Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness

Cose da fare, prima che sia troppo tardi

La notizia è finita in prima pagina. A prima vista sembrava una di quelle un po’ farlocche, in genere fatti di costume, spesso legati a una nuova statistica o a qualche scoperta scientifica destinata a rivoluzionarci la quotidianità. Invece era una notizia succosa e bisognava soltanto spremerla con pazienza. L’abbiamo fatto a scuola, una mattina come tante, matita alla mano. Dice che in Inghilterra i ragazzini cadano ormai più dai letti che dagli alberi. I numeri dei pronto soccorsi parlano chiaro. Perché? Semplice: troppa Tv, troppa consolle, troppo cemento, troppa merenda. Da qui una campagna per promuovere e valorizzare le attività all’aria aperta, con un elenco di 50 esperienze fondamentali, un cursus honorum da percorrere entro e non oltre i 12 anni.  

È quindi entrata in gioco la matita. Gli alunni hanno percorso l’elenco: su e giù, giù e su. Voce del verbo: spuntare. Per una sorta di contrappasso scolastico, gli studenti dalle pagelle più brillanti hanno cominciato ad innervosirsi, a grattarsi la testa, a cavillare (prof., ma va bene anche se non è il mare ed è solo un lago? Vale anche se è una coccinella e non una farfalla?). Al contrario, quelli che “possonofaremoltodipiù”, quelli che “nonstannomaiunattimocomposti”, quelli che “nonèuncinquemanonèneancheunsei” hanno acquisito un’insolita fierezza, taluni ipotizzando addirittura un en plain.

Per casa: individuare altre attività che, svolte prima del compimento del dodicesimo anno, possano evitare ad un essere umano di stramazzare sulle proprie pantofole.

Ecco alcuni spunti, freschi di lettura e correzione.

Fare una gara a “chi trova per primo 5 quadrifogli”.

Raccogliere erbe selvatiche per fare una buona frittata.

Rubare i lamponi dal cespuglio del vicino.

Costruire un igloo molto grande.

Acchiappare una rana colle mani.

Fare almeno una volta la pipì all’aperto.

Sparare ad un gatto randagio con la pistola a pallini (utile per chi voglia entrare nell’esercito).

Sperimentare l’eco in montagna.

Scavalcare un cancello.

Suonare un campanello e scappare.

Raccogliere castagne in un bosco.

Fare la ribaltata.

Fare finta di avere un ristorante all’aperto, cucinando brodaglie con acqua e erba.

Raccogliere margherite e farne dei braccialetti.

Andare sull’altalena.

Contare le formiche che entrano in un formicaio.

Individuare la forma delle nuvole.

Arrivare in cima a una montagna e scrivere il proprio nome sul libretto.

Mangiare un insetto vivo.

Dare da mangiare ad una mucca o ad un cavallo direttamente dalla propria mano.

Al mare fare castelli di sabbia o distruggere quelli degli altri bambini.

Correre in un prato con l’erba alta fino al bacino.

Giocare a nascondino al buio.

Picchiare il proprio fratello.

Nuotare contromano in un fiume.

Giocare a Puzza.

Giocare a “chi finisce prima una bottiglietta d’acqua” (anche se una volta M. ha vomitato…). 

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Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Tanto tuonò che nevicò

Ieri e oggi a Scuolamagia c’era un ragazzino nuovo. Veniva da lontano, era un ragazzino siculo. Salito eccezionalmente con il padre, il pendolare più pendolare del mondo: Ragusa-Forni Avoltri ogni settimana per una giornata di lavoro. Robe da matti, robe da finire sui giornali. Robe distorte da “scuolaitaliana”, ma anche robe che se non accadessero – conosciuto l’uomo e apprezzato l’insegnante – bisognerebbe farle accadere.

Quasi a voler fare un regalo a quel dodicenne piombato da una realtà così differente, oggi – annunciata da alcuni tuoni assurdi – è arrivata la neve. Pesante, come quest’anno mai, nemmeno in gennaio. Caparbia, tenace. In poco più di un’ora ha riempito il cortile, lo stesso in cui già da un paio di mesi il pallone lo si stoppa con i calzoncini corti e ginocchia e gomiti – liberi dai tessuti – si sbucciano che è un piacere.

