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Tesori dell’edicola

L’azzurro dell’azzurro dell’azzurro,

l’azzurro del mare, del cielo, del sussurro

azzurro del vento, nell’aria azzurra

tra rami verdi e chiari, fino a sera,

dove la vista opaca si fa vera

visione di bellezza che ci appaga, sì, Oscar,

tutto il senso che ci manca e ci consacra

all’essere che batte contro il nulla

il suo pennello intriso o la sua penna a sfera,

perché la notte nera sia meno nera…

Costa sette euro, a voler piegarsi alla volgarità del denaro ne vale almeno ventisette. È La via del mare, il CD abbinato a “L’Unità” di oggi. Contiene un reading poetico-musicale con parole di Gianni D’Elia, canzoni di Claudio Lolli, santo patrono di Pozzanghera, e musiche affidate alla chitarra classica del maestro Paolo Capodacqua. Ci si riempie le orecchie con qualcosa che sta fuori dal tempo, qualcosa che non ti viene mai incontro, qualcosa di ostinato e un po’ ruvido.

Però essenziale, maiuscolo e tanto, tanto libero.

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Nomi e cognomi

Dandini, Bertolino, Vergassola, Gnocchi, Sabina e Corrado Guzzanti. Ha detto che gli fan venire l’ulcera, ma non è questo il punto. Il punto è un altro, ed è un punto di domanda. Ma Berlusconi Cornacchione non lo capisce? Pensa che faccia sul serio? Quello è capace di pensare che faccia sul serio…

 

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FEDELE DISARMONIA

Domani, a ricreazione, inizia il torneo di calcio a 4 (o 5) nel cortile di Scuolamagia. Quattro squadre, l’arbitro è Alessandro, causa gamba ingessata. Io gioco nella compagine forse più eterogenea ed assortita. Il nome nasce dalla fusione dei nomi di tutti i componenti: FEDerico, ELEonora, mARIA, Corrado (detto MOoN). Pozzanghera seguirà l’evento con il suo occhio indiscreto e garantirà al medesimo l’adeguata copertura mediatica.

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Concitazione

Oggi racconto di una che racconta. Concita De Gregorio ha letto un libro che in italiano nemmeno esiste, scritto dall’attrice americana Jamie Lee Curtis. Il libro parla di adozioni, ma non è un legal thriller. Parla infatti di adozioni a chi è stato adottato, che è un tantino diverso. Concita dice che da noi un libro così non esiste, che da noi lo psicologo ti consiglia al massimo La gabbianella e il gatto. Come dire: arrangiati. Conclude la sua recensione così, la giornalista: «…non è poi così difficile, o meglio lo è ma ci si può riuscire, nel libro è tutto in una frase: la tua pancia era rotta, soffrivi per questo. La mia mamma non poteva tenermi, soffrivo per questo. Tu capisci il mio dolore io so del tuo, adesso siamo una fonte di felicità uno per l’altro: alla pari. Come dicono i bambini quando un libro finisce: ancora. Ricomincia, raccontalo ancora.»

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Il duello

Piumetta non ha avuto poi tanta paura, quando è arrivato il momento cruciale. Li ha guardati dritto negli occhi, quei cinque. Poi, con le parole che non tremavano, ha pronunciato in cinese una terribile formula di condanna. E si è laureata.

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IL SIGNORE NELL’ARIA

Alle ore venti ognuno tornava alla sua casa.

Non avevano una stessa casa?

No, ma nell’aria sì.

Nell’aria?

Sì, a destra e a sinistra nel mezzo dell’aria avevano una stessa casa. Con le porte le finestre gli uccelli le cene le voci il riposo.

Non i colori?

Sì, colori splendenti erano appesi nei quadri nell’aria della casa.

