Le storie di Scuolamagia

Ragazzi d’argento

Luci

Avrebbe dovuto intitolarsi “Benvenuto, Cellini!”, questo pezzo, per celebrare l’artista orafo che è in me. Poi è prevalsa l’assonanza con il titolo di una pagina recente.

Manidifataga

Ho accompagnato i cuccioli dentro un laboratorio orafo. Ero scettico, lo ammetto, sono per una scuola seduta per terra, per i disegni fatti con l’erba, per il foglio girato dall’altra parte al fine di non sprecarne uno nuovo. Mi sembrava frivolo l’argento, mi sembrano da sempre frivoli i gioielli tutti.

Marge

Poi però ti trovi lì con una lima e un filo di cera da modellare, ti osservi mentre stai levigando e cesellando. E cesellare no, quello non l’hai proprio mai fatto. Poi però vedi i cuccioli intenti a plasmare draghi, croci, teschi, geki. E un po’ ti ricredi e in un giorno di poche letture – causa cefalea aurea – scopri anche che c’è un artista che mette le collane agli alberi. Che bell’idea, l’avessi letto ieri, oggi avrei ingioiellato un fiore qualsiasi in un prato qualsiasi.

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans

Ragazzi d’oro

Chissà cos’ha spinto Nicky e R. a comportarsi così. Stavano disputando l’annuale corsa campestre che vede fronteggiarsi gli alunni di tre diverse scuole secondarie di primo grado, un centinaio di adolescenti disseminati lungo una vallata, chi in un paesino chi nell’altro, erano da poco ricomparsi agli occhi del pubblico in fondo alla discesa che per loro era l’ultima salita. Si erano dati battaglia tra gli alberi del bosco, avevano messo una discreta distanza tra le loro falcate e quelle degli immediati inseguitori. La corsa di Nicky mi era parsa un po’ più scomposta, il viso di R. era una maschera di concentrazione.

Arrivo

I colori delle maglie – Nicky marrone, nera quella del coetaneo – si erano più volte intrecciati, in una sequela di sorpassi e reciproche rimonte. Fino a quegli ultimi 20 metri d’altri tempi, fino a quelle due mani che si sono cercate per congiungersi alzate, mentre il traguardo veniva tagliato da due corpi all’unisono. Chissà cosa li ha spinti a non cedere al naturale agonismo, a non cercare quella piccola ma evidentissima gloria, più grande anche in virtù di un avversario indomito. Che lezione! E che tristezza un regolamento applicato alla lettera, un regolamento costretto a sancire comunque – seppur a malincuore – il primato di un piede sull’altro sulla linea del traguardo, uno d’oro e l’altro d’argento.    

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Cineserie, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Se fossi Papa io sarei buono

Se fossi il Papa, non avrei questa barba di tre giorni. Se fossi il Papa, oggi avrei sguinzagliato il mio ufficio stampa per convocare tutti i giornalisti italiani e poi avrei aperto la finestra: «Bella gente» – avrei detto con voce sicura – «l’avete visto il giornale, l’avete letto il sito?  Avete visto che cifre? 100.000 birmani. E il terremoto, avete sentito del terremoto in Cina? 900 liceali sotto le macerie… Sentite, belli, che ne dite di sganciare 10 euro a cranio. Lì diamo a uno fidato, un Billclinton, uno così, con una bella faccia, ché glieli porti e ci faccia del bene… Sì, lo so, le tasse, la quarta settimana, il mutuo… ma suvvia, adesso ci tolgono pure l’ICI. Sì, c’avete ragione pure voi, a noi non ce l’hanno mai messo… ma dai, pensateci… Noi si dev’essere quelli buoni, è tutto lì il succo, il senso. È tutto scritto. Il nostro è un destino di bontà, non c’è verso. Siamo tutti fratelli, no? Bianchi, gialli, neri. Quel bambino con gli occhi a mandorla senza la mamma e senza il papà è nostro figlio e nostro fratello. Quel bambino siamo noi. Non possiamo non dirci birmani. Oh, visto che bravo, pure la citazione…».

Se fossi il Papa, oggi mi sarei fatto la barba e avrei evitato di dire che il divorzio è una colpa grave, e soprattutto non avrei dato della materialista disprezzatrice della vita ad una donna che ha abortito. Lo so, l’argomento è spinosissimo e complicatissimo e non lo si taglia a fette, ma quello che voglio dire è che oggi è OGGI. Oggi è questo 12 maggio con tre notizie che spiccano sulle altre: nelle prime due ci sono centinaia di migliaia di morti e altrettanti innocenti che rischiano la pelle, nella terza c’è chi ci ricorda che bisogna difendere la Vita e non sta assolutamente pensando a quelle vite lì.

Mi si dirà che in Cina e in Birmania probabilmente eroici pretini stanno già portando soccorso a quell’umanità bastonata, ma questo non colma in nessun modo una crudele ASSENZA DI PAROLE. Se si escludono le solite, spropositate e a sproposito.

