Le storie di Scuolamagia

Quella frase sul muro

Uno poi si rilegge e si scopre così antico, così dalibrocuore, così poco postmoderno. E più indulgente di Baricco verso i critici, of course. Tra qualche giorno on line anche i racconti dei miei alunni.

 

 

Ero poco più che un bambino, il giorno che incontrai Irina. Tornato da scuola ero corso come sempre a salutare la nonna, prima di raggiungere i miei fratelli maggiori nella sala da pranzo della grande casa sul lago. L’insopportabile assenza dei miei genitori – impegnati in quel lavoro che mi permetteva lussi non comuni e che mi avrebbe garantito un futuro senza troppi punti di domanda – mi feriva  a morte e la nonna paterna rappresentava per me l’unico rifugio possibile, una tana adulta dove farmi amorevolmente medicare i mille graffi di cucciolo. “Luigi, vieni, ti devo presentare una persona…”. (continua nei commenti…)

 

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Soletta

Meglio gli umani dei caimani

Del Caimano ho amato soprattutto lo sguardo sulla coppia che scoppiava, sulle tenere e attentissime paternità e maternità. Poeticissima Margherita Buy nel campo di calcetto, dolcissimi i piedini del bimbo su quel mare di mattoncini lego, credibilissimi la gelosia e il senso di colpa. Berlusconi? Ah, sì… c’era anche lui…

 

 

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Le storie di Scuolamagia

Patricio, te amo. Papà. (2)

Come l’anno scorso (qui, qui e qui…) a Scuolamagia prenderemo in prestito l’idea di Walter Veltroni (peccato abbia da fare, il 9 e 10 aprile…): inventeremo storie – 10 storie – a partire da un’unica scritta su un muro. Una scritta attorno alla quale far muovere personaggi e esistenze, una scritta che riveli, oppure spieghi, oppure sorprenda, oppure. La scelta democratica delle parole da tracciare con la vernice si è svolta tra qualche perplessità e alla fine ha prevalso la proposta di Giuseppe:

«Luigi, guarda di non sbagliare. I.».

Non è semplice, non riesco a non vederla come una minaccia. Però mi sa che la chiave sarà quella misteriosissima “I”. Buon lavoro ai miei nove scrittori fili d’erba…e… se qualche frequentatore della pozzanghera volesse partecipare…

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Soletta, Stream of consciousness

Nascondino

L’impoetico: raccontalo a lampi.

 

Nomina le nuove impercepite

 

cose del mondo in cui ora siamo

 

immersi. E siano i versi

 

 

 

attenti al comune, alla prosa

 

che servi. E all’arso

 

cicalìo delle stampanti, poi che canto

 

è forza di memoria e sentimento

 

 

 

e oggi nient’altro che il frammento

 

sembra ci sia dato per istanti,

 

tu pure tentalo, se puoi, come tanti

 

durando un poco oltre quel vento.

 

 

 

 

Gianni D’Elia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Res cogitans, Soletta

L’ombelico e il culo del mondo

Domenica sera sono capitato quasi casualmente su Nessuno TV, un canale satellitare dove i programmi sono così interessanti da non sembrare neanche veri. Luca Sofri, cui evidentemente i tempi radiofonici stanno un po’ stretti, ha deciso di traslocare per qualche sera il suo CONDOR in un piccolo teatro milanese. Due sedie di legno, due microfoni, due bottigliette di acqua minerale, lui e un ospite. Il tutto magari è accaduto tre settimane fa, l’audio era pessimo, le inquadrature a dir poco approssimative. Nella puntata che ho visto io c’era Jovanotti. Sconsolato notava come nel lessico dei due candidati premier – senza qualunquismo: le differenze ci sono eccome – alcune tematiche fondamentali siano del tutto assenti. Esempio numero uno, la tecnologia: dove ci porterà, dove ci faremo portare, come ci cambierà, ci cambierà? Esempio due, l’Africa. È accettabile che chi si candida a guidare un paese come l’Italia non la nomini mai? Magari potrebbe dirci: la colonizziamo, la radiamo al suolo. Oppure, meglio, ce ne facciamo carico, almeno un po’. Invece, niente. Peccato, no?

