Nella piazzetta milanese aspettavo annoiato il mio turno davanti al cenacolo vinciano. C’erano anziani a passeggio, c’erano i fratelli africani con le valigette colme di braccialettini colorati. I turisti giapponesi consultavano le loro cartine, il bimbo cinese si spalmava sul viso il gelato al cioccolato. Un piccolo luogo brulicante di vita, tra una strada una chiesa e due vecchi palazzoni imbrattati di spray. Poi sono arrivati loro due con la loro borsetta di plastica. Hanno estratto il pallone dei Mondiali di Germania e si sono dimenticati della strada della chiesa della piazza e dei palazzi. Hanno dimenticato gli africani e i giapponesi, l’Audi e le Punto, i vecchietti e il tipo colla macchina fotografica. Non hanno sentito le risate, le imprecazioni, le maledizioni, gli applausi, le riflessioni sui bambini senza regole. Non sentivano nemmeno i rimbalzi del pallone, perché ho la netta sensazione che stessero pensando ad un soffice prato. Travolgenti in senso letterale.
Passa una notte e incontro un libro bellissimo. Un volume fotografico patinatissimo e costosissimo cui non ho saputo resistere. Una raccolta di scatti d’autore il cui scopo è raccontare il mondo attraverso il gioco del calcio, descrivere la diversità, il trionfo del relativismo dentro LE STESSE emozioni giocose. Campetti di Bosnia, strade lastricate di Parigi, spiagge birmane, orfanotrofi e pozzanghere, campi profughi e campi sintetici metropolitani. Carcerati e bambini di strada, maschietti messicani e femminucce di Shanghai. Il più bel libro di geografia che potessi acquistare, e la voglia di usarlo presto a Scuolamagia.