Soletta, Stream of consciousness

La recensione inutile

«Ma con Ettore leggevamo libri, sai, e ridevamo, anche. Eravamo vicini. Una volta, di nascosto dagli altri, come due che fanno una pazzia, ci siamo stesi nel prato a pancia in su, era quasi notte e c’erano le stelle e in alto i rami degli alberi sembrava si volessero toccare e c’era una buona umidità che veniva su dalla terra e ci abbracciava, come se la terra avesse le dita, dita lunghe e molto fresche, e siamo stati zitti, insieme, zitti e vicini a vedere la notte che arrivava.

Quando mi sono sposata, Ettore mi ha mandato un cesto di rose, gigli, gelsomini: tutto bianco. Nessuno mi ha mai mandato dei fiori così. Mi piacerebbe averti raccontato tutte queste cose prima, aver fatto in tempo, intendo, perché eri troppo piccola. Ma ti sarebbero piaciute, è bello raccontare i propri ricordi a chi si ama, è una maniera per far vivere certe persone anche dentro le teste degli altri che alla fine arrivano a conoscerle, quelle persone, come se fossero amiche loro. E forse se avessi fatto in tempo a farti assaggiare almeno un po’ di questi ricordi ti avrei lasciato un pezzettino di più di me stessa, quella vera che per anni mi ero dimenticata  e che mi sono ricordata di essere, finalmente, quando poi sei arrivata tu.

Dicevo che certi figli forse sono fatti solo di desideri: tu sei la mia voglia di ridere e di stare zitta sotto le stelle e di essere semplice e buona e felice. Poi le cose che cambiano hanno cambiato anche me, ma ci sei tu, stellina, che sei me e sei diversa insieme, così tu, alla fine, che nessuno ti somiglia, ma la luce di quella sera l’hai presa tutta.»

 

«Resta lì, come ti piace fare, a guardare il fuoco come fosse la prima volta che lo vedi, o l’ultima. Annusa l’odore buono del legno che si sfa, segui il viaggio pazzo delle scintille che scompaiono inghiottite dalla cappa, ascolta come scricchiola quel ceppo grande al tocco delle fiamme. Guarda la faccia vecchia del nonno, guardala bene mentre la luce speciale del fuoco la illumina dal basso, ed è come se il fuoco fosse dentro di lui: contagli le rughe, segui con gli occhi il disegno del suo naso, impara bene il colore dei suoi occhi. E mandami, se puoi, qualcuno di questi momenti quando mi pensi: così anch’io avrò più chiare e vicine le cose che vorrei aver scritte dentro e che invece diventano sempre più pallide, e parlano troppo piano, le cose che ho tanta paura di perdere col tuo ricordo, col ricordo di te.»

Il libro che non ti aspetti, quello comperato quasi per caso, quello che non faceva parte della pila delle pagine da leggere. Il libro che non ti ha consigliato nessuno, di cui non hai letto neanche una riga sui giornali. Il libro che non ha cambiato la vita della sua scrittrice. Il libro che costa poco e ha una copertina semplice e infantile. Il libro con il dialogo impossibile tra una mamma morta (in corsivo) e una bimba che forse fa finta di non saperlo (senza una virgola, un punto, una maiuscola), il libro dove un’anima ormai beata confessa la noia e la freddezza della beatitudine, il libro contro tutti i conformismi  e l’ipocrisia dell’etica familiare. Il libro dell’amore smisurato verso la figlia che ti fa risorgere dalle ceneri di un matrimonio senza amore (…perché Ettore, del passo che ho citato, NON è il padre della piccola orfana…). Il libro che non vi dico nemmeno come s’intitola e chi l’ha scritto, e me lo tengo come un segreto.

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