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Le storie di Scuolamagia, Tutte queste cose passare

Amico fragile

Ho finalmente assistito allo spettacolo di Renato Sarti sul naufragio di Natale al largo di Portopalo di Capopassero. Nel 2004 io e i miei cuccioli classe 1990 avevamo pure donato una manciata di euro al Teatro della Cooperativa di Milano per la realizzazione del progetto. Discusso e discutibile, efficace solo in parte, lo spettacolo mi ha ricordato che anch’io – come Giovanni Maria Bellu, il giornalista di “Repubblica” autore del tragico scoop sull’annegamento dei 283 clandestini – ho un amico che si chiama Anpalagan Ganeshu.

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Le storie di Scuolamagia

Torquemada

L’alunno, corretto nel relazionarsi con i coetanei, assume atteggiamenti che ostacolano l’operare degli insegnanti e il lavoro dell’intera classe. Al di là dei problemi riscontrati nelle singole discipline, pare indispensabile che l’alunna – nella terza ed ultima fase dell’anno scolastico – recuperi la grinta necessaria per preparare al meglio gli esami di licenza e per tentare ancora una volta la strada della socializzazione. È proseguita nel corso del trimestre la deriva dell’alunno verso atteggiamenti di contrapposizione, quasi compiaciuta, all’istituzione scolastica e alle sue attività didattiche. È atteso, in quest’ultima fase, un sussulto di responsabilità che permetta alle sue potenzialità di emergere compiutamente. Dotato di ottime potenzialità che potrebbero garantirgli un profitto eccellente in ogni disciplina, l’alunno è stato nel corso del trimestre particolarmente avaro nel dosare il suo impegno ed ha nel contempo ecceduto nel prodursi in atteggiamenti infantili e non conformi alle regole concordate. Tali atteggiamenti, uniti alla scarsa considerazione per i propri mezzi e alle frequenti distrazioni, non hanno permesso un sereno svolgersi del lavoro didattico e il necessario recupero delle lacune presenti nelle varie discipline. Si auspica un deciso cambio di rotta in vista dell’ultima fase dell’anno scolastico. Encomiabile per l’impegno domestico e per le attività svolte qualora spinto da forti motivazioni personali, l’alunno non si è saputo proporre in altrettanto virtuosi comportamenti nell’ambito dei rapporti sociali all’interno della scuola, ignorando spesso le regole convenute e interpretando talora il rapporto tra insegnanti e studenti in chiave di reciproco e irrisolvibile conflitto. L’alunno ha saputo talora emanciparsi dai comportamenti di ermetica chiusura che hanno opposto la classe agli insegnanti, creando salutari spiragli di dialogo.

 

 

 

Ho terminato ancora una volta – esausto – il terribile mestiere del coordinatore di classe. Mi sono spremuto, ho pensato a quelle facce e a quelle parole che si muovono ogni giorno davanti ai miei occhi, ignare di tanto sforzo giudicante e classificatorio. Anche questa volta le rinnego tutte, quelle frasi, e spero che domani passi in fretta.

 

 

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Soletta

Ai figli bisogna comprargli le mele biologiche

Un bambino che parla napoletano stretto dice che la sua nuova mamma non gli appartiene. Una mamma dice ad un’assistente sociale che i bambini non bisogna sempre e soltanto educarli, bisogna accoglierli. La stessa mamma quando lo stesso bambino la chiama mamma per la prima volta e lei sta guidando…fa una faccia, ma una faccia. Una bambina zingara invidia il rossetto di una donna che non conosce e le chiede candidamente un bacio sulla bocca. Una donna (la stessa donna, la mamma) glielo dà. Davvero un gran bel film La guerra di Mario, di quelli che piacciono al titolare della pozzanghera. Il più bello, per ora, del 2006.   