Il ragazzino l’ha prima toccata con le mani, la neve del 24 aprile, poi ha raggiunto il centro del grande spazio per accoglierla tra tra i capelli, sulle guance, in bocca.

«Papà, posso fare l’angelo?».

Il mio collega, che dallo sguardo non deve aver capito granchè di quella domanda, ha abbozzato una richiesta di chiarimento, per poi subito abortirla.

«Sì».

Lorenzo si è sdraiato, faccia al cielo. Gambe e braccia divaricate. Un piccolo uomo vitruviano inscritto nella neve.

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Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Zac

L’ha detto quasi tirando un sospiro di sollievo, la ragazza, dopo giorni di pensieracci sul presente e dolorosi dubbi sul futuro: “per fortuna che domani vado dal parrucchiere”. Un nuovo taglio e incipit vita nova. La ragazza è tutt’altro che frivola e non è solita ammorbare il prossimo con questioni di estetica trascendentale, tra un bigodino e un’estrema unzione del cuoio capelluto. Soltanto: quello per lei è un momento per guardare avanti.

Al contrario, io sono rimasto piantato davanti a quei versi del cantautore: “…poi d’improvviso tutti gli anni per terra / come i capelli dal barbiere”. Complice la mia socievolezza, in grado di farmi passare dal “buongiorno” sulla porta direttamente al “quant’è?” alla cassa, vivo quel tempo silenzioso davanti alla mia immagine riflessa nello specchio come un tormentoso processo di (auto)analisi. Rigorosamente volto al passato. Un nastro – zac, colpo di pettine – che scorre all’indietro – passetti del barbiere sulle piastrelle – con le sue facce – zac, pettine, zac – le sconfitte – zac, passetto – gli errori – zac, zac, pettine – occhi e voci, sguardi e parole – zac, passetto, pettine, zac. Una tortura, e fortuna che ormai c’è poco da tagliare.

(E la ragazza? Che taglio avrà scelto la ragazza?)

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Soletta, Tutte queste cose passare

Quel giorno pioveva

C’è il bel racconto lungo di Paola Zannoner, con dentro una ragazzina che finisce quasi per caso in Piazza della Loggia, quel giorno del 1974. Un racconto coraggioso, pubblicato prima da solo e poi raccolto in un volume con altre 3 storie. Non sono davvero sicuro che abbia senso mettere quei fatti nelle mani di un tredicenne. Nemmeno noi adulti li abbiamo capiti. O meglio: li abbiamo capiti benissimo, sappiamo tutto ma non abbiamo le prove e soprattutto non abbiamo messo le pezze dove servivano, abbiamo lasciato gocciolare il rubinetto rotto. E lui, il tredicenne, che idee si può fare? Una specie di minuscolo 11 settembre? Ma chi è il nostro Bin Laden? Chi glielo spiega. Non starò seminando una malsana angoscia, con le mie fotocopie?

Ho saputo poi che l’esplosione si era sentita a diversi chilometri di distanza, che per lo spavento tanta gente aveva smesso di lavorare o aveva interrotto quel che stava facendo.

Ho saputo che erano morte otto persone e che più di cento erano rimaste ferite. E che la bomba era nascosta in un cestino dei rifiuti, sotto il portico. Se fossi rimasta nel punto in cui mi ero fermata a leggere il volantino, forse sarei morta anch’io.

[…]

Perché polizia, carabinieri, vigili del fuoco, tutti erano accorsi nella piazza devastata. E parte delle forze dell’ordine erano già lì, a guardia della manifestazione che si era trasformata in una trappola mortale. Così, mentre le ambulanze arrivavano ululando e la gente accorreva verso la piazza, lasciando i negozi e le auto e le case, io andavo verso la stazione dei pullman senza udire niente intorno a me.

