Soletta, Stream of consciousness

Il suono perfetto

Ho ascoltato per una mezz’oretta Samuele Bersani in un’intervista-concerto alla Tv. Il bravo cantautore rievocava a malincuore i tempi in cui il più “figo” era senza dubbio quello che aveva l’hi-fi. La ricordo anch’io, quell’epoca fatta di casse grattacielo e di cavi che facevano la differenza (una leggenda metropolitana diceva che quelli di un mio vecchio insegnante, raffinato cultore di musica classica, fossero addirittura d’oro!). C’era l’idea che l’impianto migliore nascesse “ibrido”, con il lettore CD di quella marca, la migliore, gli amplificatori di quell’altra, il Top, ecc. Non c’ho mai capito molto, in verità, di queste cose, ma ho ancora davanti quel tizio che mi faceva notare come quel magico fruscio delle percussioni nella tal canzone, uscito dalle sue casse totemiche, a casa mia avrei potuto scordarmelo. La canzone, infatti, la so tuttora a memoria, il fruscio non l’ho mai più sentito. Notava, Bersani, come questa “scuola di pensiero” sia miseramente – e in un battito di ciglia, questo è il punto! – scomparsa. Le sue canzoni fuoriescono oggi dagli altoparlantini dei pc portatili o passano attraverso le cuffie degli ipod. Gracchiano e suonano metalliche, e ad un certo punto un segnale acustico si intromette a ricordare l’avvenuta acquisizione di un nuovo freddissimo file scaricato. Poi si è alzato, Samuele, e ha cantato una sua canzone stupenda che il mio computer sta in questo momento indegnamente maltrattando. E io – maledizione! – a tutta questa imperfezione mi sto lentamente abituando…

 

«Con l’inflessione dialettale che ho

ti posso ipnotizzare, sono un traditore.

Sarò la causa di ogni allucinazione

una specie di dirottatore di tapis-roulant

comperati di notte al telefono.

La solitudine no che non è un affare, ti fa credere di risparmiare

e invece non è che uno sperpero

di stagioni inutili

e di anni andati via

davanti a un calendario

e la colpa è soltanto mia.»

 

Samuele Bersani

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