Soletta

La bella scrittura

«Correre. Correre per far passare il tempo che mancava prima di morire, quaranta, cinquant’anni, e rimbalzare ancora agli incroci, saltare tombini. Uscire per sempre da Cantiere, addio Cantiere, addio schifo di padre e di madre. Ma la sua traiettoria era ugualmente obbligata, un moscone nel boccale, e non si usciva dalle strade di sempre. La chiesa del Buon Cammino, la piazza con i ragazzi dispersi tra le aiuole a far battaglia di zolle. Certi viali dritti e nuovi allineati tra file di palazzine appena finite, con le esse bianche alle finestre e gli alberelli spelacchiati nei giardini, sorretti ognuno da tre pali inclinati. Infine, ed era proprio la fine, il campetto di calcio, circondato da una distesa di canne già tutte secche, e il ciglio della pedecollinare là in alto, dove abitavano i ragazzini che aveva strapazzato a centrocampo e il aveva derubati di gatti e motorini ma non era servito a nulla. Il versante della collina, vergine, brullo, fine apparente di ogni forma di civiltà, e poi il cielo bianco, abbagliante, sagomato dai crinali e sforacchiato di fumacchi».

Sandro Veronesi, Brucia Troia

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