Cineserie, Soletta

OS 63 – Austrian Airlines

«Marco Polo immaginava di rispondere (o Kublai immaginava la sua risposta) che più si perdeva in quartieri sconosciuti di città lontane, più capiva le altre città che aveva attraversato per giungere fin là, e ripercorreva le tappe dei suoi viaggi, e imparava a conoscere il porto da cui era salpato, e i luoghi familiari della sua giovinezza, e i dintorni di casa, e un campiello di Venezia dove correva da bambino».

Quando ci ritroveremo tra qualche giorno, care e cari, tutto sarà diverso e nulla sarà uguale. Venite con me?

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Soletta, Tutte queste cose passare

Pessottino

«Noi del pallone lo chiamiamo Pessottino, non perché sia piccolo (d’accordo, non è neanche un gigante) ma perché gli vogliamo bene. Tanto bene. E lo stimiamo, cosa non meno importante. Vent’anni di campi e stadi, se ne fa di strada insieme, ci sono quei momenti meno ufficiali, quando si aspetta un bagaglio all’aeroporto in piena notte e si sta mezzo seduti per terra, e magari si avrebbe voglia di essere altrove.

In quei momenti, Gianluca Pessotto inforca gli occhialetti e apre un libro. Ma poi lo chiude, ti saluta e si comincia a chiacchierare. Di tutto, non solo del rigore che forse non c’era. Di figli, di città. Una volta, persino di Dostoevskij. Cosa leggi, Pessottino? “Umiliati e offesi, c’è questo amore tra un nobile e una ragazza povera, lo sai, io sono romantico”. Un giorno, in una bella intervista, Gianluca l’ha pure citato, il grande russo indagatore dell’anima: “Senza Dio, tutto è lecito. E io sono d’accordo. Senza cadere nel fanatismo religioso, credo che la fede ti dia sempre un freno morale”.
Gianluca Pessotto ha trentasei anni, ed è magnifico poter coniugare questo verbo al presente, e per tanto tempo ancora. Gioca a calcio da venti, cominciò che ne aveva quattordici e se ne andò a vivere in collegio a Milano, stava nelle giovanili del Milan, il pallone non è mica solo soldi e tatuaggi, mondiali e veline, è anche la solitudine, il freddo, la nostalgia di tanti bambini che crescono così, con il loro sogno sotto il cuscino. Il sogno di una carriera normale che poi diventa grande, e piena di cose: Varese, Massese, Bologna, Hellas Verona, il Toro in serie A, stagione ‘94-’95, due derby vinti contro Lippi che infatti lo vuole alla Juve.

In bianconero, 243 presenze, sei scudetti e tutte le coppe, compresa la Champions League vinta nel ‘96 contro l’Ajax ai rigori. Uno lo segna proprio lui, non Del Piero, non Vialli ma Gianluca Pessotto da Latisana, provincia di Udine. Oppure quell’altra volta, agli Europei 2000, semifinale contro l’Olanda e di nuovo ai rigori. E’ la partita del cucchiaio di Totti, ma un altro pallone lo fa rotolare in porta Pessotto che è un mediano, un maniscalco, un jolly difensivo, un “fluidificante”, il ruolo che sembra uno sciroppo contro il catarro. E quante lotte, quanti palloni recuperati e passati ai più bravi, forse.

E’ facile voler bene a Gianluca Pessotto, il giocatore famoso che si incontra a passeggio in centro, a Torino, con la moglie e le due bambine per mano, si chiamano Federica e Benedetta e sono bellissime. Oppure al parcheggio dell’Aci. L’ultima volta proprio lì sotto, prima di partire per la Germania. Lui, appena nominato “team manager” della Juve dopo avere smesso di giocare. Allora, Gianluca, lo ripuliamo ‘sto pallone? “O adesso o mai più, ce la dobbiamo fare”. Era contento, affilato come un’acciuga. E sempre quel sorriso, quella mano tesa.

