Res cogitans, Soletta, Tutte queste cose passare

Chiude “Diario”

Voleva essere una rivista dedicata alla “buona lettura”, Diario. Ci riusciva, davvero. Penso al penultimo numero, e al reportage del direttore da Garlasco, scena del crimine. Una lezione di giornalismo, su come andare oltre le tracce di sangue e gli alibi di ferro e riuscire a raccontare chi siamo, cosa siamo diventati tutti.

«Uno ci passa centinaia di volte sull’autostrada Milano-Genova. Uscita Pavia sud-Gropello-Garlasco.

Se uno va al mare è appena all’inizio, lo aspetta il bivio Casei Gerola da dove si giunge a Voghera della casalinga, il bivio Tortona dei sassi mortali. E ogni volta che poi superi Isola del Cantone ti trovi a pensare: se vivessi qui, qualche pera ogni tanto me la farei anch’io.

Uno poi passa le gallerie e arriva a Bolzaneto, che fino a sei anni fa non era niente, e adesso è la caserma del G8. Poi appare Genova.

Ma se uno torna dal mare, l’uscita Garlasco è solo una tappa della stressante avanzata verso casa: se sei a Garlasco, sei a Bereguardo, se sei a Bereguardo sei ad Assago, se sei ad Assago sei a Milano. Come quando venne liberata l’Europa: se sei a Omaha Beach, sei  a Cherbourg. Se sei a Cherbourg, sei a Lilla. Se sei a Lilla, sei a Parigi. Se sei a Parigi, sei a Berlino.

Pochissimi escono a Garlasco, a meno che non debbano andare proprio a Garlasco, a Mortara o a Gropello Cairoli. Ma d’ora in poi penseranno: Garlasco del delitto».

Che incipit! E poi continua, e sembra di leggere un romanzo.

I pubblicitari sembrano non voler mettere le loro modelle al fianco di una scrittura così, e forse anche chi scrive così vivrebbe con disagio le sue colonne d’inchiostro mescolate a cosce e sguardi di pantera. Insomma, verrebbe da pensare che in Italia un settimanale duro e puro e intransigente come “Diario” non sia più possibile.

Peccato, mi mancherà.

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Soletta

Malditesta

L’amico dice che è bruttabrutta. Però aggiunge e ammette: di quelle che piacciono a te. Oggi scopro che la mia attrice (e cantante senza voce) di riferimento (momentaneo) non se la passa benissimo: ematoma cerebrale. Tac e intervento d’urgenza. Tanti auguri. E pensare che io, quelle con quella faccia e quegl’occhi le chiamo da sempre, gonfio di ammirazione: “donne col mal di testa”.

 

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Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Con questi cieli sopra

Il cielo di questa mattina andava guardato come si guarda un film. Una sedia – meglio: una poltrona – le mani incrociate dietro la testa, nient’altro da fare. Le nuvole grigie, a nord, hanno portato una pioggia breve e leggera; quelle bianche, basse, sembravano i Prigioni di Michelangelo: un intreccio di muscoli avvitati, corpi lottanti e scalpitanti, certamente in fuga. Il sole faceva breccia qua e là, ancora capace di scottare. Lontano, verso il mare, tutti i blu del mondo, tutti gli azzurri e tutti i celeste, limpidi e indifferenti a tutto il resto.

Vi ricordate di Scuolamagia? Sì, certo che vi ricordate. Sarà ancora una volta la “scuola media” più piccola del regno? Affermativo: i cuccioli quest’anno saranno in 10. All’uscita dei quattrogatti del ‘93 corrisponderà l’ingresso di 2 ragazzine del ’96: Lucia e Margherita. Margherita ha già fatto la comparsa in uno spettacolo teatrale natalizio, quindi ci conosciamo già. Lucia è la sua inseparabile amica.

E i colleghi? Ecco, appunto. Non ci sono. Lungi dall’esser nominati. Scuolamagia è un tantino “fuori mano” e le ore di lavoro in palio sono decisamente poche. I professori delle sedi vicine, interpellati per delle supplenze temporanee, hanno storto quasi tutti i nasini adducendo i loro “MA ANCHE NO”.

Il film del cielo, intanto, è finito in una pennellata di azzurro uniforme e ventoso.

Non è il momento migliore per cominciare da solo. Quasi fatico a badare a me stesso.

Il primo giorno, però, ho deciso che i 10 li faccio cantare. Cantare cosa è una bella domanda. 

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Tutte queste cose passare

“Cara Dora, …”

Ascolto Nando Dalla Chiesa nel giorno del ricordo di suo padre, il Generale, crivellato dalla mafia 25 anni fa. Conosco quei fatti, e pasolinianamente conosco come tutti le responsabilità e i colpevoli. Non sapevo del diario. Il luogo in cui il carabiniere era solito affidare quotidiane lettere alla moglie morta. Le lettere immaginarie di un vedovo, scritte in certe sere, in certe notti di tristezza e di solitudine. Il figlio le ha ritrovate e si è preoccupato che gli inquirenti potessero – senza che nulla diventasse di dominio pubblico – ricercarvi tracce, indicazioni e particolari utili. Ma non ha letto. No, ha custodito, ha protetto, tenuto con sé. Ma non ha letto, no. “Erano intime, erano sue”.

