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L’imputato amputato

pistorius

Da tempo vado ripetendo che l’epica si trova più spesso nelle pagine sportive dei quotidiani che nei versi di Omero. Meglio: che tra un’epica che parla una lingua distante e incomprensibile e un fatto concreto che muove gli animi dei cuccioli a compassione, ammirazione, sdegno preferisco di gran lunga il secondo. Con buona pace del pelide Achille.

Oggi in classe abbiamo guardato su YouTube la corsa di Oscar Pistorius. Prima in silenzio, poi con il commento tecnico. I quattro c’hanno pensato su. C’hanno pensato forte. Poi Nicky, lo sportivo, ha detto NO, non vale, troppa grazia, troppa spinta, quelle non sono gambe sono molle. Agata s’è visto che stava pensando al fatto che escludere qualcuno è sempre brutto. Yuri è sbottato, puntando le armi del suo sguardo al cuore del problema: “e il SOGNO… come la mettiamo col sogno?”. Già, il sogno. Poi qualcuno ha ipotizzato lo strazio del primo giorno alle elementari di un bambino senza gambe, con la prospettiva che nemmeno il secondo fosse granché. L’altro Nicola ha detto il suo SÌ consapevole dell’intrico laocoontico della faccenda. Il suo omonimo in minoranza è tornato all’attacco parlando dei limiti anche fisici che ognuno di noi deve imparare ad accettare con sportività e senza ire funeste. Le lezioni più belle sono quelle in cui le domande di partenza, dopo sperpero gratuito e collettivo di parole, rimangono irrisolte.

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