Vivian Lamarque

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Sturiellet

Ora vi racconto un’ultima storia, prima di lasciarvi, e sono sicuro che questa non vi deluderà, e magari vi farà anche ridere. Si tratta di una storia molto vecchia, che in tanti hanno raccontato in tanti modi diversi, anche se sotto sotto è rimasta sempre uguale: solo che voi siete piccoli, e molto probabilmente non la conoscete ancora. È la storia di un uomo infelice, che aveva una vite d’oro nell’ombelico e non riusciva a liberarsene. Era andato da dottori, meccanici, carrozzieri, chirurghi, orafi, ferramenta e fattucchiere, in tutto il mondo, nella speranza che qualcuno di loro riuscisse a togliere quella vite: nulla, nessuno era mai riuscito anche solo a smuoverla di un millimetro. Ma l’uomo non si era arreso, e aveva continuato a girare il mondo, ostinato, alla ricerca di qualcuno che riuscisse a togliergli quella vite d’oro dall’ombelico. Finché, un giorno, si recò dall’Imperatore del Giappone – che, come spesso accade in quel saggio paese, era un bambino. L’uomo gli mostrò la vite e, a gesti, poiché non sapeva una parola di giapponese, gli fece capire qual era il suo problema. L’Imperatore bambino guardò la vite, sorrise, poi si girò lentamente e si mise  a frugare in una grande scatola d’avorio che teneva nascosta dietro il trono, finché ne cavò un minuscolo cacciavite d’oro, talmente piccolo che sembrava uno spillo. Lo mostrò all’uomo e, sempre sorridendo, pronunciò nella sua lingua una frase incomprensibile, dal suono però meraviglioso, come una manciata di campanelle d’argento lasciate cadere su un cuscino di piume. L’uomo, che non aveva capito nulla, annuì, e l’Imperatore allora estrasse dalla sua scatola un drappo di seta viola e lo stese sul pavimento, con molta cura. Quando ebbe eliminato anche la più piccola piega vi fece inginocchiare l’uomo, vi si inginocchiò a sua volta e si mise al lavoro. Pareva veramente impossibile che un cacciavite così microscopico potesse svitare una vite così grossa, ma la vite cominciò a girare senza fatica, e, girando, a uscire dall’ombelico: un giro, due giri, tre giri, la vite uscì sempre di più, finché fu completamente fuori, e l’Imperatore bambino la mostrò all’uomo tenendola tra le dita. L’uomo allora si guardò la pancia e sbalordì: per la prima volta la vide normale, liscia e senza viti come quella di tutti gli altri. Era libero: la sua tenacia era stata premiata, la maledizione che lo aveva accompagnato per tutta la vita era finita. Balzò in piedi, pazzo di felicità, e gli cadde il culo per terra.

Sandro Veronesi, La forza del passato, pagg. 249-250.

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Paola

“…bambino

qual è la piazza in Buenos Aires

dove tradirono tuo padre?

il suo passato assassinato

desaparecido…”

 

È sicuramente una delle canzoni che ho più cantato e strimpellato nella mia vita anche quando non sapevo nemmeno chi la interpretasse. Dopo il concerto di ieri sera a Trieste (che senso ha fare un concerto in Piazza dell’Unità se poi sui maxischermi la maxiscritta pubblicitaria dice «PROBLEMI DI STITICHEZZA?») la conferma di una Voce che mi scalda come poche.

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Ivan l’eleggibile

Governo composto in pari numero da uomini e donne.

Possibilità di versare l’otto per mille ad associazioni di volontariato non confessionali.

Approvazione di una legge sul conflitto d’interessi in linea con gli standard internazionali.
Aumento delle risorse destinate alla ricerca scientifica.

Rientro immediato delle truppe italiane dall’Iraq.
Abrogazione della caccia.

 

È parte del programma politico (continua nei commenti oppure qui…) che Ivan Scalfarotto, candidato ad essere candidato premier, si impegna a realizzare una volta sbarcato a Palazzo Chigi. Fa piuttosto effetto vedere tanto buon senso (di questo si tratta, nient’altro che di questo…) messo in fila e soprattutto non scorgerlo nei politici che poi per davvero sfideranno il Miliardario ridens, come lo chiamava una volta Michele Serra. D’accordo: il buon Ivan non è un politico di professione. D’accordo: alcuni punti del programma sono – per almeno un cinquantennio – palesemente irrealizzabili in Italia. D’accordo questo e d’accordo quello, ma perché gli altri rinunciano pure a scriverle sulla carta, certe cose? Almeno lì… Almeno adesso, ché le primarie non se le fila nessuno. Almeno adesso, ché non bisogna neanche andare da Vespa…

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