Le storie di Scuolamagia

Relativismo

La scena è il microcosmo di un corridoio di corriera, guardato con gli occhi di una classe e del suo professore mentre stanno raggiungendo la partenza del Giro d’Italia per ricevere un piccolo ma ambito riconoscimento. Tante le facce, tantissimi gli sbadigli, e tra i passeggeri c’è chi ripassa e chi già sfoglia “Il Sole 24h”. Gli sguardi dei miei 4 cuccioli – nuovi di quel mondo, di quell’alba umana – sono puntati invece sulla ragazza con qualche annetto in più (ma senza esagerare: 2 o 3 al massimo) seduta alla loro sinistra. Forse notano per prima cosa l’anello (anello?) lungo 5 cm, che copre interamente l’indice della mano destra, quasi un’armatura, oscurando il luccichio di almeno altri 10 monili. È evidente che si fissano sulle catene che scorrono sulle vesti nere (ma tutto in realtà, di quel corpo, è nero) e chissà da dove partono. Contano i bulloni, le spillone da balia, vedono il pesante lucchetto (sicuramente non un lucchetto dell’amore…). Stigmatizzano, scambiandosi fugaci segni, l’eccesso di ferraglia, l’oscenità del ventre che emerge sopra la bassissima vita dei pantaloni, il trucco pesantissimo e maldestro, le unghie (nere) lunghe  e piegate come artigli di rapace.

Io no. Io guardo dall’altra parte. Dirigo altrove il mio stupore. Guardo la giovane donna che gentile mi ha invitato a sedermi al suo fianco, forse intuendo che non volevo stare troppo lontano dalle persone che avevo il compito di accompagnare e accudire. Guardo una donna normale, quasi una coetanea, normalmente vestita, con un bel viso sereno e gli occhi persi nei prati e nei campi che affiancano l’autostrada, oltre il finestrino. Le sue mani, guardo, soprattutto, mani sottili che discrete compiono un movimento aggraziato quanto inaspettato, risalendo ritmicamente i grani di un rosario, di cui pende, tra le pieghe della maglia di lana, la piccola croce di ambra o di giada.    

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Soletta

La bella voce

«Then came question and it was about time

The answer came back and it was long

The house it was built by some man in a rhyme

But whatever came of his talented son…»

Emiliana Torrini…

 

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Soletta

La bella scrittura

«Correre. Correre per far passare il tempo che mancava prima di morire, quaranta, cinquant’anni, e rimbalzare ancora agli incroci, saltare tombini. Uscire per sempre da Cantiere, addio Cantiere, addio schifo di padre e di madre. Ma la sua traiettoria era ugualmente obbligata, un moscone nel boccale, e non si usciva dalle strade di sempre. La chiesa del Buon Cammino, la piazza con i ragazzi dispersi tra le aiuole a far battaglia di zolle. Certi viali dritti e nuovi allineati tra file di palazzine appena finite, con le esse bianche alle finestre e gli alberelli spelacchiati nei giardini, sorretti ognuno da tre pali inclinati. Infine, ed era proprio la fine, il campetto di calcio, circondato da una distesa di canne già tutte secche, e il ciglio della pedecollinare là in alto, dove abitavano i ragazzini che aveva strapazzato a centrocampo e il aveva derubati di gatti e motorini ma non era servito a nulla. Il versante della collina, vergine, brullo, fine apparente di ogni forma di civiltà, e poi il cielo bianco, abbagliante, sagomato dai crinali e sforacchiato di fumacchi».

Sandro Veronesi, Brucia Troia

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Soletta

Quello che bisogna fare

È stata chiarissima, Paola Cortellesi – Maria Montessori, nella fiction-santino (ma era inevitabile…) andata in onda ieri sera.

“Quei bambini non hanno bisogno di essere CURATI, devono essere EDUCATI”.

Un assunto che fa il paio con quanto affermava la mamma Valeria Golino ne La guerra di Mario, questa volta sul grande schermo.

“I bambini non bisogna sempre e soltanto EDUCARLI, bisogna ACCOGLIERLI”.

I tradizionalisti storceranno il naso, io non ci vedo altro che la linea di un incoraggiante PROGRESSO.

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Imago, Tutte queste cose passare

57

Malta, scompare barcone di immigrati

Il rischio retorica è alto, per non parlare di quello moralismo.

