Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Cosa spiegare a mia figlia

Il libro che sto leggendo, La resistenza spiegata a mia figlia, mi fa riflettere sulla proliferazione di quello che ormai si può definire un vero e proprio genere letterario.

Basta recarsi in un efficacissimo internet bookshop e provare a digitare “…a mia figlia” nell’apposito motore di ricerca per imbattersi in un ampio catalogo. Le droghe spiegate a mia figlia. La filosofia spiegata a mia figlia. L’Islam e il razzismo, spiegati a mia figlia. Le istituzioni repubblicane, l’economia: figlia mia, leggi e impara. Volete che non si spieghi a una figlia la globalizzazione, visto che ci siamo dentro fino al collo? Le religioni spiegate a mia figlia, il calcio spiegato a mia figlia. Naturalmente Aushwitz, spiegato a mia figlia. Addirittura Berlusconi, spiegato a mia figlia. Ma quante cose ignorano, queste figlie… Naturalmente gli autori in questione sono tutti papà. La monotonia è spezzata da Mario Capanna, che spiega a suo figlio il ’68. Sarà che si tratta di azione, movimento, cambiamento: roba da maschi.

Sarebbe semplicistico trarre conclusioni femministe, il femminismo di cui è fortemente permeata la Pozzanghera, tanto più al cospetto di buonissimi libri. Spicca però l’assenza di saggiste donne all’interno del genere. Non me la so spiegare, ma non importa. Penso invece ad un mio eventuale libello, un mio “Manoscritto per Teresa”, tenero e premuroso. Cosa potrei spiegare a mia figlia? Cosa sarei in grado di trasmetterle, oggi? Pensiero della domenica.  

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Tempi (verbali) cupi

Fate finta di essere un quattordicenne senegalese, bosniaco, cingalese. Oppure cinese, oppure rumeno. Siete in Italia da una manciata d’anni e i vostri genitori rigano dritto, si ammazzano di lavoro e vi permettono di indossare quella felpa quasi alla moda, di avere quei cinque euro nel telefonino. No, non di ultima generazione, il telefonino, ma comunque degno, regolare. Soprattutto vi mandano a scuola, i vostri genitori, e per una legge di natura trasversale a tutte le usanze e i costumi del pianeta vi rompono le scatole e vi chiedono “com’è andata oggi?” appena avete appoggiato lo zainetto. Sì, vi dicono anche “che non prendete mai in mano un libro” e controllano a vostra insaputa il diario e il libretto personale.

Ecco, dunque, se siete entrati nei panni di quel quattordicenne sappiate che ieri avete sostenuto la PROVA NAZIONALE dell’Esame di Stato. Com’è andata?

Cos’avete scritto nel quesito B1? Sì, quello che chiedeva di coniugare il verbo. Insomma, questo:

Avrei proprio voluto che tu …………… (venire) alla mia festa.

Ma certo che avete scritto FOSSI VENUTO, voi ve la ricordate la consecutio temporum. Sì che ve la ricordate, forse quello che vi siete dimenticati è che state vestendo i panni di un quattordicenne senegalese, bosniaco, cingalese ecc. E allora magari avete trovato sufficiente cavarvela con un VENISSI, in realtà l’unico che vi sia venuto in mente. Molto meglio del VENIRE che avreste usato ai tempi del vostro arrivo in questo paese. Meglio di quel VIENI o VENIVI che infastidiva così tanto il vostro professore di italiano paladino di tutti i congiuntivi.

Insomma, in realtà avete scritto AVREI PROPRIO VOLUTO CHE TU VENISSI ALLA MIA FESTA. In realtà si sarebbero espressi come voi anche un esercito di scrittori e i giornalisti della carta stampata, ma per la scuola italiana il vostro è uno sbaglio bello e buono, roba da ZERO punti e avanti col quesito B2.

E il riccio?

Sì, quello del racconto di La Capria, quello del brano da comprendere. Una trentina di righe e un argomento da poppanti: la volpe e il riccio. Sì, però il riccio era COMPUNTO. Come, non sapete cosa vuol dire COMPUNTO? No, non era un riccio a puntini, quelle sono le coccinelle. Certo, quella parola i vostri parenti non la usano e i vostri insegnanti – con la poca stima che nutrono nei vostri confronti – nemmeno. Non la capireste.

