Monthly Archives: gennaio 2006
Mescola il sangue col sudore
Chiudi gli occhi
ed immagina una gioia
molto probabilmente
penseresti a una partenza
ah, si vivesse solo di inizi
di eccitazioni da prima volta
quando tutto ti sorprende e
nulla ti appartiene ancora
penseresti all’odore di un libro nuovo
a quello di vernice fresca
a un regalo da scartare
al giorno prima della festa
al 21 marzo al primo abbraccio
a una matita intera alla primavera
alla paura del debutto
al tremore dell’esordio
ma tra la partenza e il traguardo
nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire
e costruire è potere e sapere
rinunciare alla perfezione
ma il finale è di certo più teatrale
così di ogni storia ricordi solo
la sua conclusione
così come l’ultimo bicchiere l’ultima visione
un tramonto solitario l’inchino e poi il sipario
ma tra l’attesa e il suo compimento
tra il primo tema e il testamento
nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire
e costruire è sapere e potere
rinunciare alla perfezione
ti stringo le mani
rimani qui
cadrà la neve
a breve
(Niccolò Fabi)
Memoria
Giorno della memoria. Da cinque anni, grazie al buon vecchio Ciampi, una legge ci invita ad incontrarci per ricordare, per raccontare. Cinque anni non sono niente, ma nel mondo della scuola si sente già l’odore di muffa, il saporaccio delle cose consuete, fatte perché si sono sempre fatte. Si scelgono vie facili, si riducono i rischi, e tra i corridoi serpeggia una domanda: «tu cosa fai vedere?». Si delega al Cinema, a Train de vie, a Shindler’s list, al Pianista, a Benigni. Si va sul sicuro, che parlino le immagini. Oggi per la prima volta ho pensato che non basta.
Stronzus dividi non potest
Scopro che l’alunno (A) si è comportato molto male con il più giovane alunno (X). Nulla di troppo grave, un giochetto psicologico per cui (X), che è fragile un bel po’, ha temuto per qualche ora un votaccio, la mia predica e quella dei suoi genitori. A ricreazione ne parlo con (A). Cerco come sempre di sembrare lucido e sereno nel mio ruolo – volente o nolente – di giudice. Non alzo la voce, tollero, anzi richiedo una replica. Parlando capita che uno dei due (io, credo) definisca il maligno comportamento “STRONZATA”. (A) sembra pure d’accordo, ma la sua difesa poggia su un punto a suo parere rilevantissimo, capace di scardinare l’intero impianto accusatorio. “Non sono stato solo io, c’erano anche (B) e (C) con me.” Mi rivedo ora mentre ribatto che la stronzaggine è indivisibile, che se erano colpevoli anche (B) e (C), non per questo ora lui era libero di sentirsi stronzo/3 (stronzoterzi), ma doveva riconoscersi in uno stronzo intero. Mi sa che è meglio riparlarne, domani…
Tagli (2)
E pensare che l’avevo osservato proprio ieri, alle sei di mattina. Mi son sentito banalissimo a chiamare dita i rami di un pioppo che ballavano nel vento di questo gennaio di sciarpe comete. Ma sembrava davvero che volessero raggiungere la mia finestra per farsi toccare. Quelle braccia legnose che uscivano da un tronco piuttosto maestoso (almeno per gli standard di queste parti) mi hanno difeso dal sole, hanno regalato un po’ di ombra alla mia auto, hanno vibrato e fatto da cornice ai miei occhi affacciati a guardare. Se pioveva, se qualcuno era arrivato.
Stasera sono tornato a casa e ho incontrato alcuni laboriosi operai che spazzavano la strada fischiettando come io posso cancellare la lavagna dopo che è suonata la campanella. Avevano, per motivi che ignoro, abbattuto i due pioppi che stavano di guardia al mio portone. Sanissime piante di una decina di metri, colpevoli al massimo di qualche starnuto umano in tempo di pollini e fioritura.