Gli piace scrivere poesie. Una dice: “Affrontare un avversario/è come affrontare le difficoltà quotidiane/a volte ti supera/a volte riesci a bloccarlo/sapendo che non devi mai smettere di correre/Grazie calcio/per avermi insegnato a vivere giocando”. Giorni fa, all’oratorio San Luigi di Gavirate, Varese, invitato al convegno “Lo sport educa?” Gianluca aveva detto: “Non giriamoci intorno, oggi il calcio non è educativo, e neppure i media o la tv, dove vengono proposti troppi modelli di non valori. Insegnanti e genitori hanno il compito più difficile. E dopo il marcio, anche il nostro sport potrà ripartire”. Un ragazzo perbene, un amico, uno che andava in discoteca a veder ballare gli altri (“Mai amato il fumo e il rumore, diciamo che facevo la guardia ai cappotti”).
Un giocatore preso ad esempio da tutti. E’ anche il cassiere ufficiale dello spogliatoio juventino: quello che raccoglie i soldi delle multe tra i compagni che arrivano in ritardo agli allenamenti: “Una faticaccia, qui hanno tutti il braccino corto”. Ha sofferto, Pessottino. Si sfasciò il ginocchio nell’amichevole prima dei mondiali 2002: li avrebbe vissuti da titolare. Invece, sette mesi di stop. E ha giocato persino quest’anno, l’ultimo, dieci presenze, sempre impeccabile anche nella malinconia dell’arrivederci, un giocatore intelligente, un uomo d’equilibrio tra i reparti e tra le persone, educato, rispettoso, e proprio di rispetto ha bisogno adesso il suo buio, di vicinanza e amore, non di pettegolezzi. E poi, mai visto uno così corretto, anzi sì: il suo nome era Scirea. Gli somigliava, Gaetano.
La cosa più bella accadde a Perugia, sei anni fa. La Juve sta perdendo lo scudetto, ultimi minuti, l’arbitro dà una rimessa a Pessotto ma lui dice che è un errore, e restituisce la palla all’avversario. Come si fa a non volerti bene?»

 

Maurizio Crosetti, “La Repubblica”

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Res cogitans, Tutte queste cose passare

Il bicchiere mezzo pieno

Ogni sabato si sveglia, prende la bicicletta e raggiunge un carcere. Non ci va per fare il suo lavoro, anche se quello che fa un po’ somiglia al suo lavoro. Entra e si siede con i carcerati attorno ad un tavolo nella stanza dei colloqui, li aiuta a compilare domande e domandine, a richiedere quei benefici dei quali magari non sanno nemmeno di poter fruire. Fa il semplice avvocato di quelli che un avvocato non se lo possono permettere. Un volontario come tanti? Non proprio. Sto parlando di Valerio Onida, ex Presidente della Corte di Cassazione, emeritissimo professore universitario. Il resto delle pagine di “Repubblica” oggi era piuttosto disgustoso, come capita sempre più spesso tra un interrogatorio di monarca sessuomaniaco, l’intercettazione di un arbitro, la faticosa “gavetta” di qualche valletta. Poi mi è spuntato davanti quell’uomo in bicicletta un sabato mattina come tanti, il pantalone sollevato per non macchiarsi con il grasso della catena. Il bicchiere mezzo pieno, il mio paese mezzo pieno.  

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Manolo Negrete

E-Bay, Skype, E-Mule. Difficile stare al passo. Capire cosa si sta usando, chi ci sta guadagnando. Adesso (sì, proprio ADESSO, lo so che voi le sapete da una vita, ‘ste cose…) scopro You Tube. E il marchingegno apparentemente più freddo e asettico subito cortocircuita con la materia calda dei miei ricordi. Quelli lontani vent’anni, quelli che arrivano da un tempo di cosce ammaccate e di ginocchia sbucciatissime. Perché c’è stato un tempo in cui io volevo fare come Manuel (anche se nella mia memoria suonava come Manolo) Negrete il 15 giugno 1986. Volevo, volevo tanto. Riuscirci, poi… quello era un altro discorso. Manolo Negrete, ma pensa tu.

(P.S.: i lettori sprovvisti di connessione adsl forse non potranno capire… Sorry, un giorno vi faccio un disegno…)

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Il coraggio di fare CTRL – P

Gliel’avevo suggerito quasi per gioco uno degli ultimi giorni di scuola. Volevo sdrammatizzare un po’ il clima serioso creatosi attorno all’ultima fatica, quel colloquio pluridisciplinare che per la prima volta a Scuolamagia sarebbe stato scandito da una presentazione in PowerPoint. Angelina però mi ha preso sul serio, ha messo per un secondo e mezzo le mani sul viso e ha cliccato contemporaneamente sui due tastini. La freccetta del mouse è magicamente diventata una matita che nessuno ha più potuto fermare. Ha tracciato il profilo della frana del Vajont, ha indicato gli estremi confini della maledetta onda, ha percorso l’intero corso dello Yangtze sbarrandolo laddove è sorta la diga delle Tre Gole, ha indicato certi colori caldi in un quadro di Van Gogh.

