Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Capricci

Arriva finalmente il giorno di leggere Luigi Meneghello, Libera nos a Malo.

 

Le balie nostre venivano da un paese lontano detto Arquà, molto più povero e piccolo del nostro, dove c’era una gatta chiamata Petrarca alla quale avevano fatto anche un monumento. La mia bambinaia era la Ernestina, ed è tra le prime cose al mondo che ricordo. Era una cosa molto bella.

La Ernestina e io in granaio facevamo la rivista dei giocattoli rotti; c’era un bel tramonto, e mi sentivo felice.

«Mi sono molto goduto oggi,» dissi alla Ernestina. Lei si felicitò con me per la bella giornata.

«Questo giorno qui lo voglio di nuovo domani,» dissi. La Ernestina disse sorridendo che anche domani sarebbe stato un bel giorno. M’insospettii e dissi freddamente:

«Io voglio che torni questo giorno qui».

«Questo giorno qui ormai è passato,» disse la Ernestina, «domani ne viene un altro.»

Mi rivoltai come un forsennato, intravedevo che c’era di mezzo una specie di regola intollerabile, la Ernestina non ne aveva colpa ma la graffiavo urlando: «Voglio che torni questo giorno qui! Questo giorno qui! Questo giorno qui! Voglio che torni!». Niente da fare.

 

Se ve lo state chiedendo da anni o se ve lo siete chiesti anche una volta sola, a cosa serve la letteratura…

A chiudere un libro, serve, non prima di averne sottolineato dieci righe con la matita, e correre ai giorni che replicheresti all’infinito. Sono due, tre, massimo quattro, in ogni vita. Puntare i piedi, impuntarsi, frignare duro, fare i capricci, ché quei 19 dicembre, quei 17 aprile, quei 20 agosto son roba tua e la rivuoi indietro. Subito.

(Poi ci sono quei blog che chiederebbero ai lettori: e voi, c’è un giorno che vorreste ricominciasse daccapo?)

Standard

One thought on “Capricci

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

code