La prossima volta che mi mandate una cartolina, mi raccomando: A.D., Via dei Pioppi caduti per l’umana crudeltà, n. 3, 330……
Perle
Oggi è uno stato uno di quei giorni in cui Scuolamagia somiglia a tutto tranne che a una scuola secondaria di primo grado. Prima di tutto abbiamo cercato le perle di una collana sparpagliatesi nel corridoio. Poi abbiamo fatto geografia, e con una tempestanelcervello abbiamo scoperto che delle isole britanniche qualcosina la sappiamo già: Carlo & Camilla, il mostro di Loch Ness (ci son solo mostri, oltremanica?). C’è stato il tempo per leggere il Marziano innamorato di Stefano Benni (Il bar sotto il mare), e riderne di gusto. A ricreazione tanti auguri a Yuri, cioccolatini, chitarra e canzone: case di pane, riunioni di rane, vecchie che ballano nelle cadillac. Ci si fidava, si era disposti a perdere qualcosa.
Come si muore
Un pakistano muore sepolto dalla sua casa di fango.
Un cingalese muore travolto da un’onda che altrove impeccabili testi scolastici insegnano a prevedere.
Un iracheno muore colpito da un proiettile al fosforo.
Un soldato americano muore in un’esplosione, manca da casa perché è povero e magari sognava di fare il maestro elementare.
Un norvegese muore ultranovantenne davanti a 7 figlie laureate, assistito da 14 infermieri.
Un cittadino israeliano muore sventrato sull’autobus che prende ogni mattina, vittima di un attentato suicida.
Un ragazzino palestinese muore perché pensavano potesse essere un attentatore suicida, ma non era neanche vero.
Un africano muore affogato nel canale di Sicilia, la barca era scassata, il mare cattivo, la costa troppo lontana.
Un italiano muore dicendo “vi faccio vedere come muore un italiano”.
Che differenza c’è? E se non l’avesse detto la sua sarebbe stata una morte meno degna? Ma che frase è? Cosa vuol dire? Vuol dire?
Che differenza passa tra una morte e una morte?
Potenza che abbraccia
«E infatti qualcosa avvenne. Intorno, sulle colline intorno, c’era il sole limpido. Sulla chiesa il cielo divenne scuro scuro. E poi esplose una pioggia tesa, violenta, violentissima, solo su di noi, sulla chiesa, mentre la macchina partiva. E lo abbiamo riconosciuto, nel segno di una irresistibile invincibile resa, di una potenza che sale, di un diventare altro, di un addio, un saluto. Di una potenza che abbraccia, come un temporale, fino al cuore. L’ultimo segno è stato, violento e bello, d’amore.»
Immagini che arrivano dal giugno del 1988. Direttamente da un funerale, il funerale di Andrea Pazienza. Reduce dalla lettura di una sorta di biografia, dall’ascolto di tante voci che lo hanno sfiorato, dalla scoperta delle sue mille avventure e dall’immersione nelle sue storie (anche d’amore), rimango a bocca asciutta e il desiderio di capire l’anima del mio dio dei pennarelli dovrà ancora una volta ripartire dai suoi cieli colorati di mille sfumature. Cieli assurdi ma che esistono, a saperli guardare.
Piccoli luoghi
tal picidôr de scuele une siarpe
di frut e spiete, dismenteade,
ch’al vegni indenant il cinidôr
di bombâs dai dîs di fieste cuan’ che
l’ultin rivoc di ciuls sbaldîts
al finirâ di sbalzâ tai mûrs
(sull’attaccapanni della scuola una sciarpa
di bambino aspetta, dimenticata,
che si faccia avanti il silenzio
ovattato dei giorni di festa quando
l’ultima eco di grida spensierate
smetterà di rimbalzare sui muri)
Nelvia Di Monte
Il mio più bel regalo di Natale
Non ti aspetto più
neanche se quando ritorni
ritornasse un’altra estate
Non ti aspetto più
é passato molto tempo
le mie stagioni sono già finite
Non ti aspetto più
e vado via da qui
oltre questo ponte
un altro ponte
e ancora un fiume
e un altro fiume ci sarà
Non ti aspetto più
e vado via perché
oltre l’orizzonte
un altro mare
e ancora un mare
e un altro amore
ci sarà
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