Le storie di Scuolamagia, Tutte queste cose passare

Jesus, o Rodrigo, o Ramòn

C’ho pensato alle 11.30 che oggi è l’11 marzo. Tardi. Ho visto in tv un Re affranto vicino ad un superpremier compunto e di nero vestito. L’11 marzo 2004 ero in classe ed eravamo corsi su internet: breaking news tutte sbagliate, la conta dei morti, quel clima elettrico e confuso. Un anno dopo è andata meglio: gli stessi ragazzi, la stessa stanza, le parole giuste da leggere. Dopo lunga ricerca stringo tra le mani l’articolo ingiallito di Concita De Gregorio, 13 marzo 2004. Più che un articolo un racconto straziante. Le persone semplici e ignare che escono di casa e corrono in stazione verso quel treno destino: l’operaio, l’impiegata, la donna col pancione.

«Alle sei sotto i portici antichi di Calle Mayor sono ancora accesi i lampioni. Ana Isabel e suo marito Jesus escono dalla casa studio del medico amico che ha risposto alla telefonata all’alba: sì vieni pure Ana, ti visito subito. L’ecografia è a posto. Il bambino sta bene, è pronto per nascere è già a testa in giù. È un maschio: vogliono chiamarlo Jesus come suo padre, o Rodrigo o Ramòn. Resta a casa se non ti senti, le dice Jesus mentre la accompagna alla stazione, no sto bene, dai, vado, risponde lei: sono gli ultimi giorni di lavoro, mi riposo dopo. Ana, incinta di sette mesi, entra in stazione.»

In classe c’era il clima giusto. A leggere ci avrei pensato io – ché il testo lo conoscevo già e c’erano tutti quei nomi esotici –  ma sul tavolo avevo disposto un grande foglio bianco con alcuni pennarelli, e qualche tratto a matita già abbozzato: un treno, la sagoma di una donna incinta, un telefonino… Un telefonino?

«Juan Pablo de Villaroel fa il pompiere, è di queste parti. Era in servizio giovedì mattina. Piange. “Suonavano tutti i cellulari dei morti, sul treno. Tutte le suonerie con le canzoni di moda. Camminavo tra i corpi e pensavo a quella gente da casa, le mogli le madri i fratelli che li stavano chiamando sperandoli vivi”…»

Occhi lucidi, in classe, davvero, e un’alunna che – consapevole di detenere da sempre la palma di miglior disegnatrice – ha impugnato i pennarelli per aggiungere dettagli alla storia: i cipressi al cimitero, i binari, il bambino.

«Jesus ripete all’infinito dell’ecografia, della visita all’alba, del viaggio fino alla stazione. Ana Isabel era ancora viva quando l’hanno trovata, l’hanno portata in ospedale a Madrid, l’hanno tagliata e hanno preso il bambino. Troppo piccolo, troppo grande il trauma, troppo tardi. A Jesus, che ha 30 anni, hanno restituito due corpi. Però nella bara qui al cimitero lui li ha voluti insieme. “L’ho rimesso con lei, li ho fatti stringere insieme nelle bende com’erano quando li ho salutati ieri mattina. Una cosa sola. Una cosa grande. La mia vita.” Ana, 29 anni, e il suo bambino nella pancia. Jesus, o Rodrigo, o Ramòn.»

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