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Questi posti davanti al mare

Mi è capitato alfine di arrivare a Portopalo di Capo Passero, in un giorno di sole agghiacciante, a bordo di una noleggiata Grandepunto. Ho visto quello che volevo vedere, quello che stavo cercando. Il mio Sud, la latitudine più prossima all’equatore in cui abbia mai messo piede. Il luogo in cui sono più evidenti la sconfitta del mio paese e la sua flemma incurabile, il suo cristianesimo di superficie ed il suo vizio di civiltà. Mi aspettavo il villaggio fantasma, popolato soltanto in certe albe da pescatori.

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Mi sbagliavo: le strade sono un mercatino vivace, sono voci che si incontrano. E poi c’è  il mare con la sua beneaugurante madonnina, con le spalle rigorosamente voltate ai bisognosi e il viso rivolto dolcemente verso chi non ha derive e già possiede approdi. So di non avere lo sguardo lucido, nel considerare le tragedie dei migranti che si consumano in quel mare, ma se fossi un candidato alle primarie del Pd comincerei la mia strada da lì, da Portopalo, e metterei nel mio pantheon la vita spezzata di Anpalagan Ganeshu, mio fratello che guardava il mondo e il mondo non somigliava a lui.

Prima di riprendere la mia strada, ho scritto le cartoline ai miei alunni. Quelli del ‘90, quelli che quel mare l’hanno costruito intrecciando sacchi neri dell’immondizia e l’hanno animato sul palcoscenico di un teatro. Grandissimo mare, frusciava e faceva vento sulle prime file e nel cuore di tutti gli spettatori.

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