Tutte queste cose passare

Il pasticciaccio brutto della metropolitana

Il pasticciaccio brutto della metropolitana, a Roma, com’è normale tocca tutti e chiama in causa la pietas di tutti. Sono disposto ad accettare che a caldo faccia insorgere pensieri rabbiosi e manichei. Nell’uomo della strada, però. Quando una giornalista del maggior telegiornale nazionale nella sua fredda (!!!!!) cronaca individua all’interno della triste storia… da un lato la «MERETRICE» e dall’altro la «RAGAZZA CON UNA FAMIGLIA SANA E UN FIDANZATO», cadono le braccia, e non solo quello…

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Res cogitans, Soletta

La faccia di chi c’insegna

«Il giorno che arrivò in città fresco dalla Sardegna, per fare l’università c’aveva già lui la faccia di chi c’insegna, aveva già la sua strana testa grossa e l’aria di uno che ha freddo fin nelle ossa. Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, che non sarebbe andato avanti molto.

Che tipo strano e riservato, che aria da sbandato. E non sempre una gobba porta fortuna e oggi si vede che non mi ero sbagliato. E poi di sardi qui ce n’è già abbastanza, dissi a quel pazzo che gli affittò la stanza. Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, che non avrebbe fatto mai molta strada.»

Quello lì (Compagno Gramsci), Claudio Lolli

E io chi ci metto nel mio pantheon? Ci metto anche lui, a 70 anni dalla morte? Noooo, siete matti? Prima bisognerebbe leggerlo sul serio (non basta averla comperata, mi dicono, l’antologia in edicola con “L’Unità”…). E dopo averlo letto bisognerebbe capirlo. Disegnato l’ho disegnato tante volte, il suo volto. I suoi occhi dietro gli occhialini e i capelli come Ficarra, di “Ficarra e Picone”, se non suona troppo blasfemo… Forse lo disegnavo perché lo faceva pure Andrea Pazienza, e mi sa che manco lui l’aveva letto…

Poi ci sono le belle frasi: il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà.

Poi ci sono le parole dolci, e quell’idea che al proletariato bisognasse guardare con “simpatia piena di amore”…

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Soletta

«Più lento, più profondo, più dolce…»

Attingo sempre con grande interesse dal blog di Ivan Scalfarotto. Mi piaccion le sue idee, quasi tutte, e mi piace la radicalità garbata con cui sa esprimerle. Non l’ho votato alle primarie, pentendomene un po’, ma voterò con molta più convinzione per il partito cui si è appena iscritto. Da qualche settimana, però, qualcosa del suo diario on line – fresco di restyling – non mi convince. Sarà colpa di quel nuovo colore? Sì, era meglio l’arancione di prima, ma non può essere solo questo… Sarà il nuovo logo? Macché, non è malvagia, la bestiola…

Poi oggi, complice il libro che sto leggendo, ho capito.

Non c’è più la citazione di Alex Langer, il ribaltamento del motto olimpico, la frase che nei prossimi decenni saremmo costretti a tatuarci addosso se vogliamo che il pianeta sopravviva. Se vogliamo che ad aprile, almeno un paio di volte, piova.

Adesso glielo scrivo…

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Res cogitans, Stream of consciousness

L’uomo più colto

L’uomo più colto che abbia mai conosciuto diceva “metabletica” con la naturalezza con cui io dico “banana”, diceva “weltanschauung” come io posso dire “patata”.

L’uomo più colto che abbia mai conosciuto mi ha insegnato che a qualsiasi età le cose che si fanno con l’anima non meritano mai di essere offese e svilite da un diminutivo. Quello dove scrivevo le mie prime cose non era pertanto un “giornalino”, semmai un “piccolo giornale”. Oggi sgrido sempre chi dice “la recita”, “il teatrino”. Le mie classi mettono in scena SPETTACOLI.

L’uomo più colto che abbia mai conosciuto una volta ha scritto il mio nome su un foglio e l’ha modellato fino ad ottenere un prisma da mettermi davanti, sul tavolo, prima che io parlassi, prima di ascoltarmi. L’ha fatto alla stessa maniera con tutte le persone sedute a quel tavolo e in un lampo eravamo tutti importanti allo stesso modo, pazienza se gli altri erano docenti universitari e giornalisti e io un sedicenne coi pantaloni corti. Oggi in classe organizzo conferenze internazionali sui climi e sulle religioni e sul ruolo della donna nel pianeta e i nomi dei cuccioli, opportunamente storpiati e in bella mostra sul banco, diventano quelli di importanti accademici stranieri.