Però volevo provare a scomporlo, quel numero, per vedere se fa un altro effetto.

Lo fa. Vorrei che non lo facesse.

La foto era su qualche prima pagina, taglio basso, probabilmente sgomitando.

La notizia si perderà presto, in un mare di indifferenza che è peggio del mare che ti inghiotte con le onde.

Sono 57.

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Le storie di Scuolamagia

“Così la vita vola sotto le ali…”

Vittorio Zucconi, Wikipedia, Guccini, Fossati. Ho fatto il punto su Charles Lindbergh, l’aquila, a ottant’anni dalla sua traversata di Colombo alla rovescia. Difficile non è partire contro il vento, ma casomai… senza un saluto. C’era anche quel film, Papà ho trovato un amico, in cui la bimba protagonista ricordava la sorte del “Piccolo Lindbergh”, l’aquilotto, strappato dalla culla e dalle braccia del famoso papà all’età di 20 mesi e poi barbaramente assassinato.

Ho provato a parlare con l’alunno Ruff., oggi. È matto per gli aerei, ne sta addirittura costruendo uno di legno nelle ore di ed. tecnica. Si avvicinano gli esami, soprattutto la prova orale, e volevo farlo virare verso la storia del celebre aviatore, decisamente più poetica e originale del percorso dell’Enola Gay sulle sue tragiche rotte nipponiche. Io faccio la faccia seria (e lo è davvero) e chiamo TESI quelle che altrove, quando esistono, si chiamano “ricerchine”, quando va bene “approfondimenti”. Niente, peccato, sarà per la prossima volta. Ruff. mi parla di bombe e di inneschi, ormai ha scelto il Pacifico e non lo riprendo più. L’importante è che si diverta. Corrado invece farà un percorso a zig zag tra le mie materie e l’educazione fisica: Diego Armando Maradona tra i desaparecidos e i tracolli economici argentini (senza usare la parola BOND), tra le isole Falkland (in English, of course…) e le canzoni degli emigranti italiani lungo il Rio De la Plata. Giorgio guarderà dentro gli occhi di Muhammad Alì, andrà a caccia della sua rabbia e di quella degli afroamericani, tra un concetto di Malcom X e una ballata di Bob Dylan. Per Noemì si tratterà di viaggiare dentro le Città invisibili di Calvino, ma anche in quelle visibilissime del mondo contemporaneo (da Ellis Island fino a Korogocho, e poi di corsa fino al Pudong…). Si dovrà chiedere dove stanno andando, quei luoghi, verso quale futuro ci stanno portando. E com’era la città in quadro futurista?

Insomma, sono giorni di lavoro piuttosto frenetico. Come una lunga traversata. E io la voglio fare tutta questa strada, fino al punto esatto in cui si spegne.

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Res cogitans

La vanità vana del nulla

Il giornalismo di Barbara Palombelli è quanto di più stomachevole esista nell’etere. Oggi salgo in macchina e mi sintonizzo su Radio 2. Il tema della puntata odierna di “28 minuti” era “TENDENZE”. Due ospiti a disquisire con la Sig.ra Rutelli di come sarà l’estate del 2007. Una giornalista di costume e un ex politico (invitato a parlare in quanto “conoscitore di come va il mondo”) dai quali ho imparato – mentre guidavo bestemmiavo e invocavo Lenin – le seguenti cose:

    che in Croazia noi Vip troveremo la meritata tranquillità al riparo dai paparazzi e, senza sbandierarlo ai quattro venti, potremo fruire di chirurghi plastici bravissimi ed economici;

        che andare a Siena sarà chic, a Venezia assolutamente no;

  che a Capalbio si trovano sempre tanti amici però poi non lamentiamoci se ci circonderanno folle di curiosi;

     che i pantaloni dovranno essere rigorosamente bianchi e la maglietta semplice, ma rigorosamente di una marca che non ricordo (eventualmente cercate il podcast della puntata…);

    che la Piazzetta di Capri è affollata ma almeno una volta bisogna andarci, meglio pernottare in barca da qualche amico, però;

        che è molto chic anche convocare un consiglio d’amministrazione il 15 agosto.

 

Queste sono le “TENDENZE” e c’è da fidarsi, lo dice il servizio pubblico.

