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Le rose che non colsi, stavo facendo una prova Invalsi

Prove oggettive. Crocette. O A, o B, o C, o D. Deciditi, la risposta corretta è soltanto una. Maggio 2011, tempo di Prove Invalsi. Gli studenti italiani sono sotto la lente di un microscopio. La scuola italiana li sta misurando. Tra qualche mese usciranno i risultati della faticosissima impresa, le classifiche saranno pronte, le regioni messe in colonna. Una avrà vinto, alcune andranno in Champions, molte vivacchieranno a centro classifica e ci saranno pure gli sconfitti, anche se non retrocederanno.
La meritocrazia è partita dal basso. Tra pochi anni il paese sarà gestito dai cittadini migliori secondo specchiate procedure di selezione. Ecco, questo è il motivo per cui le Prove Invalsi mi fanno ridere.

Adesso vi spiego perché mi fanno piangere.
Prendiamo una storia. Non è una storia qualsiasi, è una storia che è entrata di prepotenza nelle aule di tutti gli ordini di scuola. Enaiatollah Akbari ha raccontato a Fabio Geda la sua incredibile vicenda personale. Ne è nato un libro bello ed efficace, un passaggio da Fazio ha sparso la voce. Quella è una tragedia greca, ma anche turca e afghana, iraniana e italiana. Il mondo è stretto dentro tutto quel peregrinare tra un deserto e un mare, tra una città libera e una città assediata. Un prof. un’occasione così non se la può lasciar sfuggire e infatti Nel mare ci sono i coccodrilli è entrato in una marea di classi italiane di ogni ordine e grado. E piace, e interessa, e appassiona. È bello quando a scuola entrano le passioni. Però a scuola stanno entrando subdolamente anche le Prove Invalsi, che sono perfette per riconoscere gli Speedy Gonzalez della logica, gli alunni dal ragionamento rapido ed efficace, ma sono inevitabilmente nemiche di altre importantissime caratteristiche degli studenti. Che infatti non riescono a far emergere e di cui – semplicemente – fanno senza. Cosette da niente come la capacità di ragionamento, di astrazione, il senso estetico, il senso critico, la sensibilità umana. Immisurabili, per loro natura. Per nostra fortuna.
La scuola si sta invalsizzando, dicevo. Ho in mano un’antologia, nuova fiammante, pronta per essere adottata in una scuola secondaria di primo grado. Chi si vede a pagina 34? Enaiatollah Akbari, manco farlo apposta. Purtroppo è soltanto un piccolo frammento di quella storia, ma ai lettori male non può fare. A far male sono le domande poste in calce al testo. Made in Invalsi, neanche farlo apposta.
Oggi sono lungo, seguitemi in medias res.
Scrive Fabio Geda:

«Ecco. Anche se ti dice [tua madre, n.d.r.] cose come queste e poi, alzando lo sguardo in direzione della finestra, comincia a parlare di sogni senza smettere di solleticarti il collo, di sogni e di desideri – che un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi, come un asino una carota, e che è nel tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci, e che se un desiderio, qualunque sia, lo si tiene in alto, a una spanna dalla fronte, allora di vivere varrà sempre la pena – be’, anche se tua madre, mentre ti aiuta a dormire, dice tutte queste cose… ecc. ecc.».

Fino ad arrivare alla parola che è nell’aria da almeno 20 righe: addio. Una madre che ti dice addio, senza dirti davvero addio, mentre tu hai 10 anni e sei convinto che quella sia una sera come le altre.
Ma non divaghiamo e anzi, concentriamoci.
Ecco il quesito Invalsi.

La mamma, parlando, non smette di solleticare il collo di Enaiat. Perché lo fa?

A. Vuole far ridere Enaiat con il solletico.
B. Vuole farlo addormentare in fretta.
C. È un modo per accarezzarlo e dimostrargli affetto.
D. È un modo per dirgli addio.

Io mi arrendo subito. Per me son tutte vere. Oppure lo sono una alla volta. Oppure lo sono a coppie. Oppure nessuna. E soprattutto: perché bisogna sbilanciarsi? La prima sembra la più fragile, ma che male ci sarebbe se la madre si fosse limitata a provocare il piacere giocoso di un solletico? E se quella donna avesse voluto davvero che il bimbo si addormentasse (B) per interrompere lo strazio di quella sorta di congedo? E non è forse quella una dimostrazione d’affetto (C)? Qualcuno all’Invalsi è in grado di negarlo? E non fa parte, quel gesto, di un tragico e doloroso rito di addio (D)?

Sento puzza di polvere da sparo. Hanno sparato alla letteratura. E alla molteplicità delle opinioni. E alla dignità dei punti di vista. Una strage.

Resto lì, come l’asino di Buridano. Mi lascio morire, faccio obiezione di coscienza. Chiedo venga interpellata direttamente la madre del racconto, peraltro ancora viva in qualche remota provincia afghana, affinché riveli il vero significato del suo gesto. Fino ad allora nessuno osi procedere con le classifiche di merito da stilare.

Rido ancora, è un’altalena tragicomica.
Ripenso infine all’alunno che uscendo dall’aula, qualche anno fa, dopo una di quelle prove, dopo aver visto i compagni cimentarsi con calcoli e ipotesi di cui non era stato capace (brillava, eccome se brillava, quel ragazzo, ma di altre altrettanto importanti luci), mi guarda e mi dice sconsolato:

«Oggi ho capito di essere stupido».

Sa essere carogna forte, la meritocrazia.

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