Nel frattempo è finito un altro anno scolastico e sopra la pozzanghera – sull’altalena, tra il mio ieri, il mio oggi e il mio domani – giocano matti i pensieri.

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Gesti

veltroniLa leader dell’opposizione birmana probabilmente soffierà ancora su molte candeline da prigioniera. Certi gesti, però, mi sembra che ci possano far guardare un po’ più lontano. Che servano prima di tutto a noi, a noi che pensiamo sempre e solo alla ripresa, al cuneo, alle tasse, al precariato e alla pensione. A noi che pensiamo sempre e solo a noi, insomma. Buonismo o cinismo? Oggi sto con Veltroni e soffro pensando che Prodi una cosa così non la farà mai…

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BC

Quanti anni erano che non pensavo al BC? Tanti, tantissimi. Giocavo nei “giovanissimi” del mio paesello e lui era il mio allenatore. Credo lo chiamassimo COACH. Era giovanissimo, 4 anni più di me. Ma mi separava da lui una distanza abissale. Perché lui era il BC, il più forte calciatore che avessi mai visto. Me lo ricordo giocare divinamente tra gli adulti e meglio degli adulti quando io ero un bimbo e lui lo era appena stato. Fantastico, alto e leggero. Veloce e potente, autorevole. Un vero mito. Per molti anni, dopo che il calcio era diventato solo una passione per qualche rarissimo dopocena, ho continuato a misurare il mondo del pallone con il suo stampo. Lui, pietra di paragone. Quanti calciatori me l’hanno ricordato, ma anche se giocavano nel Brasile erano loro il volgare tentativo d’imitazione, mai riuscita. Gli rimproveravo il fatto di essere con gli anni arretrato, per fare il difensore. Per fare la difesa, meglio. Agli esordi era un Numero 10 capace di segnare e di far segnare. Era comunque fantastico vederlo compiere quei movimenti perfetti, con quella facilità. Sempre corretto, sempre più in alto, sempre più forte, sempre più veloce degli altri. L’ho guardato per ore da dietro la ringhiera di un campo sportivo, l’ho guardato uscire dalle Medie con OTTIMO, lo ricordo persino mentre sorregge la madre il giorno del funerale di suo padre. Provvidenziale, sempre. BC erano e sono le sue iniziali, chissà se lo chiamano ancora così: Bicì. Oggi scopro che ha smesso, dopo una bella carriera giunta più volte fino sulla soglia del professionismo. Chissà se allena ancora i ragazzini, chissà se qualcuno di loro sogna ancora di diventare come lui.

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21 Maggio 2005

«Ti ho scritto una dozzina di lettere mentalmente ma non sono mai riuscita a renderle in forma scritta. Non per mancanza di pensieri, ma al contrario per il fatto che le impressioni lasciatemi quel pomeriggio passato con te erano troppe e troppo profonde da sovrastarmi. Ma eccomi qui a farmi forza nell’esprimere ciò che provo ben sapendo che è futile, poiché forse neppure a me stessa riesco a spiegare in modo chiaro perché ho soppresso il forte desiderio di vederti ancora una volta. Era forza di volontà da parte mia o viltà?»

 Tina Modotti, 1921

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A che serve un perepé?

Un giorno un cavallo, un perepè e una margherita giallo mare se ne andavano a spasso per il mondo. «ALT!» disse il Gran Maestro dei Grigi sbucando da un cespuglio. «Le margherite non vanno a spasso, lo sanno tutti! Quindi la favola finisce qua!» «No, la margherita la porto con me» disse il cavallo. «Ciao» disse la margherita che era molto bene educata. E i tre continuarono la passeggiata, e il cavallo portava la margherita sulla groppa. «UN MOMENTO!» disse di nuovo il Gran Maestro dei Grigi. «Chi ha mai sentito parlare una margherita giallo mare? Il mare è blu! Lo sanno tutti, quindi la favola finisce qua!» «No, guarda, quando il sole tramonta, il mare ha tutti i colori!» disse il cavallo. «Bah!» e i tre continuarono a girare il mondo in lungo e in largo. «FERMI!» disse ancora il Gran Maestro dei Grigi che era proprio uno scocciatore. «Come mai tu che sei un cavallo parli, e questa margherita mi ha detto ciao? I cavalli e le margherite non parlano, lo sanno tutti! Quindi la favola finisce qua!» «Ma no! I cavalli parlano, solo che gli uomini non li capiscono. E la margheritina, anche lei parla, sennò come faceva a salutare?» E i tre continuarono la passeggiata ridendo e scherzando. «FERMI TUTTI!» disse ancora una volta il Gran Maestro dei Grigi. «E va bene il cavallo parlante, va bene la margherita giallo mare, ma un perepé? A che serve un perepé?» «Serve perché, quando c’è uno scocciatore come te, lui salta e fa: PEREPÉ!!!! PEREPÉ» (Andrea Pazienza)

