Tornando da Expo mi chiedevo se ne avrei scritto qui. No, mi ero risposto: le cose che mi erano piaciute e quelle che non mi avevano convinto per niente, entrambe, erano abbondantemente già state dette, e meglio di come avrei saputo fare io.
Poi ieri ho letto questo post del maestro Alex Corlazzoli e non c’ho visto più. Non per le legittime critiche all’evento – anch’esse in realtà tutt’altro che inedite – ma perché il collega, fin dal titolo, afferma che negherebbe l’esperienza di Expo ai suoi alunni.
E perché mai?
Mancherebbe da Expo, secondo Corlazzoli, semplicemente la verità. Si tace su tragedie e sfruttamento, sperequazioni e drammi vari. Che nel mondo ci sono e vanno raccontati.
Dimentica il maestro, o finge di dimenticare, la natura stessa dell’evento. Da sempre l’esposizione universale guarda in avanti, parla di progresso, di domani. Non si tratta di nascondere la polvere sotto il tappeto, ogni nazione porta da sempre ad Expo una sua chiave di interpretazione del futuro. Sbaglia Corlazzoli a considerare l’Expo un funerale, perché si tratta di un battesimo. Invitato alla festa, tra bicchieri tintinnanti e fette di torta, il collega vorrebbe che i genitori del bambino battezzato parlassero a tutti dei loro problemi di coppia, di quando lui tradiva lei con la giovane collega, dei casini con il mutuo, delle liti furibonde tra le suocere.
“Non ho imparato niente nel Padiglione del Rwanda”.
Dice Corlazzoli. E cosa voleva imparare, il genocidio? Voleva vedere i machete insanguinati del ’94 in una teca? Anch’io, sconvolto dalla tardiva scoperta dei tragici fatti di quel paese, ho alle spalle qualche annetto di lezioni pulp sugli Hutu che ammazzano gli scarafaggi Tutsi. Oggi però ho capito che non basta. E a quelle lezioni ne ho aggiunte altre in cui parlo della riconciliazione tentata in quel luogo, a pochissimi anni da quel sangue versato, di amnistie e di progresso da compiere necessariamente insieme, guidati – male non fa – da uno dei parlamenti al mondo con più donne sugli scranni (almeno il doppio rispetto al nostro). Nello spazio espositivo tutto questo, magari scavando un po’, si trova.
“Sono partito dalla Palestina: non un’immagine, una riga, una fotografia dell’occupazione”.
Senza voler negare alcuna tragedia, ma proprio lì, ad Expo? Sicuro sicuro? Al battesimo? Con magari qualcun altro, in un padiglione nemmeno troppo lontano, ad esporre le foto di qualche autobus sventrato da un attentato suicida? Ok, ma per andare dove, tutta questa verità?
Appurato che il visitatore non troverà ad Expo nessun riferimento alla guerra d’Algeria, alle torture nelle carceri iraniane e alla corruzione degli oligarchi russi, mi piacerebbe ora indicare alcuni luoghi notevoli del grande luna park di Rho, e segnalarli agli alunni di Corlazzoli.
Il padiglione dell’Angola. Gigante, sorprendente, ricchissimo di informazioni. Si sviluppa attorno ad un baobab ipertecnologico e racconta un paese africano che cresce (tanto) e si emancipa. È pieno di donne angolane, in carne d’ossa e nelle immagini proiettate. Contadine e avvocate. In Angola le donne contano abbastanza, sapete bimbi? Il capo della spedizione milanese è una donna, e prima faceva il ministro del petrolio (che da quelle parti è un po’ come dire ministro dell’economia).
