Francesco De Gregori ha detto la sua in un’intervista al “Corriere della Sera”. Al solito l’ha fatto in quella maniera un po’ così, che sta alla simpatia come il giorno sta alla notte. Ha sparato nel mucchio della politica, affermando alfine di averne preso le distanze, dal mucchio. Ognuno è libero di concordare o meno con i singoli concetti espressi dal cantautore, di condividerne o no lo sguardo pesantemente disincantato.
Colpisce, tuttavia, il tono di alcuni commenti un tantino tranchant, e a titolo d’esempio cito quello del giornalista dell’Espresso Gilioli:
“Poi qualcuno mi spiega il senso di un’intera pagina di intervista politica a un tizio che fin dall’inizio spiega di seguire poco la politica, di non sapere chi è ministro di cosa, e che preferisce guardare dai finestrini invece di leggersi un giornale”.
Un tizio. Poi dice che è Grillo quello che storpia i nomi dei suoi interlocutori.
Il tizio scrive e canta da quarant’anni pezzi che – piacciano o non piacciano – raccontano l’umanità tutta e nello specifico questa sua piccola fetta che risponde al nome di Italia. Il tizio ha cantato il lavoro e le migrazioni, vecchie e nuove. Il tizio ha cantato i poveri, stivati sempre qualche piano al di sotto dei ricchi. Il tizio ha cantato la Storia: la guerra, il Fascismo e la Resistenza, spingendosi pure in quel ginepraio che è stata la Repubblica di Salò (e non gliel’hanno mai perdonato, troppo poco ortodosso, nonostante le parole inequivocabili: “parte sbagliata”). Il tizio ha cantato il terrorismo e le brigate rosse prima e meglio dei romanzieri e dei saggisti. Il tizio ha messo in una canzone il 12 dicembre 1969.
[Per non parlare di come il tizio ha cantato l’amore ché quello è un altro discorso.]
Se il tizio – invecchiato, imborghesito, insalottito, quelchevoletevoi – desidera quindi esprimersi su quest’Italia e le sue magagne, su chi tenta di governarla e su chi tenta di raccontarla, su Berlusconi e Renzi, sulla CGIL e l’Ilva di Taranto, io glielo lascerei fare e lo ascolterei anche se non sa quale sia il ministero guidato da Enzo Moavero Milanesi e anche se gli è sfuggito l’ultimo articolo (o l’ultimo post su Facebook) di Alessandro Gilioli.
Perché certe voci – liberi di dissentire – vanno ascoltate.
Ascoltiamoci, è un modo di resistere (con gli occhi aperti nella notte triste).