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Giuseppe

Di solito mi chiama CAPO. “Sì, Capo.” “Va bene, Capo.” “Se lo scordi, Capo.” Oggi alla quinta ora è seduto davanti al computer. Sta lavorando alla presentazione in PowerPoint con cui all’esame porterà i suoi professori a spasso per l’Himalaya,  parlerà loro dei continenti alla deriva, di Erri De Luca e delle portatrici carniche. È prima concentrato, poi perplesso. Poi impreca, poi clicca giusto ed esulta. Poi mi gela, di un gelo bello:

«Ho finito, papà…»

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Blasfemo

Persa tra le pagine di “Repubblica”, tra un reportage storico di Rampini sulla Cina e un’intervista di Serra all’inventore di Slow Food, ecco la firma: Giovanni Maria Bellu. Un nome che ormai lego inevitabilmente a certe brutte storie di questo tempo devastato. Una cinquantina di uomini neri salpano la notte di Natale da Capo Verde per raggiungere la Spagna, li ritrovano alle Barbados, vagamente fuori rotta, ovviamente morti. In realtà ne ritrovano soltanto undici. Ritrovano anche 1300 euro e un bigliettino pazzesco scritto in francese. "Chi mi ritroverà invii questo denaro alla mia famiglia". Perché Dio persevera nel suo silenzio? Errare è umano, perseverare è divino.

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Sbrigare

Trascrivo un elenco di faccende da sbrigare da oggi a venerdì 9 giugno. Se uso un foglio, lo perdo. È molto più difficile perdere una pozzanghera. Quotidianamente “spunterò” le operazioni già effettuate. Auguri.

 

Preparare il Power point per lo Spettacolo.

Lavorare alla colonna sonora dello Spettacolo.

Recuperare il mixer della scuola e tutto l’impianto audio.

Telefonare scrivere massaggiare per invitare persone e personcine allo Spettacolo.

Verificare che il microfono funzioni.

Scrivere relazione finale della classe terza.

Costruire almeno altri 150 aerei di carta con la pluriclasse.

Scrivere relazione finale per le discipline che insegno (3) nelle mie classi (3).

Correggere i quaderni (storia) della pluriclasse.

Scrivere (e imparare a memoria) la mia parte nella scena dell’aereoporto.

Cercare carte geografiche per la scena del valzer.

Correggere il tema di Pino che era assente.

Preparare volantino spettacolo teatrale (9 giugno).

Preparare volantino inaugurazione campo di calcio (10 giugno).

Preparare rifiniture per il drago.

Trovare (comperare?) un secchio per la scena dei tamburi (quello che ho suona poco e mi rompo le mani).

Scegliere 200 euro di libri da comperare per Scuolamagia.

Supervedere la formazione delle squadre per l’inaugurazione e gli accoppiamenti (padri-figli; alunni-prof…)

Stendere giudizi finali terzo trimestre.

Scaricare immagini da dare ai ragazzi di Terza per i loro Power point dell’esame (Gino Bartali, Tina Modotti, Chernobil).

Fare in modo che Agata e Noemì siano vestite da hostess.

Inventare i titoli per lo scritto d’italiano.

Scegliere materiali per il portfolio.

(Ripassare la natura oscura del portfolio.)

Chiedere meglio a Dado se è disponibile a fare l’arbitro.

Comperare per lo spettacolo teatrale:

PENNARELLONI

CD VERGINI

FOGLIONI ENORMI PER SFONDO

CAMPANELLINE PER EFFETTI SONORI DEL DRAGO

SPAGO (GROSSO)

COLORI PER DIPINGERE LA FACCIA (VERDE).

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