Soletta, Stream of consciousness

Aspettando chi non può tornare

A 24 anni scrivevo la tesi di laurea e in biblioteca stavo quartid’ora a fissare le “Opere di Piero Gobetti”, due metri e mezzo di libri nello scaffale in alto a sinistra. Da qualche tempo sapevo che lui era morto a 25. Di cose sue avevo letto praticamente nulla, ma due metri e mezzo di articoli e saggi cozzavano parecchio duro con le mie 250 pagine in corpo 12, margini generosi, interlinea estrema.

Un piccolo romanzo racconta gli ultimi giorni del mio mito con gli occhialini e il ciuffo ribelle. Da un mese lo leggo e rileggo, aprendo a caso, come si fa – almeno credo – con una bibbia.  

 

«…la lettera di una moglie che non ha raggiunto in tempo Parigi, c’era una foto di lei con il bambino, è la prima, Non lasciarla troppo alla luce, perché non è ancora fissata e svanisce; e sentire di non avere fatto abbastanza per evitare ciò che comunque non è possibile evitare, avere per un minuto, all’improvviso, la sensazione che non sia accaduto niente, che si può aspettare anche chi non può tornare, che si possa fare soltanto questo: aspettare, nelle stanze rimaste vuote, intoccabili, congelate, fino a che piomba in un’ora del pomeriggio tutto insieme il peso dell’assenza – devastante, lugubre, senza speranza – o dentro notti infinite, tormentate e nere come questo inchiostro, fino a che con ogni atomo di noi, a una profondità che ci toglie il respiro, sentiamo l’irrimediabile, e che tutto questo è reale, reale come la vita che continua, mentre di un uomo si è costretti a dire che era, è scomparso – e una parte di noi con lui.»

 

Paolo Di Paolo, Mandami tanta vita, Feltrinelli.

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