Insomma, ragazzi, come vedete è la solita vecchia storia. La lingua non serve per comunicare e diventa una sorta di club esclusivo, arroccata nelle sue raffinatezze normative. Un altro muro, uno dei tanti da superare. Nemmeno così invalicabile, pensate a quelli hanno ancora davanti le onde del Mediterraneo.

Doveva essere un segnale di modernità, la PROVA UNICA NAZIONALE. Doveva misurare, dare oggettività ad un esame lasciato in balia di metri di giudizio improvvisati e posticci.

Si è rivelato invece un crudele strumento di selezione, premoderno e classista. Borghese (nel 2008, si può dire?) e pure un po’ compunto.

 

«Gianni fu più difficile. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l’odio per i libri.

Noi per lui si fecero acrobazie. Si riuscì a fargli amare non dico tutto, ma almeno qualche materia. Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi a fargli amare anche il resto.

Ma agli esami una professoressa gli disse: – perché vai a scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere?

Lo so anch’io che il Gianni non si sa esprimere.

Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l’avete buttato fuori di scuola l’anno prima.

Bella cura la vostra.

Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo.

Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi.

Appartiene alla ditta.»

 

Lorenzo Milani

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Il mondo salvato da Sungha Jung

Non dico salvarlo, ma a migliorare il mondo dovremmo provarci tutti. Con piccoli gesti, niente di eroico, preferibilmente nel tempo libero e nelle giornate di sole. Leggendo una poesia, tracciando i contorni di un volto o di un paesaggio colla matita, scattando una foto, scendendo in strada per sorridere al primo che passa. Non è colpa mia se poi c’è qualcuno che rema contro e inventa YouTube e ti distoglie dalla tua piccola fetta di salvataggio. Un giorno per colpa del grande cantante dentro quel vecchio grande concerto, un giorno per la prodezza dell’atleta, un giorno per il coccodrillo che assale il leone che sta assalendo il bufalo. Anche a scuola è una battaglia persa e l’unica cosa che puoi fare è limitare i danni: “ragazzi, goal e canzoni passino, incidenti stradali e gente che esegue brani musicali scoreggiando non esiste proprio…”.

Sungha+Jung[1]

Però ogni tanto la diga cede e in un sabato di pioggia e mal di testa ti ritrovi solo in compagnia di un bambino coreano che non ride mai, ma vive dentro una pace che gli strapperesti dalle mani. Se solo stessero un po’ ferme, le mani. E il tempo passa, le ore volano. Che bambino sarà mai, Sungha Jung? Sarà bravo a scuola? Come li farà, i compiti? E se un paio di altri bimbi si mettessero a giocare sghignazzando con YouTube, mentre lui è immerso in una lezione di chitarra (presa o data?)? Riuscirebbero a distrarlo mentre sta salvando la sua fetta di mondo?

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Metterci o non metterci un gay

Ultimo viaggio nelle scritture dei cuccioli nati nel ’94. Ultimo naufragio nelle loro calligrafie, nel loro mettere nero su bianco e bianchetto su nero. Oggi: prova scritta di italiano. Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione: E.D.S.C.D.P.C.D.I, ecco spiegato perché non esiste l’acronimo. Tutti, come ampiamente previsto, si sono gettati sulla prima traccia, quella che chiedeva loro di immaginare un futuro nella professione dei sogni. Yuri si è visto nei panni di un Mangaka. È grazie a lui, infatti, che so cosa sia un Mangaka. Nelle tre colonnine prodotte mi pare si sia come trattenuto, ha fatto catenaccio, si è chiuso in difesa. Strano, di solito attacca a testa bassa, osa e rischia. Peccato, a parte qualche problema con la Yakuza, sembra che la sua vita di genio del fumetto sia piuttosto regolare e monotona. Uno dei due Nicola si è voluto laureare in psicologia per occuparsi dei problemi di certa gente schizzata. A sera, piuttosto stanco, si ritira in camera da letto per leggere un libro che parla del Tibet e chissà perché proprio del Tibet. L’altro Nicola si è messo nei panni di una punta della Fiorentina allenata – nel 2012 – da Roberto Donadoni, reduce dai disastri in azzurro. Con una buona dose di ironia ha fatto un mare di quattrini e si è messo con la velina bionda, confessando pure di amarla. A fine carriera gli hanno addirittura amputato una gamba, ma quello è l’effetto Pistorius, la vicenda del quale lo ha sempre molto colpito. E Agata? Agata si è vestita da giornalista e si è data da fare per una testata forse un po’ vaga ma decisamente molto accogliente. Mi è piaciuto il fatto che il direttore portasse il mio nome, se non fosse che è lei stessa, poche righe più tardi, a fargli le scarpe al termine di una bruciante carriera.

