Fiori di Biblioteca, Imago, Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

La Marilyn di Noemì

Quando Noemi è entrata a Scuolamagia, io non l’ho soltanto accettata, con i suoi pregi e i suoi difetti; io l’ho pure acceNtata. Nei panni di Noemì ha trascorso 3 intensi anni della sua vita prima di andarsene, con decisione unilaterale che non non ho mai digerito del tutto, a compiere studi liceali.

Qualche settimana fa, in biblioteca, stava cercando su Google immagini di Marilyn Monroe. Le servivano per uno dei suoi disegni, e alla fine la decisione è stata collettiva: sua, mia, degli altri ospiti della biblioteca. Quella lì, con la collana di perle. Poi abbiamo cliccato su “stampa” e ci siamo detti bye bye baby.

Nei venerdì successivi ogni volta che l’ho incontrata le ho chiesto notizie della sua Norma Jeane Baker, manco fosse un paziente in sala operatoria. «Devo finirla», rispondeva. Oppure: «ci siamo quasi…». Confesso che dopo l’ultimo bollettino, piuttosto sul vago, ho deciso che non avrei insistito oltre. Nella vita ho cominciato mille disegni che non sono riuscito a terminare, ho iniziato racconti che si sono persi dopo un paio di facciate, ho pieni i cassetti di prime strofe di canzoni prive di ritornello. Mi sono sentito inopportuno e indiscreto. La Marilyn Monroe di Noemì aveva tutto il diritto di giacere appallottolata nel cestino della carta, sotto la scrivania.

Parole in questo post ce ne son troppe. Com’è finita questa storia l’avete già capito.

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Cineserie, Imago, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Daniele

Forse i Maya non avevano previsto catastrofi spettacolari, hollywoodiane. Probabilmente sapevano che il 2012 ci avrebbe portati via uno alla volta, con metodo, così come si sfoglia un calendario. Un giorno un cantautore, il giorno dopo un poeta. Oggi è toccato al mio amico Daniele.

Era stato il mio capo, al tempo in cui ero un obiettore di coscienza in un sindacato. All’inizio il mio compito era quello di fotocopiare i suoi interventi pubblici sulle più scottanti questioni economiche e sociali di questa terra, col tempo ho avuto l’onore di leggerli in anteprima e discuterli con lui. Un giorno gli dissi che la sua prosa mi ricordava quella di Cossiga, che all’epoca imperversava sul “Corriere” con certi caustici editoriali. Sapeva che a me Cossiga faceva piuttosto schifo, ma era contento ugualmente. Alla fine di quella parentesi nel sindacato, ero diventato il suo vignettista satirico di riferimento, e più cattiveria ci mettevo nel rappresentarlo e più lui si divertiva.

Poi l’ho ritrovato su Facebook, e insieme abbiamo chattato di questo mondo tutto da leggere e capire. Ogni tanto sembrava volesse rimproverarmi: gli sembravo rassegnato e mi ricordava che quel ruolo doveva essere il suo, non il mio. Io avevo ali che lui non aveva più, e avevo già perso l’entusiasmo che in lui bruciava ancora.

Daniele amava Scuolamagia ed era un attento lettore della Pozzanghera: una volta gli avevo chiesto di tradurre in lingua friulana alcuni passi dell’Eneide. Le sue perplessità si erano presto sciolte e i miei cuccioli avevano declamato i suoi versi nello spettacolo di fine anno. Aveva fatto dire a Didone, disperata: «Ah parcè m’illudio, ce chi mi spieti? / Si esal forsit ingropât a jodimi vaì? / No l’a batut cej, nencja un sospir, / nencja una lagrima par me che i vuei ben…». Si era messo dalla parte di una donna, proprio come quando si batteva energicamente perché aumentassero i posti di lavoro femminili nell’Alto Friuli.

Una volta, prima di partire per la Cina, gli avevo promesso un souvenir. Girando per Pechino, però, non avevo trovato nulla che potesse resistere al vaglio di un suo ruvido e cinico commento, avevo così ripiegato su un oggetto che fosse un simbolo di quell’altrove di cui avevamo tanto parlato. Un quadernino grande un palmo di mano, lo strumento su cui i bimbi del Celeste Impero tracciano a sinistra i loro caratteri e a destra li traducono in inglese, esercitandosi a conquistare il mondo. Un reperto del presente, al modico prezzo di mezzo dei nostri centesimi. Più di quello che sento di valere io, che quel quadernino marrone non gliel’ho mai consegnato.

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Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

C’è farfalla di Belen e c’è la farfalla di Tonino Guerra

Io di Tonino Guerra ho letto solo una poesia. Sei versi in tutto. Ma da quel giorno non li ho mai dimenticati.

 

Contento proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando mi hanno liberato
in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.

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Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

Macchinina rossa la trionferà

Ho accompagnato Erica Boschiero in un tour didattico-musicale all’interno di alcune scuole. Cos’è una cantautrice? Cosa fa di bello? Serve a qualcosa? Questa era la missione: trovare una risposta ad un pugnetto di domande, regalando magari qualche inaspettata emozione, di quelle che sanno consegnarti bell’e impacchettate certe chitarre e certe voci.

