Senza categoria

Pozzanghera Music Awards

Ieri sera (notte) sono tornato (dopo molto tempo) a calcare il palcoscenico della mia terrazza (3 metri x 1,5) al secondo piano per uno dei miei tradizionali concerti per chitarra e voce. Erano le 23.45 quando ho imbracciato Clarissa (la chitarra, classica) e mi sono affidato a un piccolo vento morbido e al silenzio della strada davanti, rigorosamente deserta. Il concerto è iniziato con Il tuo culo e il tuo cuore di Roberto Vecchioni, brano poco adatto, lo ammetto, al tipo di evento e di arena, più adatta alle atmosfere raccolte. L’esecuzione non è stata un granché, ma per fortuna la performance è proseguita seguendo un filo più intimista. Nell’ordine un passante avrebbe potuto ascoltare (fortunatamente non l’ha fatto…) Mimì sarà e Un guanto di Francesco De Gregori, Dita di Claudio Lolli, Prima del temporale di Enrico Ruggeri e la Stazione di Žima e Figlia dello stesso Vecchioni. Gran finale con una cover di Paola Turci, Ti amerò lo stesso, decisamente l’esecuzione più riuscita. Eccezionali la scenografia, un tripudio di mutande su stendibiancheria arrugginito, e le luci, calde con un abbraccio di moscerini. Stasera, forse, si replica.

Standard
Senza categoria

Nelle pozzanghere

Nelle pozzanghere si guarda (ma qualcuno si guarda dalle pozzanghere).

Nelle pozzanghere ci si specchia (ma negli specchi non ci si pozzanghera).

Nelle pozzanghere ci si inzacchera. E ci s’incazza, come no…

Nelle pozzanghere si nuota, si cade. Si piscia. Si perde un anello.

Nelle pozzanghere si commettono le peggiori pozzangherìe.

Nelle pozzanghere ci si può dissetare, ma è meglio essere un gatto.

Nelle pozzanghere ci si perde, ci si ritrova.

Nelle pozzanghere a volte non sai cosa scrivere,

e allora è meglio aspettare la prossima pioggia.

Perché nelle pozzanghere si piove dentro, ma solo un po’.

Standard
Senza categoria

Gioco di RUOLO

Un anno fa a quest’ora stavo attendendo che una solerte funzionaria del ministero dell’Istruzione pronunciasse il mio nome. Poi mi sono alzato e sono andato a scriverlo, il mio nome, a fianco della sede scolastica in cui avevo individuato la mia cattedra (e chi l’ha mai usata, la cattedra?). Era la fine del precariato – un sogno per tanti, un miraggio per troppi – ma non ricordo particolari emozioni. Prendevo ciò che mi spettava, e aspettavo di tornare nel luogo che mi aveva “preso”.

Standard
Senza categoria

Finimondi

Finito il Lab. Sulla strada del ritorno i miei allievi da tutto mondo. Chi se ne torna in Russia, chi in Palestina. Chi in Giappone, chi in Cina. Più che differenze ho notato somiglianze, affinità. Poco esotismo, insomma, e l’impressione che culture millenarie agli antipodi cedano il passo davanti all’umano internazionalismo delle Cose. Cinese, sì, ma “che palle gli esami…”. Di Mosca, ok, ma “fuck off…”. Vietnamita, d’accordo, ma “solo che pensavo a quanto è inutile farneticare credere di stare bene quando è inverno e tu…”.

Standard
Senza categoria

Snevica

Altre abitudini alle tue latitudini

non ci sono margini per me

soltanto limiti metereologici

dalle mie parti nevica

sai com’è

altre abitudini alle mie latitudini

anche l’impossibile si avvererà

ma dammi un attimo

fermati all’angolo

che magari snevica chissà…

 

Gianmaria Testa

Standard
Senza categoria

Captatio malevolentiae

Secondo l’armena Anna, nell’esercizio 9 dell’odierno TEST di LINGUA (“scrivi 10 parole che possano essere riferite ad una persona incontrata nel corso del LABORATORIO INTERNAZIONALE DELLA COMUNICAZIONE”), il suo prof. di italiano nonché titolare della presente pozzanghera risulterebbe:

1. professore;

2. simpatico;

3. buono;

4. serio;

5. sportivo;

6. socievole;

7. gentile;

8. alto;

9. insegnante;

10. generoso.

