Le storie di Scuolamagia, Tutte queste cose passare

eVenti

Scuolamagia ha la scorza piuttosto dura. Il vento l’ha piegata ma spezzarla è un altro paio di maniche. Il Governatore del Friuli Venezia Giulia è volato in elicottero a portare solidarietà e a pescare qualche voto (sia detto senza infamia, siamo pozzanghere di mondo). L’ho accolto scalzo, stavo sistemando le tombe nel cimitero ebraico in miniatura, all’interno del ghetto. Per fortuna che c’era il cucciolo Samu ad intrattenerlo da par suo. L’albero della Scuola elementare è caduto di schianto domenica alle 7. Un gigante di 12 metri e quasi un centinaio d’anni sul groppone. L’aveva piantato Mussolini in persona, dicunt, e a me dispiace un po’ di meno, va da sè.

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Res cogitans, Soletta, Tutte queste cose passare

27.01.08

Non beati gli assetati

sui treni: fiori, Ebrei

agnelli, bambini

(e ho paura non si aprono

più sui moderni treni

i finestrini)

non beati gli assetati

fiori della carrozza ristorante

senz’acqua nel vaso

per non bagnare

la tovaglia elegante

Requiem-per-margherite

una per ogni tavolino guardavano

tutte in fin di vita

dal finestrino la pioggia

tese verso il vetro la chiamavano

la chiamavano Regen! Regen!

Credete a chi le ha sentite

sembravano bambine le margherite

sembravano bambini

(e ho paura non si aprono

più sui moderni treni

i finestrini).

 

Vivian Lamarque, REQUIEM PER MARGHERITE

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Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Maschietti

Quello che arriva con l’iPod e sotto la cuffietta c’è la furia carnica, libertaria e antimilitarista di Giorgio Ferigo.

Quello che non c’è e mi manda un messaggio: sono pieno di puntini rossi sulla faccia e sulla pancia!

Quello che è il suo compleanno, non si aspetta dai compagni auguri così caldi e si rifugia in sala insegnanti (dove raramente ci stanno gli stessi insegnanti) a piangere duro di commozione.

Quelli che costruiscono un Golem, quelli che ritagliano tombe ebraiche nel cartone.

Quello che si mette a piangere perché lo sgrido fortissimo e invece non era stato lui.

Quello che era stato lui.

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Le storie di Scuolamagia

Notizie dal ghetto di Scuolamagia

Siamo partiti cartesianamente, facendo tabula rasa, entrando nella stanza dove ricostruiremo il ghetto e lavorando di scopa. Abbiamo spostato altrove ciò che non ci servirà, abbiamo radunato molti altri oggetti che potrebbero tornarci utili. Benedetto il giorno in cui ho deciso di non gettare i grandi cartoni che avvolgevano gli armadi nuovi della biblioteca: diventeranno mura labirintiche.

Preziosi anche i vostri consigli. L’albero, ad esempio, ci sarà. E la musica che dice Mia: è perfetta e la sto già ascoltando. (Grazie!!!)

Domani cominceremo a lavorare sul piccolo cimitero e tenteremo – senza cabbalismi ma con tanta colla vinilica – di dar vita a un Golem.

Una curiosità: la stanza che stiamo utilizzando per questo progetto è quella in cui viene allestito uno dei due seggi elettorali del paese. La settimana scorsa, quando l’idea era ancora un embrione di idea, ho affermato, pensando agli inevitabili sconvolgimenti che avremmo apportato al locale: “tanto, per un po’ non servirà…”.

Ecco, appunto…

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Noterelle a margine del caso Pistorius

La vita è crudele, si sa. Un giorno ti mette sulla cima del mondo, il giorno dopo ti taglia le gambe. Ti stringe nelle maglie delle sue burocrazie spietate. Aride. Secche. Ti avvolge in una rete di regole che non prevede e non concede strappi.

Lo sport è diverso. Può essere di più, può essere meglio. Può andare oltre la vita. Può sublimarla. Sì, d’accordo, lo sport è folle. Il Brasile che vince sono centinaia di mani amputate dai festeggiamenti esplosivi. Il Brasile che perde significa suicidi a grappoli. Ma non è solo questo, lo sport. Lo sport libera, può farlo. Lo sport emancipa. Lo sport costruisce e fa volare sogni, ed è una delle poche occasioni in cui gli uomini guardano in faccia i sogni degli altri, dimenticandosi dei propri.