Mi sono quindi immerso in un laghetto di occhi piccoli, più piccoli di quelli a cui sono abituato, e ho ascoltato vocette minuscole interrogare quell’ospite speciale dopo aver sollevato, ma molto più in su di quanto sarebbe bastato, braccine minime, palmi irrisori, ditini aghi di pino.

Alcune istantanee.

Un biondino chiede la parola e butta lì il suo quesito: “hai mai fatto concerti…”. Normale curiosità per chi siede davanti ad una musicista e normale amministrazione formulare una risposta, se solo la domanda si fosse fermata lì.

“Hai mai fatto concerti a Pisa?”: il capolavoro tutt’intero. Per la cronaca: no. Non ancora, ma a cosa stava pensando quella bionda creatura del demonio? Alla chitarra di Mazzini? Vai a saperlo…

Procediamo.

Altra manina in cielo, dopo che Erica ha eseguito la sua 3.32, canzone composta dopo il terremoto abruzzese del 2009, e ha proiettato le foto di alcune case crollate. “Ci mostri anche le foto dello tsunami?”.

Infine.

Ascoltato il brano La girandola, nel quale va in scena la vita grama di un bimbo di strada in una Parigi lontana nel tempo, e nella fattispecie orecchiato il verso “grigi gli occhi di un bambino morto prima di morire”, un altro fenomeno di un lustro e mezzo chiede lumi, piuttosto allarmato: “come si fa a morire prima di morire?”. Sembra incredulo, ma forse ha già capito che si può, e che a qualcuno meno fortunato può ancora capitare. Scacciato il pensiero brutto, che inevitabilmente tornerà, è poi salito anche lui con gli altri – e con Erica, e con me – su una macchinina rossa che se l’è portato via.

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Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

L’unica cosa che resta. Ma resterà?

È ambizioso Giorgio Faletti, nel difendersi dal barbaro attacco di Pietro Citati. Tutti i grandi classici nel loro tempo sono stati malcapiti e malinterpretati, dice, pertanto fatti a fettine dalla critica: prendete Mark Twain. Ambizioso, sì sì. Io non riesco nemmeno paragonarmi ad un lettore, di Mark Twain, figurarsi a Lui medesimo.

Da ieri si può ascoltare la nuova canzone di Pacifico. Io sono uno di quelli che faticano ancora a dire “singolo”. Non credo riceverà particolari critiche, ci mancherebbe. Tuttavia non riceverà nemmeno le lodi che merita. Le viene negata in partenza la possibilità di diventare una donnacannone, una costruzionediunamore, una luciasansiro e via cantautorando. Un classico, insomma. Vivrà una breve vita di farfalla, non sarà mai tramandata da un genitore ad un figlio. Non verrà ricopiata su un diario, non verrà citata in una lettera. Nemmeno in una mail, al massimo diventerà un link su cui esercitare l’ennesimo clic. E poi sparirà per sempre quando spariranno i singoli hard disk che l’hanno ospitata, le singole chiavette, quando moriranno i telefonini canzoniferi. Nessuno soffrirà, ci sarà altra musica leggera da ascoltare, da cantare, da mettere alle nostre spalle come uno sfondo per i giorni che passano. La vita alle persone, quella forse le canzoni non la cambieranno più.

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Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

E rinasce un fiore sopra un fatto brutto

Pomeriggi facili facili, in cui Scuolamagia riapre i battenti per ripassi assortiti, limatine alla preparazione dei ragazzi, un rabbocco d’olio alla lettura, ordinaria manutenzione dell’ortografia. Per me si tratta di aspettare un’ora, il tempo che gli studenti vadano a casa a fare la pappa prima di rituffarsi nel loro sporco lavoro che qualcuno lo dovrà pur fare.

Negli anni è capitato, qualche volta. Il cucciolo alle 14.00 arriva, bussa, io apro e nelle sue mani c’è qualcosa per me. Forse il primo è stato Paolo, con un gelato all’amarena, direttamente dal frigo del suo bar. Poi ricordo Ilaria con un bignè, deformato dopo la corsetta verso la scuola, il frutto di un esperimento della madre in cucina, al termine di un corso di pasticceria. Martina mi ha consegnato per un bel periodo un mandarino, uno dei due che le servivano alla mensa.

Oggi nelle mani di Nicole per me c’era una notizia. “Nelle mani” non è l’espressione più corretta, “sulla mano” va meglio. C’era una cosa che forse non sapevo, lontano da casa e dalla Tv, e probilmente non mi avrebbe lasciato indifferente. Sarebbe stata anzi una di quelle di cui poi magari a scuola si parla pure: per inquadrarla, per approfondirla.

Io sapevo già tutto da certi cinguettii che arrivano veloci, anche troppo, quasi in tempo reale, ma preferisco credere di aver trattenuto il fiato davanti alla voce di Nicole: Prof., sai che è morto – pausa, mano – nome e cognome.

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