Prima di assegnare il tema dell’angelo custode, mi prende sempre una strana frenesia. Premetto ai ragazzi che ovviamente non ci credo, agli angeli custodi; che mi piace un sacco l’idea di “custodire qualcuno”, a esserne capaci, ma niente creature alate e asessuate: quelle proprio no. Poi, però, confesso di averci creduto parecchio, e di averci lavorato forte con la fantasia, da piccolo. Ricordo di essermi inventato – generalmente accadeva prima del sonno – un team di angeli tutto per me. Un battaglione che si arricchiva di un elemento ad ogni compleanno. Auguri, piccolo, sono il tuo nono angelo. Ne immagino 34, oggi, e per più di una ragione visualizzo anche un plotone d’esecuzione pronto ad abbatterli.
Poi cominciano a scrivere. E io, come sempre, resto lì a guardarli. Cominciano col dargli un nome, all’angelo. Fedele, Dodo, Angelino (uau, come quello di Berlusconi…), ZX Pasticcione. Poi iniziano a snocciolare situazioni di vita di cui ero all’oscuro e nelle quali hanno davvero rischiato la pelle. Loro, così fragili, così ingenui di tutto. Eppure hanno già visto le pale di un elicottero chiamato a soccorrerli, hanno toccato quel palloncino strano che i grandi chiamano airbag. Sono volati dalle loro biciclette. E intanto scrivono, scrivono. E appoggiano la testa sulla mano, la matita sul labbro. Consumano fazzoletti rincorrendo starnuti. Bevono dalla bottiglietta di succo di frutta, rileggono a bassa voce, giocano coi riccioli. E ce la fanno. Senza angeli, a parte uno piccolo che al massimo ti regala un apostrofo o un accentosullaè.