Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

Alice e la Ragazza

Alice

Mi piace tanto quando Alice scrive “la Ragazza”. Del termine “ragazzo”, in realtà, la società odierna fa un uso abnorme: nelle cronache è un ragazzo il serial killer trentottenne, sono ragazzi gli atleti alla quarta olimpiade. Ignoro quanti anni possa avere, la Ragazza con la erre maiuscola. Forse si può anche scoprire, cliccando da qualche parte, ma non m’importa, il personaggio della storia funziona benissimo e il suo nome è a dir poco perfetto.
Ma aveva molto colpito anche la ragazza Angioletta, nel diario che pubblicò Marco Ardemagni qualche anno fa. Una giovane blogger venuta al mondo il 7 maggio 1868.
Una storia simile, in fondo, a quella di Alice.
Che scrive ma imparerà a scrivere tra circa 5 anni, che vede il mondo anche se la sua vista è ancora nebulosa come quella di chi passa gran parte delle sue giornate in una culla a dire sostanzialmente GNAMGNAMGNAM.
“Tutto quello che faccio lo faccio per la prima volta” è il sottotitolo del blog THE ADVENTURES OF ALICE IN THE NEWLAND. Titolo pomposo, ma così sembra solo finché non ci si mette in quei minuscoli panni. Cosa che alla Ragazza riesce benissimo. Si scopre allora, solo allora, il mondo di Alice: un mondo complicatissimo fatto di passeggini e vestitini, Tipi Alti e Signore, cose di tutte le forme, cose vicine e cose lontane come le stelle, oggetti che sono quasi già concetti, difficilissimi da interpretare: il Natale, Sanremo, i Teletubbies.

C’è da augurarsi che duri a lungo, il blog di Alice, almeno fino a quando quella bimba sarà davvero in grado di rileggere il suo passato, raccontato per interposta mamma, e continuare a descrivere da sola lo scorrere del suo presente. In un passaggio di consegne senza precedenti.     

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Quello che è successo a Sant’Anna

mscalamandrei

Quand’ero bambino, i grandi, a volte, a cena sussurravano tra loro: “Quello che è successo a Sant’Anna di Stazzema”. Lo dicevano con la complicità dei grandi alla quale non sono ammessi i bambini: “Quello che è successo a Sant’Anna di Stazzema”.
Sant’Anna di Stazzema è un piccolo paese sulle pendici delle Apuane, a pochi chilometri dalla casa dove sono cresciuto. D’estate, se andavamo a Viareggio, si vedevano nelle belle giornate i paesini sui monti: fra i grappoli di case bianche c’era anche quel paese, con quello che era successo. A sinistra, un po’ più in su, c’è Sant’Anna di Stazzema, mi diceva mio padre, Ma cosa c’era successo? Lo chiesi ai grandi: i miei genitori, mio zio, mia zia.
E non mi rispondevano. Così un giorno lo chiesi al nonno, che aveva fatto la Prima Guerra Mondiale e che non aveva paura di dire quello che non si può dire. Erano già andati tutti a letto, e certe sere mi portava a letto lui. Eravamo vicini al fuoco e le faville salivano in alto. Il nonno muoveva i tizzoni e agitò la fiamma. È schifo, disse, schifo. E poi non disse più niente e mi accompagnò a letto.
Nella mia infanzia non ho mai avuto paura, la mia famiglia mi proteggeva. Ma quella sera ebbi paura, lo ricordo. Perché capii che c’era un indicibile. Qualcosa che andava oltre: oltre la decenza, oltre quello che siamo, o che crediamo di essere, da bambini o da grandi. E senza chiedermelo mi chiesi chi siamo noi, gli uomini. […]

(Antonio Tabucchi)

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Elvira

Elvira

Il libro di Carla Melazzini, Insegnare al principe di Danimarca, sta arrivando. Purtroppo è partito da Milano soltanto venerdì mattina, troppo tardi per raggiungermi in tempo per il fine settimana. Il corrierespresso di sabato non lavora: peccato per me, buon per lui. Comunque, oggi non avrei potuto nemmeno leggere un granché, complici le gocce infilate nei miei occhi dal mio oculista che lavora il sabato: peccato per me e pure per lui. Le gocce servono per scandagliare meglio le profondità dell’occhio, dilatano enormemente le pupille e rovinano la giornata, rendendo la luce, anche quella fioca di un giorno nuvoloso, un nemico infido e feroce.
Voglioso di libri e di storie, tuttavia, ho trovato un buon compromesso nel dispormi all’ascolto delle parole contenute in questi tre video. Più che il libro di Carla Melazzini, c’entra stavolta il suo prezioso editore, Sellerio. La sua storia coincide con la storia di una donna che conoscevo superficialmente e per luoghi comuni: sicilianità, raffinatezza, quel blu delle copertine. I tre video sono la letteratura che oggi non avrei potuto leggere, sono le emozioni che ho provato comunque, ad occhi chiusi, seduto a gambe incrociate al centro della stanza.
Ho anche scoperto che la figlia di E.S., a un anno dalla morte, ha realizzato un disco dove interpreta le canzoni preferite dalla madre. Un cd che nessuno potrà comprare, perché l’operazione volutamente non ha nulla di commerciale. Al contrario, chiunque può richiedere l’invio gratuito di una copia. Chiunque, anche uno sconosciuto che scopre la grandezza vera di quella donna in un giorno d’agosto e solo perché è momentaneamente privato degl’occhi.

Ho pure deciso come sarà il mio testamento (tié!) – oggi. Una lista di canzoni. E poi son canti vostri.

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La memoria che cos’è?

In viaggio con me, nelle scorse settimane, c’era l’ultimo libro di Gian Luca Favetto.

«Quando penso alla memoria, talvolta penso a una moria di me. Questo è alla base della memoria: lasciare indietro parti di sé, staccarsi di dosso pezzi di ciò che si è stati per andare avanti e crescere. Potare e diserbare, oltre che irrigare.
La memoria è selezione, scelta, non accumulo indifferenziato. In quanto selezione e scelta, è anch’essa movimento. Non monumento, non museo, non magazzino, ripostiglio in un angolo buio di noi, ma rete, articolazione, come quella di vene e arterie, come l’architettura dello scheletro, come le radici che si ramificano, si fanno spazio, si fanno viaggio, leggere, adattabili, modificabili, in cerca della migliore condizione per ricevere e dare nutrimento».

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