Meraviglioso il momento in cui timidamente mi ha chiamato per chiedermi, se Jess, un simpaticissimo membro della redazione, poteva essere gay. “Ce n’è sempre uno, nei telefilm…”

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Mattoncini

Lego trave

A che punto è la scuola? Dicevamo. La mia è finita, peccato. Proprio oggi che mi imbatto in queste foto e mi vengono in mente 359 attività da ricavarne in classe. Le foto storiche, gli scatti immortali rifatti utilizzando gli omini del Lego, quanto di più spersonalizzato apparentemente possa esistere. E invece no, eccoli serissimi a fare la Guerra di Spagna, a lottare coi carri armati, a sbarcare sulla Luna o se preferite in Normandia. Che bella lezione di Storia. Ma poi? Ma poi si poteva provare a fare altrettanto. Per esempio il bimbo colla bottiglia di vino di Cartier Bresson, l’omino siculo che indica l’orizzonte al soldato americano, visti da Capa. La donna con bandiera di Tina Modotti. Peccato, davvero. Sarà per un’altra volta, a patto di non dimenticarsene.

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Le storie di Scuolamagia

CONTRATTO TEATRALE DI LAVORO (Scuolamagia, 6 giugno 2008)

I Signori Lucia *** ****, Margherita *** ****, Riccardo ******, Samuele *******, Daniele ******, Francesca ********, Nicola *****, Agata *******, Nicola ******* e Yuri *******, per brevità chiamati attori, residenti a Scuolamagia, via Belluno, in qualità di datori di lavoro assumono a tempo determinato il/la Sig./Sig.ra _______________________________, nato/a ______________________ il ____ / ____ / ______ in qualità di spettatore/spettatrice della rappresentazione teatrale FORZA, LAVORO, in scena venerdì 6 giugno 2008.

 

 

Art. 1

Il lavoratore viene inquadrato nella categoria PUBBLICO APPLAUDENTE del CCNL.

 

Art. 2

Il periodo di prova è fissato in 10 minuti dal momento dell’assunzione.

 

Art. 3

L’orario di lavoro è fissato in 40 minuti circa a partire dalle 21.00 di venerdì 06/06/08.

 

Art. 4

Gli attori forniscono al lavoratore uno spettacolo diviso in 5 momenti fondamentali di cui agli articoli 5), 6), 7), 8), 9).

 

Art. 5

IL CANTO DEI MESTIERI, scena corale e toglifiato, macedonia di professionalità, intreccio di competenze. Lavori di fino e lavori grossolani, lavori sporchi e lavoretti puliti puliti. Pubblici e privati. Fino all’elogio del mestiere attoriale.

 

Art. 6

CATENA E PAUSA, immersione nel lavoro spersonalizzante di un’improbabile industria automobilistica, nelle voci delle macchine, nello stridore dei metalli. Fino alla catarsi della pausa di metà mattina, fino all’uguaglianza delle fami saziate, a dispetto degli ingredienti. Sul finale, proiezione di immagini storiche dell’Italia al lavoro, tratte dall’Archivio Alinari di Firenze.

 

Art. 7

LA STORIA DI PREC ARIANNA, vicenda minima di un’italiana qualunque in questi anni confusi e complicati. Arianna ragazza da un contratto al giorno, Arianna che non si perde d’animo, Arianna che s’inventa il lavoro. Arianna che vedrà compiersi – a suo esclusivo vantaggio – una celebre profezia (“Signorina, sposi un miliardario…”) annunciata nel 2008 in uno studio televisivo.

 

Art. 8

DIRITTI AL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE, scena con una forte carica simbolica, scena rumorosa, scena per occhi e udito. Rumori spesso inascoltati che sono inconsapevoli richieste d’aiuto. Scena di liberazione dal rischio, scena di liberazione e basta. La sicurezza sul lavoro e il lavoro minorile: una riflessione per non dormire sonni tranquilli.