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Soletta

Zal

Quando Zal nasce, sulle rive del Kura, la magra Inizla forse dà nel parto un grido così forte che la piccola s’assordisce, o forse la bambina era già sorda nel ventre della madre, che non ha comunque modo di addolorarsi, perché poco dopo, silenziosamente, muore. Ma di sicuro, se vivesse, come ogni altro Inizla non si dispiacerebbe della mutezza e della sordità della piccola, perché già dalle prime settimane, dai primi mesi, appare chiaro che Zal vive nel corpo animato singolari percezioni e parole, vivi nomi: forse ricevuti da Inizia, che in questo si è consumata, o forse dalla piena, perfetta cura, dai toccamenti d’amore, dalle calde azioni che il padre Nuhoc, per amore di Inizla e di lei, le dona, e i parenti, e l’intero villaggio, per sacra e innamorata memoria della madre, e per affetto al padre, e alla generosa e antica famiglia: cura, toccamenti e azioni alla piccola, senza concederle mai, fin dal principio, la solitudine dei sordi, la tristezza dei muti: o forse qualche dio la protegge e le parla: sicché Zal, subito, guarda le cose con intensità e intimità, e tocca con le mani allegramente, e con l’intero corpo agile, che, similissimo a quello benedetto di Inizla, resterà sottile fino alla vecchiaia, se mai arriverà alla vecchiaia, questo nessuno lo sa, nessuno lo può dire: e dunque Zal mostra, esercita, comunica fin dal primo tempo della sua vita una conoscenza pacata di ciò che è fuori e dentro lei, insegna a se stessa e agli altri, che pure le hanno aperto la via, un codice di sillabe tattili, gesti, calori segnanti, del corpo intero, una danza di parole, un canto di carne bruna. Certo le ha giovato la pazienza di Nuhoc che, caso assai raro in ogni tempo del mondo, non la sente e giudica come assassina della madre, ma come perfezione di lei, suo prolungato fruttare: lui le ha mostrato cose e mostrato nomi, e metamorfosi di nomi, e ha alluso quelle immostrabili con gesti di volontà, di precisione e spirito, di cui Zal capisce fin dall’inizio più di quanto, all’inizio, sa mostrare: Ma più che dalle persone Zal impara segni, sensi e linguaggi dalle cose: acque di fiume, sassi , luci, notte, insetti, fiori, cibi, le vacche pazienti, le capre: la gialla Godesh: la preferita, la neve d’inverno, le stelle, il calore della pancia di chi partorisce, presso cui la portano come vivo efficace amuleto, la curva delle corna del bue, il piccolo mestruo precoce, pochissimo doloroso, l’ispida guancia del padre che s’ingrigia, l’odore del seme di curga nel giardino, quello aspro e dolce della nonna, il vibrare delle piante al vento, la riseccatura d’argilla attorno allo stagno, giugno, il salto della cavalletta, il tempo, il dove degli eventi, la sorpresa, i generosi spalancamenti d’ala del gallo, il compagno cuore che dentro le batte, le batte, infinità concreta.

 

Roberto Piumini, Caratteristiche del bosco sacro

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Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

A.S. 2007 – 2008: un sogno

Raccontare a teatro Lettera a una professoressa di Don Milani. Grande idea, al di là delle ricorrenze da celebrare (i 40 anni dalla pubblicazione). Sul palcoscenico erano in quattro. La più esperta, il più celebre arlecchino vivente Claudia Contin, straordinaria nel farsi scolara degli anni sessanta esattamente come gli altri tre giovanissimi interpreti, due ragazze e un ragazzo cinese. Senza gerarchie di sorta, con soltanto nello sguardo della veterana un surplus di rassicurante e gioiosa flemma attoriale e l’enorme umiltà di farsi invisibile prima inter pares.

Quest’anno ho voglia di farlo capire subito, ai cuccioli, che a Scuolamagia per bocciare qualcuno si dovrà passare sul mio corpo, come sempre. Demagogia? Populismo? No, soltanto che se ci si farà un culo così per la scuola sarà per altre ragioni che spetterà a me spiegare, e sarà quello il bello.

Il teatro, poi. Ci sarà, ancora una volta indispensabile.

All’origine di uno spettacolo c’è sempre un’immagine, una specie di illuminazione.

Quest’anno è arrivata presto, magari si dissolverà, forse porterà da qualche parte, forse no.

Mi sbilancio.

Ho visto i miei ragazzi correre per le strade del paesino: portavano un invito speciale.

Diceva a tutti, ma proprio tutti, di accorrere una sera d’inverno in quel grande prato che so io.

Conditio sine qua non: la neve, ma il 27 gennaio nel paese di Scuolamagia una bianca magia è tutt’altro che impossibile.

Poi accadevano cose.

Se sapremo farle accadere.

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