Stream of consciousness

Cliò c’est moi

Poi un giorno ho cominciato a scrivere un altro romanzo da cassetto. Era la storia di un uomo della mia età di allora (25?) che è costretto a trovarsi un lavoro per continuare e ultimare i suoi studi (lettere? filosofia? non ricordo). Si fa quindi assumere presso una cooperativa cui vengono appaltate le pulizie di un grande ospedale cittadino e proprio nel nosocomio in cui passa quotidianamente lo straccio una mattina incontra Cliò (altro vago riferimento narcisistico-autobiografico). Cliò è una ragazza di nemmeno vent’anni. Qui il romanziere senza romanzo aveva svolto un ottimo lavoro propedeutico, tutto cerebrale, se è vero che la fanciulla è come se ce l’avessi qui davanti, ora, con le sue lentiggini spruzzate sotto gli occhi. È Cliò a fare il primo passo, chiedendo con modi furtivi al protagonista… una sigaretta. Il nostro in evidente imbarazzo risponde che forse in un ospedale non è proprio il caso e… insomma… dalla bocca gli escono incontrollate e insensate parole salutiste. Cliò lo gela dicendo che il suo orizzonte è fin troppo corto per pensare a certi dettagli, gli chiede bruscamente se ha letto il nome del reparto, prima di entrarci. Insomma, la giovane è condannata a quella degenza da gravissimo e incurabile male. Cominciano quindi quotidiani incontri tra i due, più o meno clandestini. Incontri e piccole fughe verso qualche parvenza di normalità. Una corsa in un prato, prendere la pioggia, ballare, mangiare qualche schifezza. Non serve essere dei geni per capire che nascerà tra i due un sentimento unico e tragico e indissolubile. Molto ruoterà attorno al corpo di Cliò, alla sua bellezza messa a repentaglio. Si farà carico il protagonista, del corpo di Cliò. Tenterà la disperata impresa di farla sentire ancora bella, nonostante il pallore e gli effetti dello spietato avanzare del male. Cliò diventerà per Lui il Senso, il Grande Cocomero, la cosa tanto aspettata, il motivo per cui alzarsi la mattina. E fin qui il quadro psicologico è fin troppo facile. Nei pensieri della ragazza ben altre turbolenze, contraddizioni, ansie e sogni spezzati. Il finale? Da quando in qua si dicono i finali?

Ho riempito qualche foglio con la matita, ho dato il nome a un file di Word rimasto vuoto.

Poi basta. Ma Cliò c’è ancora, nella mia memoria di personaggi inventati. Molto più nitida di quella stronza di Madame Bovary. Non ho avuto la forza e la capacità di farla vivere, ma c’è. C’è il momento in cui si è lasciata baciare (anzi, l’ha proprio chiesto…), toccare, ci sono tutte le sue lacrime, il suo pigiama…

Ma tanto poi voi avreste comprato Federico Moccia…

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