Fossi un quattrocentista eliminato in batteria dalle gambe artificiali di Pistorius, metterei sui piatti della bilancia i miei sogni con i suoi. Vorrei avere il coraggio di riconoscere che i suoi sono più grandi, e che guardano più lontano. Penserei anche alla fatica che si fa a correre in un catino olimpico con tutti quegl’occhi addosso. Occhi che non pensano, come potrebbero fare di me: “guarda quel brocco”. Occhi che pensano “guarda quell’uomo di metallo, guarda quello scherzo di natura, guarda quel droide”. Occhi pesanti, quelli. E inevitabili, forse. Altro che 30% di spinta in più. Ci abbiamo pensato a quella fatica?

“Dura lex sed lex”. I periti, gli ingegneri, le comparazioni, i giudici. “Citius altius fortius”, ma anche “l’importante è partecipare”. Dio com’è spinosa questa vicenda. Qualche anno fa a qualcuno venne in mente di recuperare un gruppo di detenuti – è ciò che invita a fare la Costituzione – attraverso il calcio. Nacque il Free Opera, la squadra del carcere di Milano. Non si trattava della solita partitella tra detenuti nell’ora d’aria, i carcerati avrebbero partecipato ad un torneo con formazioni “normali”, centrocampisti e attaccanti in libertà non vigilata. Sorse immediatamente un problema, e un rovello non da poco. I giocatori del Free Opera, rapinatori e omicidi pluricondannati, non avrebbero potuto per ovvi motivi giocare fuori casa e avrebbero dovuto ricevere tutti gli avversari tra le proprie (altissime) mura. Un vantaggio, no? Un precedente, certo. E pensiamo anche alle caratteristiche tutt’altro che ospitali dello stadio in questione… Ci fu chi disse sì, ci fu chi disse no. Alla fine il torneo si disputò. Si operò lo strappo, e l’eccezione non stravolse la regola.

Lo sport vive grazie alle sue storie “eccezionali”. Storie, colla maiuscola. L’aborigena che corre e riscatta il suo popolo. La ragazza afghana con la tuta, bellissima in mezzo ai glutei di bronzo delle atlete a stelle e strisce. Il ciclista salito e disceso dalla cima di un cancro, il maratoneta scalzo, l’ala destra funambolica e zoppa.

 

[Si dice: bisogna lottare ad armi pari, le condizioni di partenza devono essere le stesse. Spiegatelo al ragazzo di colore che con la sua corsa strepitosa sapeva mordere la terra degli altipiani d’Africa e che, invece di calcare le corsie del Nido pechinese, nell’estate 2008 riempirà le ceste dei pomodori Pachino. Non c’entra? Oppure c’entra tantissimo?]

 

Potevamo fare un passo avanti, noi che abbiamo testa e gambe. Siamo rimasti fermi. Con un giudizio democratico e circostanziato. Spietato e insindacabile. 25 giudici decidono dell’uomo con le protesi: 25 no per l’uomo con le protesi. Altri mondi corrono veloci e spregiudicati, e fioriscono i paradossi. Oscar Pistorius, l’uomo senza piedi, è il testimonial giusto per il maggior produttore di scarpe. Just do it.

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Laica chi, la cagnetta?

Il post sul Papa alla Sapienza è stato molto letto e molto commentato. Forse anche un po’ frainteso, ma quella è colpa mia. Nessuno che mi abbia fatto i complimenti per il titolo meraviglioso (molto ma molto meglio del post!), ma quelli me li sono fatti da solo. Life is a mistery, everyone must stand alone.

Ci tenevo ad aggiungere due cose sulla laicità, anche se il tiro si è inevitabilmente spostato sulla libertà di espressione e sulle sue violazioni.

Cos’è un paese laico? Un paese laico è un paese nel quale un cartello come questo non viene affisso.

