Le storie di Scuolamagia

Le ALI di ALE

Ha letteralmente volato. È passata subito al comando, pochi metri dalla linea della partenza. Erano 600, quelli da percorrere sulla corsia color mattone. Sempre in testa, mai girata la testa indietro. Non si è mai scomposta, Ale, nemmeno alla fine, quando l’atleta giunta seconda aveva ormai smesso di ostacolarla. Paradossalmente, nei temi in classe in cui si immaginava mezzofondista o maratoneta di successo era tutto più difficile e le vittorie erano più sudate. Poi, tagliato il traguardo, un sorriso sincero e la solita aria di chi ha già qualcosa di più vivo da rincorrere di una vittoria già passata.

 

 

Nel mio pomeriggio da tifoso di atletica leggera c’era anche Giù con i suoi salti in alto, purtroppo quasi invisibili dagli spalti.

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Soletta

Le ALI di ALINA

Tra quelli visti nel 2005, Pozzanghera elegge Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi come il film più bello. Oggi è lieta di trovarsi d’accordo con questa bella recensione di Concita De Gregorio sull’inserto femminile di “Repubblica”.  

IL CORAGGIO DELLA NOSTALGIA  

«Come un vento misterioso che non sa da dove viene ed è inutile cercare, un vento dentro. Al cinema, quel pomeriggio d’agosto, erano in cinque. Cinque persone sole, sedute in poltrone lontane. Tre donne, due uomini. Il film è cominciato ed è stato subito chiaro che era fatto di vento. Impalpabile, raffiche di sentimenti, scaglie di ricordi in mulinello. Una vita, la storia di una donna raccontata da sua figlia. Una storia ritrovata con coraggio e con fatica, cercata dove era stata nascosta. L’agio di una vita altoborghese, gli abiti di pizzo dei bambini e le scarpette bianche, l’autorità sorda del potere e del denaro. L’amore, forse. L’inquietudine, certo. Certe piccolissime sbavature nel quadro della perfezione. La condanna e la vergogna. La prigione, la fine.

 

Capita a tante donne di sentirsi inadeguate di fronte ai figli che nascono, alle aspettative che premono, bussano come intrusi alla porta e non c’è verso di starli a sentire. Capita a molte di avere bisogno di aiuto, di aver paura di non farcela. Di non avere più voglia di niente se non di tornare indietro, ma indietro non si può. Liseli Hoepli aveva 33 anni quando si è uccisa, nessuno della sua ricca e austera famiglia milanese l’ha ascoltata quando chiedeva, dalla clinica dove l’avevano chiusa, portatemi via da qui, vi prego, ho bisogno di voi. Semplicemente: l’hanno murata viva oltre confine, vergognandosene. Era bellissima, bellissima. Era un po’ confusa, prima, un po’ triste. Poi s’è ammalata della sua tristezza, invece che con l’abbraccio l’hanno curata col confino. Le hanno tolto i figli, era matta e doveva stare coi matti, non coi bambini. Ha implorato, ha invocato. I suoi hanno pagato la costosa retta senza rispondere a quel semplice richiamo. Ai bambini l’hanno tenuta nascosta come un disonore.

 

Quando sua figlia Alina ha avuto il coraggio – certo, sì, è sempre una questione di coraggio: andare a vedere o non farlo, ascoltare o no, dire o tacere – l’ha cercata, e l’ha trovata chiusa negli armadi del nonno dentro i filmini di famiglia segnati dalla lettera L: Liseli. Il suo film si chiama Un’ora sola ti vorrei, come quella canzone: io che non so scordarti mai. È di qualche anno fa e ha già vinto molti premi, ma nelle sale – in poche – è uscito adesso. Bisogna vederlo perché non si può raccontare: le parole sono tutte di Liseli, la madre, erano nei suoi diari. C’è la più bella dichiarazione di una donna a un uomo (vedi il post del 6 agosto). C’è la storia di un secolo, di una città, di una famiglia. C’è la felicità quando era ancora possibile, e la speranza che torni. La compostezza della buona educazione, il tormento che non conosce differenze sociali. Un padre, un marito. Ci sono gli uomini, sempre lontano. E quella bambina, aveva appena cominciato a scrivere le prime cartoline: cara mamma. Alina Marazzi ora ha quarant’anni – l’età dei bilanci, dei confini. Dice che ha fatto un film sulla nostalgia. “Non solo nostalgia per una mamma che non c’è e non c’è mai stata, ma anche per tutto quello che è stato e che non tornerà, per quello da cui veniamo e al quale ci sentiamo più o meno consapevolmente legati. La nostalgia come sentimento necessario per il superamento di una perdita. La nostalgia come condizione essenziale per vivere”».

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