Molti anni fa, nel 1931, la rivista letteraria “Solaria” somministrò ad alcuni grandi nomi della cultura una specie di sondaggio intitolato, appunto, “TENDENZE”. Riporto di seguito parte della risposta che diede Carlo Emilio Gadda. Chissà come l’avrebbe ribattezzata, il Gadda, la Sig.ra Palombelli. Merdalista?

 

«Tendo a una brutale deformazione dei temi che il destino s’è creduto di proponermi come formate cose ed obbietti: come paragrafi immoti della sapiente sua legge. Umiliato dal destino, sacrificato alla inutilità, nella bestialità corrotto, e però atterrito dalla vanità vana del nulla io vorrò dipartirmi un giorno dalle sfiancate séggiole dove m’ha collocato la sapienza e la virtù de’ sapienti e de’ virtuosi, e, andando verso l’orrida solitudine mia, levarò in lode di quelli quel canto, a che il mandolino dell’anima, ben grattato, potrà dare bellezza nel ghigno. La virtù, senza il becco d’un quattrino, è pur veneranda cosa: e questo si arà da sentire nelle mie note…».

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Imago, Le storie di Scuolamagia, Soletta

Joga Bonito

Nella piazzetta milanese aspettavo annoiato il mio turno davanti al cenacolo vinciano. C’erano anziani a passeggio, c’erano i fratelli africani con le valigette colme di braccialettini colorati. I turisti giapponesi consultavano le loro cartine, il bimbo cinese si spalmava sul viso il gelato al cioccolato. Un piccolo luogo brulicante di vita, tra una strada una chiesa e due vecchi palazzoni imbrattati di spray. Poi sono arrivati loro due con la loro borsetta di plastica. Bimbi2Hanno estratto il pallone dei Mondiali di Germania e si sono dimenticati della strada della chiesa della piazza e dei palazzi. Hanno dimenticato gli africani e i giapponesi, l’Audi e le Punto, i vecchietti e il tipo colla macchina fotografica. Non hanno sentito le risate, le imprecazioni, le maledizioni, gli applausi, le riflessioni sui bambini senza regole. Non sentivano nemmeno i rimbalzi del pallone, perché ho la netta sensazione che stessero Bimbi4pensando ad un soffice prato.  Travolgenti in senso letterale.

Passa una notte e incontro un libro bellissimo. Un volume fotografico patinatissimo e costosissimo cui non ho saputo resistere. Una raccolta di scatti d’autore il cui scopo è raccontare il mondo attraverso il gioco del calcio, descrivere la diversità, il trionfo del relativismo dentro LE STESSE emozioni giocose. Campetti di Bosnia, strade lastricate di Parigi, spiagge birmane, orfanotrofi e pozzanghere, campi profughi e campi sintetici metropolitani. Carcerati e bambini di strada, maschietti messicani e femminucce di Shanghai. Il più bel libro di geografia che potessi acquistare, e la voglia di usarlo presto a Scuolamagia.

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Soletta

Storia di te

«E ogni tanto anche tu mi cogli ancora alla sprovvista. Me la cavo a meraviglia, o almeno così mi pare, quando a un tratto interviene qualcosa a cambiare tutto – una cosa da niente, magari, le parole dolci e indistinte di una canzone, lo scorcio di un colore improbabile, la nitida spigolosità di una mela sbucciata, al nuca di un estraneo, il modo che ha il cielo di ripiegarsi su se stesso in un pomeriggio gelido – e vengo subito risucchiata in un altro tempo, nella sensazione delle tue braccia che mi stringono, delle tue mani e del tuo viso vicino al mio, e per un attimo rimango immobile, paralizzata, incapace di andare avanti o indietro.

Tanti sorrisi, pulcino.

Quanto vorrei riuscire a piangere in quei momenti, ma la maggior parte delle volte non ci riesco. La maggior parte delle volte devo aspettare che passi. Deve sempre passare, passa sempre».

 

La solita recensione improbabile, volutamente lacunosa e fine a se stessa.

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Le storie di Scuolamagia

Che c’è di strano siamo stati tutti là

Il titolare della Pozzanghera per la prima volta nella sua vita domani potrà chiedere a quella città che lo porti via, potrà dirle che fa tanto freddo schifo e che non ne può proprio più. Potrà chiederle di fare un affare: un po’ di soldi e un po’ di celebrità in cambio di una seicento, dei suoi vent’anni, di una ragazza che tu sai. Ma sarà solo uno scherzo, ché di quelle luci non ne accenderanno più.

