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Una corda al cielo

Alle elementari forse eravamo compagni di banco. Ci univano certe fantasie, viaggi nello spazio, dirigibili immaginati, dinosauri prima dei film sui dinosauri. Un dubbio nel disegnare un camion, un elicottero? Chiedevo a lui. Costruivamo barche con i mattoncini lego con cui poi cacciavamo balene sopra il parquet. A lui piacevano anche gli squali, e il primo ispettore Gadget. Poi siamo cresciuti, io forse un po’ prima. Alle medie il campo di calcio mi ha fatto trascurare il suo pavimento e il mio lavoro di baleniere. Poi c’erano parolacce che lui non diceva, c’erano battute che non lo facevano ridere. Lui dalla sua nave non voleva (non sapeva) scendere. Nei quindici anni successivi l’avrò rivisto 4 o 5 volte tra mille impacci e retorica e ricordi, ma senza passione. Chi mi ha parlato ancora di lui ha sempre sottolineato soltanto i suoi silenzi, il suo mistero.
Oggi mi dicono che ha detto basta, che è sceso dalla sua nave per sempre.
O che dalla sua nave non scenderà mai più. Alla mia età.
Forse è a lui che ho scritto la mia prima lettera.

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