Soletta

Questa era la sua dedica

Ho già parlato qui della mia passione per le dediche, per le paroline magiche – quasi sempre – nella pagina dopo il frontespizio di un libro, o comunque da quelle parti. Un regalo dell’autore, molto spesso criptico, a qualcuno per lui speciale. Come a dire: tutto questo è per Te, tutto questo è pensando a Te, tutto questo non ci sarebbe stato senza di Te.

Nei primi giorni di questo 2008 ho letto un libro e la sua dedica. Posta nell’ultima pagina, strano. Per capirla bisogna conoscere un paio di accadimenti nella vita dell’autore. Non spetta a me riassumerli qui, e poi l’ho già detto: le dediche sono criptiche, chi vuole intendere intenda.

Il primo pensiero, richiuso il raffinato libricino di Sellerio, è stato: le troverò quest’anno parole più belle di queste?

 

                             

Mettiamo che siate maschi (mi auguro di no, ma devo immaginarlo per fare il mio esempio) e vi sia venuta voglia di provare a fare la calza: una donna vi avrà montato i punti sul ferro, e vi avrà insegnato ad andare avanti e indietro, un diritto e un rovescio. (Calare e crescere no, a questo virtuosismo non sarete arrivati). Mettiamo che abbiate avuto tenacia sufficiente a lavorare una lunga striscia di lana, dalle maglie qua troppo strette e là troppo larghe, e che siate già fieri, se non della qualità, della quantità del vostro prodotto, e improvvisamente i punti vi cadano giù dal ferro, e l’intero lavoro vi si disfi tra le mani. Questa era la mia dedica.

 

 Adriano Sofri, Chi è il mio prossimo

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