L’uomo più colto che abbia mai conosciuto mi ha insegnato in fondo le cose più semplici.

L’uomo più colto che abbia mai conosciuto se n’è andato due anni fa, in questo giorno.

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Cineserie, Le storie di Scuolamagia, Soletta

Accudire

 

A Scuolamagia parliamo di identità. Lo facciamo con il teatro, vestendo panni che non sono i nostri, panni venuti da lontano. Stiamo preparando uno spettacolo importante, e oggi ci siamo fatti aiutare anche dal cinema, nella fattispecie da un tassello di quel coraggioso progetto corale che è ALL THE INVISIBLE CHILDREN. Bilu & João sono i protagonisti del 4° episodio, una bimba ed un bimbo sperduti nell’immensità di  San Paolo. Vivono raccattando lattine vuote e cartoni fradici, che barattano con pochi spiccioli e qualche mattone per una casa improbabile. Incredibili davvero le luci di quei 4 occhi paradossali (inverosimili?): MAI infelici, al massimo delusi, ma soltanto il tempo che serve a sbatterli. Un colpo di palpebra che cancella la frustrazione come un colpo di spugna.

Mi è ronzato e mi ronza in testa un pensiero a cavallo degli oceani e delle latitudini. Ho conosciuto lo sguardo di chi a Pechino mendicava una bottiglia d’acqua svuotata impedendomi di gettarla in un cassonetto. Ho visto enormi sacchi di rifiuti riciclabili seppellire corpi claudicanti, appesantire telai di biciclette-carretto cariche all’inverosimile. Mai però c’erano occhi di bambino, tra le fila di questa nuova professione ai margini dell’economia globalizzata. Non c’erano niños de rua, nella grande metropoli cinese. Bambini poveri sì, ma accuditi. Un’impressione mia, un ragionamento geografico sociologico fatto a spanne, probabilmente smentibilissimo. Ma capita che si possa avere un buon ricordo anche di quello che NON si è visto.   

 

 

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Soletta

Il perdono

È un tempo di buoni libri, spesso scelti in modo decisamente casuale. Il gioco dell’impiccato di Imma Turbau (anzi: imma turbau, come da copertina) l’ho appena iniziato ma già mi sento a mio agio, con la matita sottolineatrice all’opera.

 

«Per questo non ho ancora detto a nessuno, a nessuno dei miei amici, che sei morto, e che mi fa male tutto. Non so chiedere conforto. Credo che le cose belle capitino senza chiederle: accadono e basta, come le fusa di un gatto, o il perdono.»

 

Poi però capita di pensare già ai libri che verranno, che non si possiedono ancora e per i quali si nutrono grandi aspettative.

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Soletta, Stream of consciousness

GDM

Le lunghe ore con le mani sul volante. A guardare la strada. A respirare l’alba. A dare la precedenza allo scoiattolo che attraversa. A pensare sempre i pensieri di sempre. A cantare forte, ad ascoltare piano. Una canzone di Ginevra Di Marco.

 

«L’andirivieni del tempo
che lascia il proprio nome bene impresso
e poi scompare
e che lascia la vita nel mezzo
tra il tempo in cui puoi fare ogni cosa
e quello in cui c’è una sola cosa da fare…»

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Soletta

Sottolineature

Pag. 62

«…è che la cosa più brutta per me è dimenticare la voce di una persona. È orribile ricordare una persona e poi non essere in grado di attribuirle una voce. Io non lo sopporto. Non ricordo più la voce di mio padre. Non so che suono avesse. Non riesco a farmi venire in mente la particolarità della sua pronuncia, del suo accento. A volte succede che una sensazione o una situazione mi facciano venire in mente le voci di mio padre o di mio zio; mi sforzo di afferrarle, ma loro svaniscono prima che possa capacitarmene. Qualche volta sento come un brusio in testa, un’infinità di voci dal passato mi chiamano e io non so capirle, non so riconoscerle.»

 

Pag. 75

«Non potevo permettermi di abbassare le difese; là sotto, dove sono nascosta io, proprio là sotto mi si può uccidere con un filo d’erba.»

 

Elvira Mujcić, Al di là del caos

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Soletta, Stream of consciousness

A matita

Da un po’ di tempo a questa parte in tutto quello che sto leggendo non può mancare – oltre al segnalibro, sempre lo stesso – una matita. La uso per sottolineare le righe che mi hanno colpito, per cerchiare parole particolarmente evocative, per annotare qualche brevissimo pensiero, per tracciare qualche rapido schizzo. Così, da qualche mese, semplicemente perché prima non c’avevo mai pensato, e perché una cosa non puoi saperla finché non te la insegnano.