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Tutte queste cose passare

Colonne sonore

Cari amici di Anpalagan Ganeshu, ancora una volta dobbiamo stringerci attorno al Nostro, e consolarlo, incoraggiarlo, fare quello che l’amicizia prescrive e rende quasi scontato. Dobbiamo sforzarci di dare un po’ di luce a una vicenda (processuale, nella fattispecie) che luci non ne ha mai ottenute e mai le otterrà. Mi avete scritto in 2, oggi, nostalgici e attenti lettori, per avvisarmi della brutta notizia. È la solita storia, non si possono portare tutti i pesi e non si può salvare da soli il mondo intero. Bisogna continuare in quello che era giusto, però. E non sopportare l’insopportabile.

«Ci fu un momento in cui il mare smise d’essere la colonna sonora dei sogni di Anpalagan», dice la sottolineatura – non mia – sulla mia copia del libro che meglio racconta la tragedia di Portopalo. Sarebbe bello che, come in un rito laico di quelli che piacciono a Michele Serra, i sogni di Anpalagan diventassero un po’ la colonna sonora della nostra vita. Soprattutto i sogni di giustizia.

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Le storie di Scuolamagia

Chiara e senza vento è questa notte e dolce

Come ogni anno ho ritagliato le 9 parole con cura e le ho messe in una piccola busta. Ho ripetuto l’operazione 4 volte, il numero degli alunni.

Dolce.

E.

Chiara.

È.

La.

Notte.

E.

Senza.

Vento.   

Sarà compito loro, domani mattina, tentare di ricostruire una frase (poi scopriranno che si tratta di un verso) di senso compiuto.

Sarà compito mio – bello e difficile, mamma mia! – dimostrare loro che quello scelto dal Poeta è il modo migliore, quello con una marcia in più.

Nel corso di quest’ultimo mese leggeremo quindi poesie. Tra una gita e una prova di teatro. Tra un argomento d’esame e un colpo di tacco a ricreazione.

Nel gennaio 2001 ero un “novizio” di questo mestiere, ma non ero il solo. Il collega di religione era entrato in classe per la prima volta bestemmiando contro la neve lungo la strada e quei marchingegni che non aveva saputo applicare alla sua auto, meritandosi da quel giorno e per sempre il soprannome assurdo e plurale di “Catene”. Ricordo ancora quando ho chiesto all’alunna – che ormai si è fatta donna, guida la macchina ed è il mio Grande Cocomero – quale sarebbe stato il mio soprannome prendendo spunto dalla mia prima lezione, dai miei primi passi tra la cattedra e i banchi, dalle mie prime parole di prof.

Lei, che poi un soprannome non me l’aveva fatto mancare ed era “SEGA” in lingua carnica, s’era presa qualche secondo prima di regalarmi tutto l’oro di questa risposta:

“Poesia”.

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Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Io come lui

Samu

Io vorrei essere quello piccolo.

Che messo lì sembra il capitano ma ovviamente non è.

Che è sempre colpa sua, ma con lui nessuno si arrabbia mai per davvero.

Che piange e ride per un niente.

Che quando piange parla parole troncate, si mangia l’ultima vocale.

“…è colp su, di quell stronz, gli spacc il mus”.

Che, come dice il collega, “non è un bambino, è un capriolo”.

Che conosce almeno 100 modi di stare su una sedia, tutti sbagliati.

Che vive in un avvincente presente, e il suo futuro finisce dove finisce il ciuffo spettinato.

Che si offende quando gli dico che i Pooh fanno schifo.

Che è dolce e violento.

Che…

«…avere un cuore semplice aiuta. Abbassare il volume, ritrovare lo sguardo nuovo di chi vede, da bambino, le cose per la prima volta, e conservarlo. Curvare, se non si può andare dritto, farsi invisibile se serve. Fare più silenzio, a volte. Parlare con i fatti, con i gesti.»

