Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Venerato Maestro

Ammesso che si tratti di scegliersi un politologo di fiducia, Edmondo Berselli era il mio. Ma era anche altro, era una lingua da ammirare e perché no smontare e studiare. Mi ero detto: un libro all’anno, quando sono in ferie. Ho tenuto fede all’impegno, negli ultimi 5 anni, pensando che lui avrebbe continuato a scrivere esattamente come io avrei continuato, fedele, a leggere.

Le sue eran pagine di leggera pesantezza o, a scelta, di pesante leggerezza. Sapeva volare lieve su questioni spinosissime e cruciali, senza banalizzarle mai; sapeva altresì dare consistenza di dispute medievali a simpatiche questioni pop, se non addirittura trash. Uno strano caso, il suo, di torre d’avorio purissimo piazzata al centro di una piazza di mercato, popolata e popolana. Morto un politologo di fiducia, ahimè, non se ne fa un altro. Lo si può, al limite, …rileggere.   

 
«De Andrè si ascoltava in silenzio rigoroso, al massimo commentando con sbalordimento certi versi particolarmente riusciti, alcune immagini come quei generali che hanno “cimiteri di croci sul petto”, o roba pesante del genere. Ma interrogato diversi anni dopo sulle ragioni del grande successo post-adolescenziale e liceale di De Andrè, il noto cantautore bolognese Francesco Guccini si era raccolto in una specie di meditazione trascendentale, aveva espirato un fiato molto alcolico e alla fine il suo spirito aveva formulato un verdetto. Inatteso. E clamoroso.

 

De Andrè piace a tutti perché parla della figa.

 

In quell’interno borghese della Bologna più democratica e antifascista, gli astanti erano rimasti drammaticamente sbalorditi. I volti si erano alzati, gli sguardi si erano concentrati sulla barba francescana, cioè di Francesco. Ma dopo un momento di perplessità, un’esitazione, un sospiro, alcuni della componente ludica avevano riconosciuto che nel giudizio gucciniano c’era qualcosa che faceva risuonare la campanella di una verità.

[…]

Mo insomma, pensateci un momento, dice Guccini: vogliamo considerare le belle rime di Via del campo? “Via del campo c’è una graziosa / gli occhi verdi color di foglia / tutta notte sta sulla soglia / vende a tutti la stessa rosa”, e qui secondo alcuni critici saremmo nel campo del simbolismo francese, ma poi alla fine lo dice lui stesso, apertis verbis – perché non dimentichiamoci che ama il latino, Guccini, non De Andrè – lo dice lui, De Andrè, che quella è una puttana. Avete capito bene, puttana: per quei tempi erano parole pesantucce, sostantivi innominabili, devianti, praticamente eversivi, e quindi altamente eccitanti, anche se politicamente non proprio influenti.

E forse vogliamo discutere di Bocca di rosa, soggiunge Guccinius, stappando un’altra bottiglia di Grasparossa di Castelvetro, l’amore sacro e l’amor profano, e lei, quella scriteriata eroticamente anarchica, che lo faceva per passione? Sono questioni di gnocca, diano retta a un cretino, si lascino servire…».

 

E. Berselli, VENERATI MAESTRI, operetta immorale sugli intelligenti d’Italia

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