Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Balene

Cercavo un libro che mi insegnasse cose che non sapevo. Fatti e idee che proprio ignorassi, non le diverse declinazioni di un fenomeno che mi fosse già noto.

Così ho comprato un libro che parla di balene.

Ho quindi scoperto che un tempo solcavano gli oceani creature a dir poco pazzesche. Testimonianze storiche molteplici e circostanziate – purtroppo antecedenti l’evo videofotografico – riportano avvistamenti di animali giganteschi, serpenti marini lunghi cinquanta metri, capaci di spezzare a morsi imbarcazioni poderose.

Ho imparato che in fondo al mare può nuotare ancora oggi, grazie ad una straordinaria longevità, qualche balena coetanea di Moby Dick (data di pubblicazione: 1851).

Ho scoperto che l’ambra grigia – sostanza rarissima pescata in mare e usata dai migliori produttori di profumi per la qualità di inglobare trattenendole le altre essenze – non è che cacca solidificata di immenso cetaceo. Non lo sapevano neanche i produttori di profumi, all’inizio, e posso solo immaginare l’imbarazzo al momento di accogliere la nuova nozione elargita gratuitamente dalla scienza.

Ho imparato che le balene non sono solo natura – cosa più di questo mammifero può essere associato alla vita selvaggia?! – ma sono anche cultura. Per via culturale i cuccioli apprendono comportamenti e tecniche di sopravvivenza. Per via culturale – altro che istinto – imparano a soccorrersi e a rispettarsi. Con lo sterminio sistematico l’uomo cacciatore non ha posto fine soltanto all’esistenza di milioni di individui della specie, ma anche ad elaborazioni collettive che possono essersi estinte in seguito al calo demografico.

Ho scoperto – ma lo sapevo già perché me l’aveva raccontato uno scrittore – che le balene lasciano impronte. Sì, sull’acqua. Temporanee, certo, ma nemmeno troppo. L’acqua solcata da una megattera o da un capodoglio non è infatti davvero più la stessa di prima, cambia a livello molecolare, nella forma ma anche nella sostanza.

Ho capito perché da piccolo questo fosse il mio cartone animato preferito, e perché costruissi con i Lego complesse navi baleniere destinate ad attraversare la superficie mossa del parquet, tra la poltrona e la televisione. Per costruire Moby Dick mi mancava il know how. E i mattoncini non sarebbero comunque stati sufficienti. Tuttavia, i miei omini di plastica erano vigili e pronti alla caccia.

 

 

«Una rapida sequenza di stridii. Più che udirli con le orecchie, li sentivo dentro il petto; la mia cassa toracica era diventata una cassa di risonanza. La balena si stava creando un’immagine mentale di me: una scansione dell’intruso in risonanza magnetica nucleare, un profilo dell’alieno invasore.

Sentii il mio corpo rilassarsi e pisciai nell’acqua. Un pensiero ridicolo mi passò per la testa: mi ero presentato senza preavviso, con l’unico risultato di perdere il controllo delle funzioni corporee e orinare sulla soglia di casa del mio anfitrione. Poi, nel momento cruciale, la testa si girò e si chinò impercettibilmente, come mi avesse identificato. Non commestibile. Privo di interesse.

Passai dal puro terrore a qualcosa di diverso. Capii che era una femmina. Una grande madre che fluttuava davanti a me, intensamente viva. Malgrado il suo disinteresse, un invisibile cordone ombelicale sembrava unirci. Da mammifero a mammifero; la sua grigezza senza fine, il mio pallore senza madre. Perso e trovato. Un altro orfano.

Non riuscivo a capacitarmi che qualcosa di così grande fosse così silenzioso. Scansionato dalla carica elettrica del suo sesto senso, mi sentivo insignificante, e tuttavia non del tutto. Ricreato a misura sua e a misura del mare, ero stato assimilato dalla sua alterità, nella sua mente c’era una mia immagine. Mentre la balena mi sfilava davanti, vidi il suo occhio: grigio, velato, senziente, disposto lateralmente, centro della sua coscienza. Dietro, tutto il resto era muscolo, che si muoveva senza sforzo. Quel momento durò per sempre, un’eternità di pochi secondi. Entrambi nella nostra nuda interezza, separati soltanto dall’oceano sconfinato».

 

Philip Hoare, Leviatano ovvero la balena, Einaudi

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