Stamattina, nell’orabuca, ho iniziato a leggere il libro di Elvira Mujcić, giovanissima bosniaca (classe 1980) rifugiata in Italia. Si chiama Al di là del caos e parla della guerra, dell’inferno di Srebreniza. Ma non lo fa come pensavo io. Lo fa scavando in quello che rimane dopo, e soprattutto in quello che rimane dentro. Lo fa raccontando perché poi non ci si affeziona più alle persone, perché non si è più gli stessi, perché si pensa di non poter essere capiti. Ecco, ho cominciato a sottolineare. Una riga e poi un’altra. Poi ancora e poi ancora e sono rimaste poche quelle senza traccia di grafite. Tracciavo segni su parole che mi stavano segnando.

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Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

(s)

(s) gli ha detto così non si può andare avanti, e dopo la lettera “i” – di “avanti” – s’era già pentita.

E adesso come faccio? – pensa (s).

Aiuto, e adesso (s) come fa? Oddio, l’ha chiesto a me!

Buffo e dolce, quel rimbalzare di (s) tra un “cosa faresti TU” e un antico “LEI cosa ne pensa”. Entrambi per me.

 

Com’è cresciuta (s), e com’è diventato grande anche il suo dolore…

(s), che s’è impigliata nell’amore.

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Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Soletta

Naudo

Niki ed io, nel corso della consueta session del venerdì pomeriggio in biblioteca, prima e dopo aver interpretato Una poesia anche per te di Elisa (e io cantavo, cantavo, cantavo e quel meraviglioso compagno di plettro mi sopportava, mi sopportava, mi sopportava…), abbiamo scoperto che Naudo esiste e ora non siamo più gli stessi. O meglio, siamo tristi perché siamo ancora gli stessi e non siamo – né io né lui – …Naudo.

1, 2, 3, 4, 5

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Le storie di Scuolamagia

Quel tema

«Appena arrivi a Mirvana diresti che è una città come tutte le altre: le case ordinate in quartieri, le strade pulite, i giardini in fiore e i bambini che giocano nei parchi. Tutto è normale fino a quando un quartiere comincia a spostarsi e poi un altro e un altro ancora, e a volte quando un quartiere spostandosi cade su un altro, quest’ultimo comincia  a scendere sotto terra lasciando posto al nuovo rione. Insomma, Mirvana è una città a scacchiera e i suoi abitanti sono talmente abituati al movimento che dicono che per loro è come abitare in una roulotte. Mi hanno spiegato che quando un quartiere viene mangiato scende sotto terra e deve stare là sotto fino a che non comincia una nuova partita.»

 

Noemì

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Cineserie, Soletta

RINASCIMENTO MADE IN CHINA

Spiazzano sempre, le storie dal secolo cinese. Quelle che racconta Piumetta. Quelle di cui scrive l’inviato del “Corriere” Fabio Cavalera nel suo Il manager dei bagni pubblici. Un libro che ripercorre l’esistenza di alcuni personaggi esemplari di quel paese: il monaco, l’imprenditore, l’artista, la studentessa, l’ambientalista (???), il pulitore dei cessi più grandi del pianeta… appunto. Quello che mi ha colpito di più è stato il filosofo, perché ha saputo tirare le somme per tutti gli altri. Ognuna di quelle vite è stata segnata dalle Rivoluzioni della Storia, ognuna di quelle vite porta sulla pelle i segni di quelle Rivoluzioni. Passaggi brutali e sconvolgenti. Dal carcere duro all’attico accessoriato (ma anche da un’esistenza pacifica e  serena al carcere…). Dalla miseria più nera alla Ferrari più rossa. Dal nido scavato nella terra inospitale per sopravvivere al Nido dello stadio olimpico che sembra preso da una Città Invisibile di Calvino. Verrà un giorno, dice il filosofo, che i cinesi “si stancheranno di adorare la liturgia della Rivoluzione” e “scopriranno la bellezza e l’incanto di altre parole”. Lo propone ai suoi fratelli e senza il timore di essere deriso: lo facciamo noi un nuovo RINASCIMENTO?  

 

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Res cogitans, Tutte queste cose passare

La passione di Matteo

Due orsacchiotti, la foto di un aereo da guerra, il quadro con Gesù, il poster di Del Piero. È l’immagine che appare sopra la cronaca da Torino di Maurizio Crosetti, su “Repubblica”. Le righe raccontano il suicidio di un sedicenne che dormiva in una camera che avrebbe potuto essere la mia nemmeno troppi anni fa (…i peluche, la Madonna, l’aereo no, Roberto Baggio…). “Sei come Jonathan del Grande Fratello” – gli dicevano a scuola, e chissà di cos’altro si è alimentata la sua passione quotidiana prima di quel gesto.