Portopalo cartello 2

La foto l’ho scattata quest’estate, vicino ad un incrocio senza regole in cui passavano ogni minuto almeno 10 centauri senza casco. Non è questo il punto, però. Ammesso che l’istituzione che mi governa possa permettersi di impartirmi lezioni attraverso la cartellonistica stradale, a me vengono in mente almeno altri 79 motivi per cui autocostringermi ad indossare la cintura di sicurezza quando sto guidando. Alcuni di questi, tra l’altro, potrebbero essere condivisi proprio da tutti, perché universali ed estendibili alla collettività intera. Quel cartello, invece, non parla al cittadino che ha ripudiato il suo ceppo d’origine e vive felicemente isolato – è un suo diritto – o semplicemente preferendo relazioni private che non rientrano nei codici della famiglia.

Un paio d’anni fa ho partecipato a qualcosa che vagamente poteva somigliare all’apertura di un anno accademico. Un corso di lingua e cultura accoglieva un buon numero di studenti provenienti da tre quarti di mondo. A portare il loro saluto organizzatori, docenti, sindaci, assessori e il parroco della città sede del corso. Una noia mortale, ma non è nemmeno questo il punto. Venuto il suo momento, il religioso si è rivolto ai convenuti con calore e con spirito di accoglienza, ricordando che Dio si è comportato in quel modo, che Gesù ha sempre detto di fare così, che Maria ci protegga da questo e quest’altro… Ecco, in sala spiccavano – poche pochissime, ma appunto per questo spiccavano! – le teste velate di alcune studentesse islamiche. Molti dei presenti provenivano da paesi da tempo fortemente secolarizzati, molti altri dall’Estremo Oriente, un nutrito gruppo dallo stato di Israele. E allora: bisognava zittire il parroco? Certo che no, ma se avesse affermato che IL SUO DIO si era comportato in quel modo, che IL SUO GESÙ aveva sempre detto di fare così…  Forse quella sarebbe stata laicità in un luogo laico e – proprio perché laico – più accogliente. Sarebbe stato altresì relativismo, alias fumo negli occhi per ogni religione.

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Le storie di Scuolamagia

Il Giorno della Memoria: cercansi idee per un’installazione

Un anno fa abbiamo allestito il Bosco della Memoria. A Scuolamagia sono entrati i rami veri di un grosso albero, per terra c’erano foglie da raccogliere, su ognuna parole preziose. C’erano le immagini sulla grande parete, e musica di violino triste nell’aria. Ricordo un pomeriggio bellissimo di lavoro silenzioso, senza che nessun insegnante quel silenzio l’avesse intimato. Nelle aule un panorama da cantiere: concerto per paia di forbici, stantuffate di stampante, cigolio di banchi trascinati. E poi scope, spaghi, pennarelli, fogli di carta, nastri adesivi.

MemoriaI visitatori – gente del paese – avevano gradito, e ho ancora negli occhi la coppia di genitori abbracciati stretti davanti alla fotografia proiettata tra i rami del bosco: una montagna di scarpe vuote nell’anticamera del forno crematorio.

Quest’anno sarà (voglio che sia) più difficile.

Quest’anno ricreeremo un ghetto.

Proveremo a dare l’impressione di una spietata segregazione. Andremo oltre il calendario degli orrori novecenteschi per dire di un secolare abominio. Cercheremo tuttavia di rappresentare la Vita di un popolo all’interno di un luogo nato per essere la premessa della Morte.

Ma come si fa a costruire un ghetto in una grande stanza spoglia?

Appunto: COME SI FA?

Io comincio subito a leggere e a studiare. I libri, i siti, i numeri del “Diario della Memoria”. Sul quaderno ho già scritto: cimitero con il filo spinato e i sassolini, sinagoga, mura, il Golem. E voi, mi aiutate? Voi che avete visitato quel ghetto in quella città in cui forse non andrò mai… Voi che conoscete quella musica che sarebbe perfetta come sottofondo… Voi che vi ricordate che in quel film…

Ci aiutate? Ci aiutate a ricordare? Ci regalate qualche idea? Ci fate evitare qualche strafalcione storico-religioso?

Il 27 gennaio quest’anno cade di domenica. Venite a Scuolamagia nei giorni successivi?  