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Le storie di Scuolamagia

Sulla cima dell’Olimpo c’è una magica città…

Nic doveva andare in Greciantica, nella verifica di ieri. Nel corso del suo viaggio doveva affrontare qualche quisquilia storica affrontata in classe nelle settimane precedenti: democrazia, politeismo, giochi olimpici, teatro, filosofia, ecc. Ma Nic – prima che uno storico, oltre che uno storico – è soprattutto un ragazzo simpatico e pieno di ironia.

«…c’erano le Olimpiadi. Io sono rimasto colpito da una cosa: i partecipanti correvano rigorosamente nudi e io mi sono anche un po’ impaurito a vederli e le donne non potevano correre, peccato. Quando ho pensato a quella cosa sulle donne il dio Zeus lo ha preso come un peccato e mi ha sferrato un fulmine in testa ed io mi sono fatto molto male…»

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Piccola posta

25 luglio 1997 / 8 marzo 2006

Care ragazze detenute del carcere di Pisa, grazie delle notizie. Fa soprattutto piacere che abbiate ora un corso di trucco, con una giovane insegnante esperta di cosmesi e di teatro. Ho visto in situazioni estreme come la cura di sé con tinture avventizie, rossi di fortuna su bocche sdentate, neri di fuliggine su occhiaie infossate, fosse un modo decisivo di resistenza delle donne. In un film girato a Sarajevo da Lionello Massobrio, se ricordo bene, c’è questa scena: una giovane donna scarmigliata, in una casa in rovina, sta davanti a uno specchio scheggiato e finge meticolosamente di truccarsi. Passa la mano vuota sulle labbra, sulle guance, sulle palpebre.Mi è tornato in mente sentendo che voi vi truccate, e fate perfino scuola di trucco, senza uno specchio davanti – se non il minuscolo specchietto sintetico che è concesso ai prigionieri. All’opposto di quella donna bosniaca, avete il trucco e non lo specchio. E’ difficile esistere senza guardarsi allo specchio: anche per essere soli, bisogna potersi specchiare. Voi potete guardare il profilo dei vostri corpi solo, opacamente, di sera, nel vetro della finestra. Chissà che il corso di trucco, che ha così a che fare con le questioni dell’anima, vi autorizzi qualche specchio condizionale (l’ora per specchiarsi: si potrebbe interpellare il ministero, se non per la giustizia, per la grazia). Vi saluto, e vi auguro di tornare presto nel mondo della libertà e degli specchi.

 

 

 

Adriano Sofri, Piccola posta

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Res cogitans, Soletta

Bianco su nero (Il fuoriclasse 2)

Si è disputato a Dakar, di fronte a un pubblico entusiasta, il Campionato mondiale dei luoghi comuni  e del pregiudizio razziale. Il campione in carica, John Bianco, ha attaccato per primo sostenendo che i neri hanno la sveglia al collo, cucinano gli esploratori nel pentolone, ballano e cantano tutto il giorno, parlano male l’inglese, lavorano poco e ce l’hanno molto grosso.

Lo sfidante, un nero rimasto anonimo perché aveva perso i documenti, ha replicato che i bianchi sono schiavisti, trafficanti di armi, imperialisti, colonialisti, invadenti, guidano come cani (sono state proiettate alcune diapositive della Parigi-Dakar), vestono in modo ridicolo (sono state proiettate alcune diapositive di turisti tedeschi in Kenia), mangiano porcherie (sono stati proiettati alcuni menù di McDonald’s), ce l’hanno piccolo (è stata proiettata una diapositiva di Calderoli) e parlano male l’inglese (è stata proiettata una diapositiva di George Bush). Per giunta, secondo antiche testimonianze orali, hanno la carne molto coriacea anche se cotti molto a lungo, e bisogna buttare il brodo perché puzza di acqua di Colonia di pessima qualità.

Il campione Bianco ha cercato di parare la gragnuola di colpi, e di contrattaccare cantando “I Watussi”. Ma è stramazzato al tappeto quando il suo avversario gli ha cantato “I Belgi”, canzone comica del repertorio popolare congolese. Nel tripudio della folla, il nero è stato incoronato nuovo campione. Per festeggiare si è messo a ballare. Ma ballava malissimo.

 

 

 

Michele Serra, IL VENERDÌ NERO di Amref.

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