Il padiglione della Cina. Cinese all’ennesima potenza, nel bene e nel male. Qui però mi concentrerei solo sul messaggio video del premier del celeste impero. Ascoltate Xi Jinping, bambini: vero che mette un po’ paura? Pensate, è una specie di dittatore. Sì, uno di quelli che comandan solo loro. Una roba brutta brutta, davvero. Però ascoltate quello che dice della scienza e del progresso. Sono parole un po’ aride, vanno diritte al sodo. Tuttavia, se un miliardo e mezzo di cinesi oggi hanno di che nutrirsi lo devono anche a quei pensieri spigolosi ma chiarissimi. Pensateci, a quelle parole sulla scienza, soprattutto quando qualche italiano vi indicherà nel cielo le scie chimiche.
(E sapete che quel signore cinese brutto e cattivo sta contribuendo a costruire le ferrovie dell’Angola? Non lo fa gratis, ci mancherebbe. Ma i frutti del baobab, se li vuoi vendere a qualcuno, scopri che non scorrono fluidamente sulle nostre belle parole.)
Il padiglione del Principato di Monaco. Piccolo e brutto (riproduce una pila di container), ad ottobre verrà smontato e collocato in un villaggio del Burkina Faso. Diventerà una scuola e un centro medico, in un luogo senza scuole e centri medici. Goccia nel mare? Può darsi, ma dovete sapere che il tetto tecnologico permette di raccogliere la pioggia per riutilizzarla. A Milano, all’Expo, ci bagnano le piante ornamentali, in Burkina Faso magari imparano pure a replicarlo in altre strutture e ci fanno qualcosa di più essenziale. Purtroppo nel padiglione non si accenna agli evasori fiscali che sono accolti a braccia aperte nel Principato, ma il vostro maestro colmerà la lacuna con una scheda di approfondimento da leggere in classe.
I padiglioni dei paesi di cultura islamica. Sono tanti, forse troppi per dei bambini della vostra età. Facciamo soltanto un rapido giro, sorvoliamoli. Guardate i capelli delle donne che vi accolgono. Solo quelli. Vi chiedo di notare le differenze. Ragazze iraniane, ragazze del Qatar, dell’Oman, degli Emirati Arabi Uniti: sono tutte uguali? Sapete che il futuro del pianeta dipende anche da quei capelli? Ci credete se vi dico che se la cameriera del ristorantino iraniano ha una ciocca che esce libera dal velo, senza che nessuno la rimproveri, quello è un buon segnale, un piccolo barlume di speranza? Ci credete che dobbiamo fare il tifo per quella ribellione di chiome e riccioli?
Poi ci sono gli imprevisti, le cose che a Expo non puoi programmare.
È successo a me, camminavo lungo il decumano dopo un pomeriggio tra i padiglioni e le relative code, stremato e arrancante come un Dorando Pietri.
Sono stato travolto dalla festa del Senegal. Era, a mia insaputa, il giorno dedicato a quel paese. Immaginate una nostra banda di paese, ma metteteci i colori, l’energia, la potenza. Toglieteci le scarpe, alla banda di paese, e toglieteci il sudore. Aggiungeteci i salti, le capriole, la vitalità. Tutto è durato 4 minuti, ma mai come in quei 4 minuti avrei voluto vicino i mei alunni, tutti, quelli che ho mandato in vacanza e rivedrò a settembre, e anche quelli che studiano alle superiori o già lavorano e svezzano figli.
Conclude, Corlazzoli, notando l’assenza di librerie all’interno del sito.
Io ho visto anche i libri, a Expo, anche se in effetti non rappresentano l’articolo più diffuso. Dice che tra i padiglioni va di più il videoproiettore, e all’ingresso di quello giapponese le ragazze dell’organizzazione ti schifano se non ti sei scaricato l’apposita app.
Cari bambini, ringraziate il maestro per tutte le ingiustizie che vi ha insegnato a guardare, a distinguere e a combattere. Esistono tutte, stanno lì davanti a noi. Convincetelo a portarvi ad Expo, però. Fategli capire che Renzi non c’entra proprio niente, e rassicuratelo: non farete la spia col direttore del giornale per cui scrive. Non salverà né nutrirà il pianeta, l’Expo. Ma qualche fettina di mondo ve la mostra, e male non vi farà.