Nel 1929 Antonia Pozzi aveva 17 anni e una fantasia infinita. Giocava le parole, e ne faceva poesia come a quell’età si può saltare con la corda. Una notte ha immaginato di veder (di ascoltar) passare l’autunno, ne è nato un testo – il titolo è Fantasia settembrina – psichedelico prima della psichedelia. Parlano da soli, i versi, e non è nemmeno così importante rintracciare particolari trame di senso. Ci sono poesie da piluccare: parole acino, versi granello. Io comincio da manciatelle di ruggine e da tenerezza calduccia di bambino…
Questa notte è passato l’autunno:
l’accompagnava un’orchestrina arguta
di pioggia e folatelle e gli gemeva
una ballata, carezzosamente.
Tutto il corteo ha danzato sopra i tegoli
e zampettato dentro la grondaia
fin dopo il tocco; poi la brigatella
si è incamminata verso la montagna,
col suo fulvo signore. E tutta notte
hanno gozzovigliato in mezzo ai boschi,
i gaietti compari. In lunghe file,
hanno scalato i dossi più audaci,
hanno riddato come pazzi in vetta
ai roccioni più aspri. Verso l’alba,
si son scagliati in basso a precipizio,
scivolando sul capo dei castani,
investendo a rovina le betulle,
lacerando tra i ciuffi di robinie
le tuniche dorate, abbandonando
i drappeggi di nebbia in mezzo ai rovi.
Stamane, di buon’ora, quando il sole
ha profilato d’oro le montagne,
si sono dileguati. Ma sul dorso
d’ogni boscaglia, son rimaste tracce
del festino notturno: guizzi gialli,
guizzi rossastri, appesi ad ogni ramo
come stelle filanti; manciatelle
di ruggine nel folto del fogliame,
come pugni sfacciati di coriandoli;
tazzettine di colchici, smarrite
dalle fate nei prati, per la fretta;
e in noi, l’eco affiochita delle nenie
frusciate dalla pioggia, nella notte;
in noi una bontà dimenticata
– tenerezza calduccia di bambino –
in noi un abbandono senza nome
– desiderio di brace e di carezze –
Antonia Pozzi, 30 settembre 1929