Scrivo  Jonathan Delgrandefratello (ormai è diventato quasi un  cognome…) su Google è scopro un ebreo laico che parla dello stato di Israele, delle sue origini iraniane, di libertà di pensiero e di libere scelte, glissando con eleganza sulla sua vita sessuale… Ho pensato a cosa possa passare per la testa oggi, a Jonathandelgrandefratello. Spero non sia un senso di colpa, o il rimpianto per non aver detto di no all’idea di diventare, grazie alla Tv, un personaggio pubblico, ammirato e esecrato.

Forse mi spingo troppo in là, sicuramente la sparo grossa, ma in un giovane cattolico di origini filippine l’idea che somigliare a quel Jonathan sia motivo di vergogna e di insopportabile dolore è un’idea su cui ha soffiato e continua a soffiare ogni giorno la Chiesa.

Con le sue parole orribili, con la sua omofobia, senza mai fare i conti col senso di colpa.

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Res cogitans

…che second life di merda!

Si dice che uno ci vada perché è scontento della sua vita, o per rifarsene una da partendo da zero. Io non vi dico perché ci sono andato, ma vi assicuro che il mio Avatar (che si chiama Clio, è completamente nudo e corrisponde al modello “ragazzo della porta accanto”) dopo 10 minuti (i primi e gli ultimi?) a spasso per le isole di Second Life faceva già la figura dello sfigato e non sapeva nemmeno lì stare al mondo, neanche a quel mondo…

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Cineserie

L’assedio

Cina, demolita la casa assediata dal cantiere

Era bella, la storia della ragazza sull’albero. Due anni di lotta e di resistenza tra i rami di una sequoia secolare, sessanta metri dal suolo, due mani dal cielo. Bello pensare ad un abbraccio di rami nelle sere di vento, bello pensare alla vittoria della civile protesta e alla vita risparmiata, anche se era solo la vita di un albero. Non ce l’hanno fatta, invece, i due cinesi abbarbicati alla loro casa nel posto sbagliato. L’immagine parla fin troppo chiaramente. E la lotta era impari, e una casa sgangherata non ha certo la solidità (anche morale) di una sequoia secolare. Peccato, ma un altro buco da qualche parte lo troveranno, e Chongqing non sarà poi tanto più brutta a causa di quell’ennesimo nuovo centro commerciale. Bello è anche pensare, però, che ci sono ancora quelli che resistono, che si aggrappano ai fili più sottili, e magari hanno pensato, davanti agli ultimi ravioli prima della demolizione, che la loro casa assediata dalle ruspe alla fine sembrava quasi un castello magicamente arroccato.

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Le storie di Scuolamagia

Gli è tutto giusto, tutto da rifare

Alle 13.10, prima della pausa pranzo, c’è stata l’ultima “riunione” sotto il cielo coperto e minaccioso, davanti alla scuola. Che si fa? Andiamo lo stesso? Ve la sentite?

Gruppo 

Alle 14.00, visto e considerato che se la sentivano, siamo saliti in sella alle bici e siamo partiti. Esiste un vasto corollario d’iniziative legate all’ormai imminente passaggio del Giro d’Italia nel paese di Scuolamagia e nelle località montane limitrofe.

Panorama

Una di queste chiedeva ai ragazzi di raccontare il loro ambiente dal punto di vista del manico di una bicicletta. L’abbiamo presa alla lettera e siamo partiti. Nonostante quel cielo grigio, nonostante la neve ancora presente sul ciglio delle strade.

Un giro breve ma impegnativo, con salite vere e curve pericolose, intervallato da piccole soste in cui improvvisare simpatici set fotografici.

piscian

Nella piccola frazione abbarbicata, Giorgio ha bussato alla porta dell’anziana zia, custode di un vero cimelio: la foto autografata di Gino Bartali, correva l’anno 1950.

BartaliUn bicchiere d’aranciata, pochi minuti vicino al fuoco, poi di nuovo la strada, la discesa. Tutto questo è stato Scuola, come non mai, ed è stato Vita. E benedetta sia la pioggia sospesa  che soltanto all’ultimo chilometro è scesa per bagnarci i capelli.

Per ricordarmi l’effetto che fa, una pioggia sottile tra i capelli, che bagna le lenti degli occhiali, che ti porta via.

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