti, lo sport solidale degli antichi rivali che non hanno dimenticato Ekaterina e che hanno deciso di fare qualcosa per risollevarla dall’inferno dov’è precipitata dopo la scomparsa del compagno. C’è una festa sul ghiaccio, ci sono proprio tutti e vogliono che ci sia anche Ekaterina, con la sua piccola Daria.

Sono finalmente riuscito a trovare le immagini di quella sera all’Hartford Civic Center, nel Connecticut . Era il 27 febbraio 1996. La mia lezione si è chiusa così, grazie a quel meraviglioso collega prof. che sa essere YouTube se s’impegna, con la bocca di Ekaterina a scandire parole che non si sentono ma che è bello e persino facile immaginare.

Si è chiusa con tutti quegli occhi lucidi, dentro il computer e anche fuori.

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Il tempo di una vita

La voce di Lesley McIntyre ti fa propendere per la superiorità antropologica degli anglosassoni. Ha movimenti quieti, è un’onda dolce, è cuore e ragione perfettamente mescolati. La ascolti parlare e stringi tra le mani la magna charta, vedi la gloriosa rivoluzione da un civilissimo spalto, fai un bagno nell’habeas corpus. Eppure è soltanto una madre innamorata della figlia, eppure sta raccontando soltanto le passeggiate in un parco o i tuffi in mare lungo le coste del Galles. Parla ai pochi abitanti accorsi ad ascoltarla in una piccola città del Friuli, grazie ad una donna assessore che non sa trattenere le lacrime e probabilmente è consapevole di aver organizzato una serata così impopolare da giocarsi la ricandidatura. Parla delle sue fotografie in bianco e nero, Lesley, e del pudore nello scattarle. Dice con onestà di trovarle tutte belle, ma non per un vizio di superbia: ehi, il soggetto è la sua bimba! Può sembrarti brutta una foto della Tua bimba?

Le immagini. Parlano anche loro. Parlano la stessa lingua di questa madre fotografa. Se possibile parlano ancora di più. Come la volta in cui Molly è rimasta per pochi secondi sola, giusto il tempo di recuperare il phon a pochi metri e asciugarle i capelli dopo il bagnetto. Un piccolo momento di solitudine, difficile per chi deve sempre avere attorno (e addosso) mani che curano e sostengono, ma anche un momento di dignità, di autonomia, di sperduta padronanza di se stessa. E di bellezza da immortalare.

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In Vespa

È morto Giorgio Bettinelli. Quello dei viaggi in vespa, su e giù per il mondo. Quello con un padre che da piccolo non gli diceva di stare attento agli sconosciuti, ma che gli diceva attento, guai se non gli vai incontro, agli sconosciuti. Quello che scriveva libri di viaggio, ed il suo ultimo – La Cina in vespa – ha fatto parte quest’estate del mio training di avvicinamento al Celeste Impero. Con il difetto di non essermi piaciuto affatto, tanto da spingermi quasi ad inaugurare sul blog un nuovo genere di post: le recensioni negative, le “solette” al contrario. Confuso, contraddittorio, talora persino un po’ volgare. Poi ho desistito, che diritto avevo io, di giudicare il racconto della sua matta vita? Curioso che nel pubblicare una sua bella foto, qualche anno fa, avessi confuso il suo nome con quello di un omonimo letterato del Settecento studiato all’università, guarda caso un Viaggiatore.

La ripubblico e addio per sempre. Mi sa che era uno di quelli che se si trattava di immaginare il proprio funerale pensava prima di tutto a una musica ballabile, un rinfresco ed il vino giusto per un mucchio di gente che si diverte.

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Mattoncini

Lego trave

A che punto è la scuola? Dicevamo. La mia è finita, peccato. Proprio oggi che mi imbatto in queste foto e mi vengono in mente 359 attività da ricavarne in classe. Le foto storiche, gli scatti immortali rifatti utilizzando gli omini del Lego, quanto di più spersonalizzato apparentemente possa esistere. E invece no, eccoli serissimi a fare la Guerra di Spagna, a lottare coi carri armati, a sbarcare sulla Luna o se preferite in Normandia. Che bella lezione di Storia. Ma poi? Ma poi si poteva provare a fare altrettanto. Per esempio il bimbo colla bottiglia di vino di Cartier Bresson, l’omino siculo che indica l’orizzonte al soldato americano, visti da Capa. La donna con bandiera di Tina Modotti. Peccato, davvero. Sarà per un’altra volta, a patto di non dimenticarsene.

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