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Laica prayer

Una volta sono stato accusato di aver cacciato un prete da Scuolamagia. Non era vero, io non l’avevo neppure visto arrivare e a metterlo in fuga era stata la minigonna diabolica di un’insegnante di educazione musicale. Il Papa non lo caccerei, giuro. Gli offrirei un the, lo farei accomodare sul divano e lo inviterei a farci delle domande. Dev’essere durissima la vita di chi come lui ha soltanto risposte.

Le parole che mi hanno convinto di più, a proposito dell’invito alla Sapienza, le ho lette sul blog di Marco Ardemagni.

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L’imputato amputato

pistorius

Da tempo vado ripetendo che l’epica si trova più spesso nelle pagine sportive dei quotidiani che nei versi di Omero. Meglio: che tra un’epica che parla una lingua distante e incomprensibile e un fatto concreto che muove gli animi dei cuccioli a compassione, ammirazione, sdegno preferisco di gran lunga il secondo. Con buona pace del pelide Achille.

Oggi in classe abbiamo guardato su YouTube la corsa di Oscar Pistorius. Prima in silenzio, poi con il commento tecnico. I quattro c’hanno pensato su. C’hanno pensato forte. Poi Nicky, lo sportivo, ha detto NO, non vale, troppa grazia, troppa spinta, quelle non sono gambe sono molle. Agata s’è visto che stava pensando al fatto che escludere qualcuno è sempre brutto. Yuri è sbottato, puntando le armi del suo sguardo al cuore del problema: “e il SOGNO… come la mettiamo col sogno?”. Già, il sogno. Poi qualcuno ha ipotizzato lo strazio del primo giorno alle elementari di un bambino senza gambe, con la prospettiva che nemmeno il secondo fosse granché. L’altro Nicola ha detto il suo SÌ consapevole dell’intrico laocoontico della faccenda. Il suo omonimo in minoranza è tornato all’attacco parlando dei limiti anche fisici che ognuno di noi deve imparare ad accettare con sportività e senza ire funeste. Le lezioni più belle sono quelle in cui le domande di partenza, dopo sperpero gratuito e collettivo di parole, rimangono irrisolte.

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Res cogitans

Sorrisi

Ho visto una partita di Basket. Cuccioli contro cuccioli, maschi e femmine dentro gli stessi correttissimi grovigli di braccia, e uno dietro l’altro dentro inseguimenti a perdifiato fino a sotto il ferro. Ho sempre pensato che il difetto della pallacanestro stia nei canestri che, nonostante l’incredibile varietà delle soluzioni d’attacco, alla fine si somigliano un po’ tutti. Il pallone alla fine devi farlo passare di lì, non c’è verso. Quale miglior teatro per gli assist, però, spettacolare forma di altruismo. Il mio regno di pivot infallibile per un assist fatto senza guardare (con la coda dell’occhio, certo…). Ero lì per tifare una bimba coi capelli raccolti, l’andatura un po’ dinoccolata e un buon senso della posizione. L’arma segreta, però, è il sorriso. Capace di rinascere al termine di qualsiasi azione, qualsiasi sia il suo esito. Passaggio troppo corto, lancio perfetto, stoppata, tiro fuori, tiro dentro, fallo. Sorriso sempre. Sorrisi per compagni e avversari, silenziosi, ma rimbalzanti come palle. Sorrisi in lunetta, sorrisi da tre. Devo chiedere se me li insegna…

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“La Repubblica” fondata sul lavoro

Qualcuno deve aver detto a Ezio Mauro: «Cosa vuoi capirne tu di inchieste e reportage che te ne stai lì seduto tutti i giorni a fare il Direttore col culo sulla poltrona di pelle l’enciclopedia sullo sfondo il monitor ultrapiatto coi numerini freddi dell’economia al massimo muovi un gomito per rispondere al telefono e le cose le vedi ormai con la distanza di chi ci clicca sopra con il mouse e non sente più gli odori non vede gli occhi non sente le voci…».

Già, qualcuno deve averglielo detto.