E mentre me ne stavo seduta a fissare lo strappo nel seggiolino, erano arrivati gli idranti dei vigili del fuoco a lavare la piazza bagnata dalla pioggia e a spegnere un incendio che non c’era, cancellando le tracce dell’ordigno, spazzando via i detriti e tutto quello che, nei film americani, i detective chiamano indizi.

Paola Zannoner, Quel giorno pioveva

 

(Nel mio librino scopro anche delle righine sottolineate. Non da me, il meraviglioso vizio l’ho preso in seguito. Però ho sempre lasciato piena libertà – libertà di matita – agli abituè dei miei prestiti. Ricopio e sottolineo:

 

Ma non è mai così, non si può fermare niente, di certo non il tempo e quello che alcuni chiamano il destino. Qui poi non c’entrava il destino, ma l’idea di qualcuno, un’idea capace di diventare azione e devastazione. È pazzesco, ma cose del genere nessuno le ferma, nessuno le può fermare.)

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ɐʇɐıɔsǝʌoɹ ɐl

Al ritorno dalle vacanze, scruto Francesco alzarsi a fatica dal banco, imprecare per qualcosa come una fitta, o un colpo di pugnale. Le mani, entrambe, corrono a puntellare la schiena, epicentro del male cane. Poi il ragazzo fa passetti piccoli, per raggiungere la porta e respirare, rito indispensabile ad ogni cambio d’ora. Va detto che la scena è stranissima, perché Francesco è un prodigio di energia ed agilità, pura potenza di montanaro mista a sangue e fibre caraibici.

Mi avvicino e mi informo preoccupato, ipotizzando incidenti stradali o fastidiosi contraccolpi in un corpo che cresce a vista d’occhio.

Niente di tutto ciò. Con la naturalezza di chi altro non ha fatto che il suo dovere, mi spiega la ragione di quel claudicare:

«Non è niente, prof., ho solo fatto troppe rovesciate volanti…»

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Sweet Salgarì

Mi tolgo subito d’impaccio e lo pronuncio a modo mio: Salgarì. Sbatte dove debba battere, l’accento. Tra le due versioni litiganti la terza gode, tanto ci capiamo lo stesso. Confesso anche di aver da sempre nutrito una curiosità morbosa attorno al suicidio splatter del celebre scrittore, e da quel finale così enorme la voglia di saperne di più, di quella vita, si è allargata come fanno i cerchi concentrici sull’acqua dopo il lancio di un sasso: il disordine, lo stress della scrittura, le pagine pagate un tanto al chilo, le ambizioni frustrate, la società di massa…

Ora è arrivato un fumetto che mi ha preso per mano e mi ha spiegato tutto. Ignorando completamente gli eroi immortali creati da uno scrittore che non sappiamo manco pronunciare. Niente Sandokan, niente Malesia, niente tigri della medesima. Solo Emilio, un uomo solo.

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Federico ha voluto la bicicletta e adesso pedala

Farei un torto a Federico se affermassi qui che gli piace scrivere. Gli piace raccontare, quello sì, e so benissimo che è un’altra cosa. Su un blog, quando dentro un post hai inserito una foto e vuoi che gli altri capiscano, tocca aggiungere anche qualche parola e allora Federico lo fa. Che non gli piace scrivere si vede da come strapazza i fogli su cui si applica a scuola. Magari basta soltanto tracciare quattro crocette (e lui le traccia quasi sempre nella casella giusta), eppure il suo test sembra essere passato attraverso un sistema di presse idrauliche, cesoie industriali, macchine punzonatrici.

Raccontare quello sì, quello gli piace un sacco. A volte sembra abbia vissuto già 14 vite e non 14 miseri anni.

Ieri, ad esempio, si è messo lì alla quarta ora e ha detto al mondo di essere il proprietario di una fiammante bicicletta nuova. Un animale a due ruote su cui investirà energie e passione nei prossimi mesi, in attesa di ricalzare gli altrettanto amati sci. Un animale che forse dovrà imparare a domare un po’ meglio, specialmente in discesa, per evitare che il suo prof. debba scrivere di lui, al passato: «a Federico piaceva raccontare…”.  

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