Che dire? Soprassedendo sui punti 1, 8 e 9, piuttosto scontati e intuitivi, ci si potrebbe soffermare sulle differenze tra il punto 3 e il punto 10 e sulla differenza di entrambi con la realtà delle cose. Il punto 5 fa ridere, il 6 fa pensare ad uno scambio di persone o ad un caso di omonimia. Rimangono il punto 2 e il punto 7, smentiti clamorosamente da questo post. Di essere come al punto 4, una ragazza italiana non l’augurerebbe nemmeno al peggior nemico. Chissà, magari in Armenia…

(oggi va così, giornata acida come il latte scaduto…)

Standard
Senza categoria

Siemens A40

Non è più brillante come una volta. Ha i suoi tempi, bisogna saperlo aspettare. Si stanca subito e quando non ne può più sembra che pianga. Poi, riposatosi e rifocillatosi, ricomincia con spirito di abnegazione. Di vibrare non se parla quasi più, troppo faticoso. Però è sempre lui, il primo cellulare della mia vita, dono dei miei primi 9 indimenticabili alunni. Nonostante sia un telefono mobile, mi sembra comunque appeso ad un filo…

Standard
Senza categoria

Chi sarai

E comincio a piangere.

Il resto, scrivo, è che devo mangiare cibo per poppanti.

Non posso parlare.

Non ho una carriera.

Il mio fidanzato mi ha lasciata.

Nessuno mi guarda.

Tutti i miei vestiti, la mia migliore amica li ha rovinati.

Sto ancora piangendo.

“Che altro?” dice Brandy. “Raccontami tutto.”

Un bambino, scrivo.

Un bambinetto al supermercato mi ha chiamato mostro.

Quegli occhi mi fissano come mai altri occhi hanno fatto. “La tua capacità di percezione è completamente fottuta” dice Brandy. “Tutto quello di cui riesci a parlare è immondizia già accaduta.”

Dice: “Non puoi basare la tua vita sul passato o sul presente”.

Dice Brandy: “Devi raccontarmi del tuo futuro”.

[…]

“Quando capisci” dice Brandy “che quella che racconti è solo una storia. Che non sta più succedendo. Quando realizzi che la storia che stai raccontando sono solo parole, quando puoi sbriciolarla e gettare il tuo passato nel secchio dell’immondizia” dice Brandy Alexander, “allora riusciremo a capire chi sarai.”

 

Chuck Palahniuk, Invisible monsters

Standard
Senza categoria

Rimbalzi

Pozzanghera trae quotidiana ispirazione dai RIMBALZI di un noto blogger, giornalista di "Repubblica". Le piacciono le sue parole leggere e i suoi sguardi sulle cose piccole, sui particolari minimi. Sui dettagli, su ciò che generalmente ci sfugge ed è un vero peccato. Maurizio Crosetti è stato in ferie, mannaggia, e ne ho sentito la mancanza. Ieri è tornato ed ha già infilato due post che vi invito a leggere: uno tristissimo e drammatico, uno lieve, dolce e un po’ spietato. Rimbalzate da lui, dunque…

Standard
Le storie di Scuolamagia, Piccola posta, Stream of consciousness

Il Gigante

Il documento nel mio hardisc è datato 5 luglio 2002. Fu un’estate lunga e difficile, quella. Pochi ricordi nitidi, tante attese e la convinzione che più le cose sono importanti, prima si perdono. Scuolamagia non si chiamava ancora così ma gli incantesimi c’erano già stati. Non era affatto detto che si sarebbero potuti ripetere. Passavo il tempo a sfogliare i quaderni del mio lavoro, i primi scritti dei miei primi alunni. C’erano le Piccole Poste, le letterine da scrivere al mondo, per capirlo, per cambiarlo un po’. Almeno sul quaderno. “Pipì” le chiamavano e le chiamano ancora. All’origine c’era la rubrica quotidiana di Sofri sul “Foglio”, che avevo acquistato nel meraviglioso volume di Sellerio e che continuavo a seguire on line sul giornale di Ferrara (e ce ne vuole di coraggio, per cliccarci ogni giorno…). Così, mentre leggevo di Francy che si preoccupava per la sua gatta Didone, di Dado che a 12 anni si chiedeva il perché del genocidio del Ruanda, di Daniele che suggeriva al commissario tecnico la convocazione in Nazionale di Baggio, nacque l’idea: perché non spedirle proprio a Lui, le “mie” Piccole poste? Preparai una brevissima introduzione (confesso: 10 righe in una ventina di ore di lavoro), e trascrissi tutto: Didone, il Ruanda, Baggio, e poi giochi, animali, amori, ecc. Spedii tutto al carcere Don Bosco di Pisa e passai il resto dell’estate a chiedermi inutilmente perché l’avessi fatto.

Oggi nella buca delle lettere c’era una busta bianca, anonima, solo il mio indirizzo: “…sono Adriano Sofri, non stupirti di questo buffo esordio. Si tratta di questo. Per anni ormai ho ricevuto una quantità di lettere cui non ero in grado di rispondere, e non di rado rinunciavo perfino a leggerle. Le mettevo da parte, coi migliori propositi, finché il mucchio superava lo spazio e potevo solo mandarle fuori, a giacere in qualche scantinato paziente […]”.

Insomma,  la gatta Didone non è uscita dalla busta gialla in cui avevo voluto che entrasse, e nella lettera che ho ricevuto oggi, per questo, A. S. mi chiede scusa.

Standard