E lui deve averlo preso sul serio

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Le storie di Scuolamagia

C/C

Anche la mia scuoletta ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità. Succede così che il suo nomignolo se ne esca dai consueti canali della comunicazione confidenziale e si insinui addirittura sulla carta di un conto corrente proveniente da Roma, via posta, allegato ad una rivista di area cattolica. Ora, premesso che nel rispetto delle convinzioni personali e familiari dei singoli cuccioli (tutti e dieci frequentanti l’ora di religione) Scuolamagia è e rimane così laica che Piergiorgio Odifreddi al confronto è un devoto di Padre Pio, le finanze in cassa (l’armadio con la chiave che tutti sanno dov’è nascosta), in attesa che qualche spicciolo giunga dal rendiconto del Mercatino equo e solidale natalizio, anche volendo ammontano oggidì  a Euro 0.

Il tanto agognato pareggio di bilancio.

 CC

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Soletta

Questa era la sua dedica

Ho già parlato qui della mia passione per le dediche, per le paroline magiche – quasi sempre – nella pagina dopo il frontespizio di un libro, o comunque da quelle parti. Un regalo dell’autore, molto spesso criptico, a qualcuno per lui speciale. Come a dire: tutto questo è per Te, tutto questo è pensando a Te, tutto questo non ci sarebbe stato senza di Te.

Nei primi giorni di questo 2008 ho letto un libro e la sua dedica. Posta nell’ultima pagina, strano. Per capirla bisogna conoscere un paio di accadimenti nella vita dell’autore. Non spetta a me riassumerli qui, e poi l’ho già detto: le dediche sono criptiche, chi vuole intendere intenda.

Il primo pensiero, richiuso il raffinato libricino di Sellerio, è stato: le troverò quest’anno parole più belle di queste?

 

                             

Mettiamo che siate maschi (mi auguro di no, ma devo immaginarlo per fare il mio esempio) e vi sia venuta voglia di provare a fare la calza: una donna vi avrà montato i punti sul ferro, e vi avrà insegnato ad andare avanti e indietro, un diritto e un rovescio. (Calare e crescere no, a questo virtuosismo non sarete arrivati). Mettiamo che abbiate avuto tenacia sufficiente a lavorare una lunga striscia di lana, dalle maglie qua troppo strette e là troppo larghe, e che siate già fieri, se non della qualità, della quantità del vostro prodotto, e improvvisamente i punti vi cadano giù dal ferro, e l’intero lavoro vi si disfi tra le mani. Questa era la mia dedica.

 

 Adriano Sofri, Chi è il mio prossimo

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Tutte queste cose passare

Errata corrige

Si è saputo che la pallottola di cui parlavo ieri non era poi così vagante. Sempre di italici panni sporchi trattatavasi, ma erano altri panni sporchi. La giovane Duana Cornelia l’aveva addirittura lasciato, come si era permessa?

Al posto suo, nella frase di ieri, mettiamoci il bimbo tunisino colpito a Caserta. Non è ancora morto. Forse morirà.

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Spiegazioni

Si muore bruciati a cavallo tra questi anni: quello che finisce quello che inizia. Sono morti gli operai, in una lunga morte centellinata. Abbiamo contato fino a sette, ora basta. Voglio ricordarmi di Kebe Peinda Gotha, che il 7 dicembre si è data fuoco in Campidoglio ed è morta ieri dopo atroci sofferenze. Protestava, voleva incontrare il suo presidente in visita a Roma. Diceva di essere incinta, non trovo conferme. Non trovo soprattutto una spiegazione per il suo gesto, e forse è colpa di chi per mestiere avrebbe dovuto trovarla. Quali ragioni per l’estrema protesta?

Altre spiegazioni nemmeno si azzardano, vengono sottaciute: ne usciremmo con le ossa rotte. Perché esiste ancora una notte in cui pallottole festanti (?) e vaganti uccidono ragazze diciassettenni (ironia e perfidia della sorte: la vittima, Duana Cornelia, romena!!!)? Perché esiste ancora una notte così? Quello che parlava ieri sera, in fondo, era il Presidente italiano, mica quello del Senegal. Una strigliata, un forte richiamo, un monito, almeno una tiratina d’orecchi. Niente, i soliti equilibrismi. E nemmeno una modella francese al fianco.

Comincia così, questo quarto anno nella pozzanghera (Auguri!!!).

Cercando spiegazioni.

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