(CdG, “la Repubblica delle Donne”)

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Soletta

Un po’ daria

«Se rinasco sto dall’altra parte», mi dice la poliziotta di Napoli sfinita dalla lotta quotidiana ai delinquenti.
Ci conosciamo poco ma ogni tanto ci scriviamo sms molto sinceri, come le cose che si dicono solo agli sconosciuti in treno. Infatti è in treno che ci siamo incontrate. Leggevamo tutte e due Gomorra di Roberto Saviano e Vanity Fair. Sono cose che uniscono. «Chi vorreste essere se rinasceste?», chiedo in giro. Risposte sparse: «Un pittore, una rockstar, un falegname, un pianista, un fossile, un astronauta, una tigre». L’eterna ragazza vorrebbe «un metabolismo veloce, sapermi vestire e pensare positivo». Insisto che voglio un nome, un ruolo. «Jessica Rabbit», decide la scemottera: «o almeno Emmanuelle Béart, ma senza rifarmi le labbra».

«Io non voglio rinascere», è la risposta dei più depressi. «Alessandro Baricco» quella del lettore di Repubblica. Quello della Gazzetta invece «Valentino Rossi o Kakà». «Orson Welles», dice l’amico cool; «me stessa», la cassiera incinta. Umile o presuntuosa?

Un avvocato mi dice che vorrebbe rinascere «una farfallina grigia rimasta intrappolata in camera di consiglio mentre i giudici decidono, per sapere se tengono conto di quello che diciamo». Ma se eri farfallina, che avevi detto?

«Una grande cantante, che prova e comunica grandi emozioni, come Mina o la Callas», risponde sognante la prof di lettere.

«Hillary Clinton senza le corna». «Stefan Edberg» (che scopro essere un leggendario tennista svedese). «Il santo indiano SriRamana Maharshi», risponde qualcun altro.

Fin troppo prevedibile, ma politici italiani, nessuno. «Nemmeno se sono ricchissimi, o belli, o di talento?». Risate sgangherate. «Berlusconi troppo faticoso, con tutte quelle ville, televisioni, bagatelle, sorrisi, capelli. Ora è anche diventato buono. ’Na fatica immane. Prodi ha di bello solo che va in bicicletta. Fini che fa immersioni. Casini che ha tre figlie. Bersani che canta. Bindi che apprezza il vino. Tutte cose belle, ma esser loro non mi attira: le sedute in Parlamento, le riunioni di partito». Da schiantarsi dalla noia, è il consuntivo della cronista.

«E tu?».

Io, se proprio dovessi rinascere vorrei essere un gatto: correre nell’erba, dormire al sole, mangiare lucertole, graffiare divani. E nessuna responsabilità, se non quella di sopravvivere, che non è poco. Deciso: o un gatto o la mamma di otto figli, nati con l’epidurale. Ecco.

Ieri era il primo maggio, la festa del lavoro. Mica potevo lavorare. Allora ho scritto questo.

Carino, ‘sto post della Bignardi.

E io, se rinascessi? Beh, anche Stefan Edberg andrebbe benissimo… Però così… su due piedi… il mio cervello è lento e ha una cilindrata piuttosto bassa. Quindi, prendo tempo e ve lo dico presto. Ma non adesso.

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Res cogitans, Soletta

Il peso

«…la lezione di qualche tempo fa, quando più volte mi è mancato il respiro, non mi ha ancora guarito dalla mia malattia principale, quella di voler salvare il mondo e non saper dire di no…»

 

Alex Langer

 

A trenta pagine dalla fine la matita sottolineatrice appare inquieta. Il libro non fa nulla per sembrare un romanzo, è anzi a tutti gli effetti un saggio freddo e circostanziato. Mi rendo conto che l’ansia (romanzesca) che sento è tutta mia, come sono mie le somme tratte (ideale frustrato + ideale frustrato + utopia sfuggita di mano + …) in direzione di quel tragico gesto, di quella corda tirata al cielo, di quell’albero di albicocco. Prendere sulle spalle il peso di tutti, pensare pensieri perfetti (il dibattito politico internazionale mi sembra regredito di 150 anni…), tentare sempre la strada più difficile e meno conveniente, ma perdere alla fine se stessi e ogni speranza.

E io? Chi sto salvando? Sto salvando qualcuno? È sufficiente convincere la ragazzina a vincere la propria timidezza e venire in gita? Può essere abbastanza pensare delle lezioni in cui i miei alunni ridano di gusto? Bastano le parole che scrivo, le parole che dico, le parole che invento?

E io, chi sto salvando? 

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