 

Art. 9

COMPOSTI EROISMI, epica vicenda di Luigi Delle Bicocche, cavaliere del XXI secolo. Errante nella vita che è una battaglia, verso un futuro che è un mostro da affrontare. Mai domo, semplicemente uomo. Con un unico sogno, rimanere degno. Sullo sfondo, la musica e l’impegno di Michele Salvemini in arte Caparezza.

 

Art. 10

Il lavoratore ha diritto all’ascolto di brani eseguiti da Damien Rice (The blower’s daughter), Giua (La donna cannone), L’aura (Basta), Caparezza (Eroe).

 

Art. 11

Il lavoratore è tenuto ad applaudire fragorosamente Giovanni **** e il suo prezioso cameo, nonché Ilaria, Mattia, Luca e Anna, per la prima volta sul palcoscenico. È altresì tenuto ad unirsi al corale ringraziamento rivolto all’Istituto Comprensivo di Comeglians, al Comune di Forni Avoltri, a Ines, Ivan, Tiziano, Concetta.

 

Art. 12

Il lavoratore potrà giovarsi dell’illuminazione allestita dal Sig. Mauro (Grazie!).

 

Art. 13

Lo spettacolo è dedicato a chi ci ha insegnato che se si comincia un lavoro lo si porta fino in fondo. (Grazie Laila!)

 

Art. 14

Per ogni controversia è nominato competente il Foro di uno spillo su un palloncino pieno d’acqua.

 

Per accettazione,

 

Forni Avoltri, Scuolamagia, 6 giugno 2008

 

 

Il datore di lavoro

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Il lavoratore

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A che punto è la Scuola

La democrazia italiana, scrive Adriano Sofri,

“…ha bisogno di qualcuno che riscriva il libro Cuore, senza vergognarsene, senza lasciarsi intimorire dalla taccia di buonismo, senza temere nemmeno la condiscendenza di un padre di scolaro italiano ricco e stronzo che stringa teatralmente la mano a un padre di bangladeshi povero, e spinga il figlio a chiedere scusa all’altro, e li faccia mettere in banco insieme. Che detti il racconto mensile su un bambino coraggioso che fa la traversata a ritroso, e parte dalle Ande alla ricerca di sua madre venuta a fare la badante in qualche punto degli Appennini. Quando le illusioni sull’amalgama culturale sono cadute, e però si mostra il ceffo delle reciproche secessioni, il luogo in cui ancora si può immaginare un incontro di civiltà e di persone, e una simpatia pentecostale, è la scuola elementare pubblica. Lei e le sue maestre”.

 

Spunto dell’articolo, uno dei tanti, è la bella storia della maestra settantenne difesa a spada tratta dai suoi alunni che non vogliono sia collocata forzatamente a riposo. A loro basterebbe un anno, uno strappetto alla regola e poi se ne andrebbero tranquillamente alle medie, e l’educatrice in pensione. Pare che non sia possibile. Dal Ministero fanno sapere che l’arzilla docente potrà però andare a trovare i suoi alunni. Ah, deve dirlo il Ministero?

Intanto finisce l’anno, si lavora come matti. Lavoro può significare serissimi ripassi, lezioni e correzioni in vista dell’esame, così come colorare coi pennarelli una sagoma di fanciulla di cartone (Prec Arianna, protagonista virtuale dello spettacolo di venerdì…): canottiera a righe, pantaloni rossi, scarpe “Converse”. Non so se si tratti di riscrivere il libro Cuore. Non l’ho nemmeno letto, in realtà. Posso fare finta, come finta si fa: la maestrina colla penna rossa, Franti ecc.

Si tratta di scrivere una pagina nuova, questo forse sì. Bisogna lavorare a quella formula che impedisca ad un giovane italiano di vedere in un Rom un potenziale ladro di bambini. Invece. Invece stiamo perdendo tempo, rincorriamo valutazioni oggettive. Studiamo nuove forme di misurazione e valutazione, nuovi esami, e teniamo sempre il coltello dalla parte del manico, ché noi tanto non ci misura mai nessuno. Facciamo sottolineare il verbo e distinguere il complemento. Chiediamo se è a), b) o c). Rispondiamo che la verità è b), che di conseguenza non è a) e nemmeno c). Almeno così crediamo.  

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