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

La bufera e altro

È lunedì sera (ieri) e il lavoro mi ha tenuto occupato fino a tardi. Un’occhiata alla mail e a qualche notizia on line: si parla del nuovo Presidente della Camera e di una sua uscita decisamente infelice. Doveva dire “merda & merda”, ha detto “c’è merda e merda…”. Figure istituzionali, figure retoriche, figure di merda. Il sito del “Corriere” strilla piuttosto forte: BUFERA SU FINI. Un po’ m’indigno, un po’ voglio vederci più chiaro. Raggiungo la Tv, cerco un Tg, cerco la bufera. Comincia in quel momento, ma il mezzobusto dice “Apocalisse”. Due secondi stranianti: già “bufera” mi sembrava troppo, “apocalisse” è spropositato. No, niente Fini, quella è la Birmania. Ero rimasto fermo ai 250 morti di domenica pomeriggio, ne ho ritrovati migliaia, insieme alla consapevolezza di quanto minuscole siano le nostre miserie. In support of our brave friends in Burma, avevamo scritto su un braccialetto rosso che ci eravamo legati vicendevolmente ai polsi. Era settembre, a Scuolamagia. Penso a Ricky che lo indossa ancora, anche se ormai ha cambiato colore. Penso che il cucciolo magari sta guardando lo stesso notiziario e si sente giustamente un po’ fiero di sè.

È il 6 maggio (oggi), è l’ora del terremoto, dalla finestra alle mie spalle arrivano i rintocchi, uno per ogni morto, 32 anni dopo. La memoria è un posto accogliente e ospitale, e in ogni battito di vittima gemonese ci faccio entrare 70 sventurati friends of Burma spazzati via dall’urgano. 70 x 400 = 28.000.

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Le storie di Scuolamagia, Soletta

T(r)ema in classe

A pag. 185 di un bel libro di Simona Vinci c’è un racconto intitolato In viaggio con le scarpe rosse.

Una storia a due voci, con due punti di vista. Tre? Facciamo due e mezzo. Sì, perché lo sguardo è di volta in volta quello di una madre o quello di due gemelle di tredici anni. Il tema dei gemelli, bravi, proprio quello: fascino e  mistero. Paura? Anche. La mamma e le ragazze si trovano su un aereo insieme a Miou, marmocchietta di 4 anni che un giorno ha iniziato a piangere e non ha smesso più. I pensieri delle gemelle, pensieri all’unisono, sono freddi, asettici, imperturbabili. Perché Miou sta piangendo? Perché non smette mai?

Un giorno Miou ha visto con i suoi occhietti le due sorelle spingere suo padre – il loro patrigno – da una terrazza all’ultimo piano fino a sfracellarsi al suolo. Un uomo violento e crudele, e – per grande fortuna delle due adolescenti – indebitato fino al collo. Suicidio, per gli inquirenti: il caso è chiuso. Tranne che per Miou.

Perché vi racconto in estrema sintesi tutto questo rovinandovi pure un’eventuale lettura?

Perché a me interessa che scopriate – se maggiorenni – come il mio alunno Yuri ha tentato di dare un seguito alla storia nel suo compito di italiano.

Per la cronaca ha preso Distinto +, e gli arresti domiciliari.

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Soletta

Fare la punta alle cose

Non è riuscito a dormire tutta la notte. Si è assopito quando ha cominciato ad albeggiare. Ha smesso i pensieri e non è stato disturbato dai sogni. Disteso nel letto, con la luce del corridoio che entrava smorzata da una mezza finestra in cima alla parete, ha scritto. In penombra. In attesa. Senza aprire il quaderno. Senza usare la penna. Scrivere. È una parola. Un verbo. All’infinito. Che va da qui all’infinito. Dal punto dove la prima parola si ferma sulla pagina fino all’infinito, anche se i più non lo credono o non lo immaginano, ha pensato. È un’azione, ha pensato. Una paura e un piacere – scrivere. La paura funziona come briglie, con la paura trattieni la corsa, la spudoratezza di un piacere che, una volta soddisfatto, non è più. Il piacere, a sua volta, impedisce alla paura di annichilirti. Cerchi di raggiungere quello, liberandoti di questa – ha pensato. È un’altalena fra il piacere e la paura, scrivere. È osservare, lasciarsi osservare dalle cose. Temperare le cose.  Fare loro la punta per infilarle in un pagina, in una storia, ha pensato, che è un po’ come infilare un ago: bisogna fare attenzione, avere cura, non chiudere gli occhi e prendere bene la mira.

 

Gian Luca Favetto, La vita non fa rumore

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Soletta, Stream of consciousness

Il concertone e il concertino

Primomaggio di ozio, tra letture e scritture. A sera prendo il telecomando e mi affaccio timidamente sul concertone romano. Diffidente, cauto: ogni anno va a finire che mi sento più vecchio. Sarà che la musica cambia ed evolve, e spesso non mi gira più intorno, sarà che invecchio per davvero. Sul megapalco il migliore è Caparezza, di parecchie spanne sugli altri. Ha moltissime cose da dire, lo fa con classe, ironia e lucidità. La perla musicale, a dirla tutta, la trovo però, casualmente, su un altro canale, in un altro palinsesto, in replica, mentre il concertone di CGIL CISL e UIL sta rifiatando con la pubblicità.

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