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Il ragazzo della via… Paal

Non avendo santi e non avendo fortunatamente morti, questi sono in teoria giorni normali. Sono un insegnante e tra pochi giorni devo consegnare i progetti del mio lavoro. Si chiamavano programmazioni, oggi credo sia più corretto definirli piani di lavoro. Anche se la mia carriera è agli inizi, si tratta ormai di partire dal documento dell’anno precedente per aggiornarlo, invertire l’ordine di due frasi, ricalibrare un obiettivo ecc. La cosa peggiore è dover tracciare le “situazioni di partenza”, il dover definire un alunno in due righe, nel bene e nel male. Ha buone capacità di base, appare in grado di stendere un testo con soddisfacente chiarezza e coerenza, ricco nei contenuti e con approfondimenti personali. Scusa, alunno coi capelli corti e gli occhi gentili, se scrivo di te questo. Davvero, non lo faccio apposta, mi obbligano. No, hai ragione, nessuno mi ha mai detto di descriverti così, lo faccio solo perché tre o quattro anni fa l’ho visto fare ad una collega e mi era sembrato più semplice e sbrigativo fare come lei. Ti prego, però, non pensare che io stia improvvisando. Quando entro lì dentro so benissimo quello che devo dirti e quello che ti faccio fare l’ho pensato e ripensato. Solo che non riesco a trascriverlo in un giorno di novembre su questo foglio bianco che mi lampeggia davanti e mi rovina gli occhi, sopra questi tastini neri che restano immobili. Tra qualche giorno ti leggerò le pagine un romanzo che alla tua età ho tanto amato. Parla delle vere e proprie guerre che facevano alcune bande di ragazzini ungheresi, dei fortini che costruivano per difendersi dagli assalti nemici, dell’amicizia, del tradimento, del coraggio e della paura. Poi ti chiederò di trasferire tutto questo nel tuo paesino (che ben si presta, grazie a quel fiume che lo taglia perfettamente in due…), di immaginare e raccontare una “guerra” tra i ragazzi che abitano di qua e quelli che abitano di là. Non vedo l’ora di leggerti, ragazzino, di vedere che faccia che fai mentre ti leggono anche i tuoi compagni. No, ragazzino, non posso scrivere tra gli obiettivi educativi e didattici che voglio vedere la tua faccia ingenua e sorridente, limpida, senza nuvole. Non posso scrivere che voglio somigliarti un po’.

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